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Cronaca
20.04.2014 - 15:420
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Viaggio nel mondo delle start up fra Ticino e resto della Svizzera: “Siamo un passo indietro, mancano gli stimoli”

Alessandro Bianchi, dell’associazione HEC Espace Entreprise che da vent’anni attribuisce il premio Prix Strategis alla migliore start up dell’anno, racconta sfide, difficoltà e successi di questo settore

LOSANNA – Si è tenuta martedì la cerimonia del Prix Strategis, il premio con cui ogni anno, da ormai più di vent’anni, l’associazione HEC Espace Entreprise (HEE) della facoltà di economia e commercio (HEC) dell’università di Losanna ricompensa con 50'000 CHF la migliore start up dell’anno secondo i criteri di innovazione, espansione e realizzazione.

Una cerimonia che quest’anno ha visto segnare un importante traguardo al nostro cantone: presente tra le tre finaliste infatti anche la ticinese Newscron, start up che ha sviluppato un’applicazione in grado, grazie a un algoritmo appositamente studiato, di aggregare le ‘news’ presenti su vari media associati secondo le preferenze dell’utilizzatore.

Il risultato finale della premiazione ha visto la Newscron aggiudicarsi il terzo posto. “Si tratta di un risultato più che ottimo: è riuscita ad arrivare terza su più di cinquanta concorrenti. Il solo fatto di avere una ticinese in finale poi è di per sé un evento eccezionale, che non capita certo in molte edizioni. E ancora più eccezionale se andiamo a vedere la concorrenza, che quest’anno era davvero a un elevatissimo livello di qualità”, commenta Alessandro Bianchi, del Dipartimento comunicazione di HEE, con cui abbiamo colto l’occasione per parlare anche del mondo delle start up in Ticino come in Svizzera.

Bianchi, innanzitutto, cosa significa creare una start up oggi?

“È un discorso molto più vasto e complesso, ma semplificando si può dire che creare una start up oggi vuol dire essere riusciti a realizzare un’idea, un progetto. È lo stadio intermedio tra un progetto e un’impresa che è riuscita ad aver successo garantendosi un futuro. È la fase iniziale di una nuova avventura economica. Le start up contribuiscono all’innovazione e al futuro economico del paese e devono far fronte a molti rischi, soprattutto economici, in quanto la loro ‘sopravvivenza’ non è mai certa. Banalmente, si può dire che se è facile mettere un progetto su carta e dargli il primo avvio, difficile è poi riuscire a svilupparlo e mantenerne il successo sperato”.

Qual è quindi la percentuale di successo di queste giovani imprese? Non molto alta sembra di capire.

“Esatto, tantissime falliscono. Il mondo delle start up non è per niente facile per vari motivi. Spesso, pur riuscendo, non si hanno le condizioni economiche per continuare, in paticolare parlo delle crisi di liquidità. E fra quelle che ce la fanno, moltissime vengono poi assorbite da altre grandi aziende sia per motivi strategici sia per vero interesse verso il loro prodotto. Non che questo fatto sia sempre negativo, anzi per alcuni l’obiettivo di vendersi a una “grande” è un punto di arrivo, per altri l’interesse di acquisto da parte di una grande può essere un rischio. La vita della start up quindi non è assolutamente facile. Anche perché si trovano nella fase iniziale, quella caratterizzata da parecchi investimenti, nella quale si deve lavorare per guadagnare la credibilità che permetterà poi di ottenere i fondi necessari alla crescita futura”.

Start up e tecnologia risulta un binomio ormai assodato, fra le tipologie di prodotti il più gettonato sembra ora l’applicazione. È davvero così?

“Chiaramente moltissime sono legate alla tecnologia oggi, ma non è un obbligo. La start up è però ‘un’idea fresca’ ed è molto ancorata al presente, ma contribuisce anche all’innovazione portando nuovi spunti. Il contesto economico a corto termine influisce molto sulle tipologie di start up che si sviluppano, ma molte, soprattutto a livello di idee, portano le intuizioni che saranno alla base delle nuove scoperte. Sono quindi una buona premessa per quello che sarà il futuro. E il futuro delle start up, da quello che ho notato personalmente col Prix Strategis, ma anche in altri premi, è sempre più legato agli sviluppi tecnologici. Effettivamente ora, a colpire, è il grande numero di giovani imprese che propongono app per gli smartphone. Si tratta di un cambiamento radicale impensabile dieci anni fa, dato che non esisteva la tecnologia necessaria. Questo per dimostrare che la loro tipologia è in continua evoluzione. L’app sembra essere perciò il presente della start up, ma non sarà necessariamente il suo futuro”.

Nonostante la vita breve, e spesso difficile, sembra però che le difficoltà non paralizzino questo settore, anzi, si assiste a un vero e proprio proliferare di nuove start up.

“La Svizzera, in questo ambito, è un paese davvero all’avanguardia e questo dovrebbe essere un nostro vanto. Rispetto ad altri paesi, da noi c’è davvero un buon terreno per lo sviluppo delle start up. Questo dipende dal nostro contesto economico: abbiamo, nonostante tutto, una certa sicurezza e ciò permette, in un certo senso,  di potersi lanciare nell’ignoto prendendosi i rischi necessari allo sviluppo di nuove idee”.

Non così in Ticino però. Ripensando alle sue parole iniziali infatti, si capisce facilmente che la presenza di una start up ticinese fra le finaliste è un fatto praticamente più unico che raro. Come mai questo?

“Il Ticino è in un certo senso un passo indietro rispetto alla Svizzera francese e tedesca. Questo per più motivi. Innanzitutto manca il fermento dato dai politecnici (che invece Losanna e Zurigo hanno), che sono delle vere e proprie fabbriche di start up. In secondo luogo poi, dalla mia esperienza, vedo che gli altri cantoni si mostrano più interessati e favoriscono di più, con concorsi o iniziative mirate, la nascita e lo sviluppo delle start up, cosa che a mio avviso in Ticino manca”.

Il Ticino dovrebbe quindi impegnarsi di più nel favorire e stimolare la nascita di start up?

“Beh, sicuramente non è facile perché non ci sono le basi, come appunto delle università forti come i politecnici, ma anche perché manca un po’ la cultura necessaria, che è l’aspetto più difficile su cui lavorare. In Ticino mancano spesso quegli stimoli che spronano a lanciarsi in nuove attività economiche che comportano chiaramente dei rischi. Questo forse anche perché la situazione del nostro cantone è più difficile: non si ha un grande bacino di mercato a cui potersi rivolgere, cosa che invece la Svizzera tedesca e francese, anche per questioni demografiche, hanno”.

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