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13.07.2013 - 13:220

Storia di Ted, il serial killer più celebre dopo Jack lo squartatore, tradito da un morso

Ted Bundy nasce il 24 novembre 1946 a Burlington, nel Vermont, da una ragazza madre. Intelligente e letale, inizia ad uccidere il 21 gennaio 1974, e la sua prima vittima si chiama Linda Ann Healy

di Massimo Picozzi

C’è silenzio in aula, un silenzio pesante.
Il perito, un odontoiatria forense, presenta ai giurati gli ingrandimenti delle foto scattate sulla scena del crimine. 
È bravo lo specialista, pacato e convincente mentre mostra, impressi nelle carni della vittima, i chiari segni di un morso. Ma c’è di più. Il killer ha un difetto nella dentatura, l’accavallamento di due incisivi e altro ancora, un difetto che lo ha tradito.

Perchè non c’è dubbio che l’impronta dentaria appartenga a lui, a Ted Bundy, il più celebre serial killer della storia dopo Jack lo Squartatore.
Ted Bundy nasce il 24 novembre 1946 a Burlington, nel Vermont, da una ragazza madre, Louise Cowell. Contrariamente a quanto avviene nella storia di altri assassini seriali, non pare che la sua infanzia sia stata segnata da traumi devastanti, e nemmeno la carriera scolastica somiglia a quella degli altri serial killer, se è vero che arriva a prendersi una laurea in giurisprudenza.

Intelligente e letale, Bundy inizia ad uccidere il 21 gennaio 1974, e la sua prima vittima si chiama  Linda Ann Healy, 21 anni.

Da quel momento in poi, colpirà non meno di trenta volte, pianificando la maggior parte degli omicidi e organizzandoli in base alle sue fantasie sadiche, che prevedono sempre lo stesso copione: un maschio dominante e una donna sottomessa e terrorizzata. 

Una volta catturato, in carcere, sceglie di collaborare con il detective Bill Hagmeier, uno degli esperti dell’Unità di Scienze del Comportamento, la struttura dell’FBI resa celebre da “Il silenzio degli innocenti” e dalla serie televisiva “Criminal Minds”.

A lui Bundy racconta di aver scattato polaroid durante le aggressioni, e di averle conservate come ricordo, perchè in fondo: “Se lavori sodo per fare bene una cosa, poi hai piacere a ricordartela”.

Per Hagmaier “Bundy si sentiva un predatore. A lui piaceva la caccia tanto quanto uccidere e selezionava quella che chiamava una “vittima meritevole”, per lui una giovane donna attraente e intelligente, con un buon bagaglio culturale; il brivido della caccia e della sfida costituiva per lui un’atroce spinta all’azione”.

Nei lunghi colloqui tra i due, emergono poi particolari inquietanti, come quelli relativi al modus operandi dell’assassino. Per apparire del tutto inoffensivo, Bundy utilizzava spesso lo stratagemma di una finta ingessatura a un braccio, o l’uso di una stampella. Ironicamente l’idea di avvicinarsi alle vittime in quel modo gli era stata suggerita in un corso a cui aveva partecipato; era un corso di psicologia, in cui s’insegnava a comunicare, e come la gente fosse portata a fidarsi di chi chiedeva aiuto mostrando una menomazione fisica.

Le conversazioni tra Bundy e Hagmaier riservano poi altre sorprese, soprattutto quando il killer dichiara di avere prestato grande attenzione alle dichiarazioni rilasciate ai media dalla polizia sui suoi delitti, per meglio adattare i suoi schemi di comportamento e evitare la cattura.

Bundy ha potuto tornare sulla scena di alcuni crimini, evitare situazioni a rischio, persino cogliere il suggerimento di mutilare i cadaveri privandoli della testa e delle mani al fine di impedirne l’identificazione; e questo grazie alla informazioni inopportunamente consegnate a giornali e televisioni, o ancora per l’evidente mancanza di cooperazione tra investigatori, di collegamento tra le forze di uno stato e dell’altro.

Peccato che, a un certo punto della sua carriera di assassino seriale, Ted Bundy abbia perso il controllo. Il suo bisogno di umiliare, controllare e uccidere si è fatto sempre più imperioso, l’intervallo di tempo tra un delitto e il successivo sempre più breve. 

Riescono a intercettarlo almeno un paio di volte, ma Bundy riesce miracolosamente a fuggire. Poi, il  14 gennaio 1978, entra nella sede del gruppo studentesco Chi-Omega, in preda a una frenesia omicida. Uccide nel sonno due ragazze, Lisa Levy e Margaret Bowman di 20 e 21 anni, e ne ferisce gravemente altre due, Kathy Kleiner DeShields e Karen Chandler.

È durante questa aggressione che lascia sul corpo di una delle vittime quel morso che lo tradirà, rivelandosi una delle prove più drammatiche per il tribunale chiamato a giudicarlo. 

Colpisce per l’ultima volta il 6 febbraio 1978; la vittima è una ragazzina di 12 anni, Kimberly Leach. Il suo corpo massacrato verrà trovato solo poche settimane dopo, scaricato nei pressi di un parco pubblico.
Ma ormai è questione di ore.

Identificato e arrestato, Bundy viene condannato a morte nel luglio 1979. 
Rivolgendosi a lui Edward Cowart, il Giudice che presiede la Corte, appare visibilmente scosso:
“Abbia cura di sé stesso. Lo dico con grande sincerità. È una vera tragedia per questa corte avere constatato la sua totale perdita di umanità. Avrebbe potuto essere un buon avvocato. Avrebbe dovuto cercare di essere meno impetuoso ed irruente. Mi creda. Ma lei si è davvero comportato nel peggiore dei modi”.
Alle ore 7,16 del 24 gennaio 1989 una piccola folla radunata davanti alla Florida State Prison coglie immediatamente il segnale che attendeva: le luci dei fari che illuminano il penitenziario si affievoliscono per alcuni secondi.

Un calo di tensione: Ted Bundy è stato giustiziato sulla sedia elettrica.

 

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