Polanski
28.07.2014 - 15:560
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Lo stupro di Roman Polanski ai danni della 13enne Samantha Geimer: ecco tutta la storia. Con il racconto della vittima e del regista

Mentre a Locarno infiamma la polemica politica per l'invito al regista, vi proponiamo la ricostruzione di ciò che avvenne in quella notte del 1977 e dei successivi quarant'anni

La storia dello stupro compiuto da Roman Polanski ai danni dell'allora tredicenne Samantha Geimer è semplice e controversa al contempo. Da una parte ci sono i fatti: sostanzialmente ammessi e condivisi nella ricostruzione sia dalla vittima e che dal carnefice. Dall'altra c'è la vicenda giudiziaria che ha spinto il regista a intraprendere la via della latitanza dagli Stati Uniti e da tutti quei paesi che potrebbero estradarlo verso un tribunale a stelle e strisce: qui la faccenda si fa torbida e un tassello fondamentale resta avvolto nel mistero.

Lo stupro

Cominciamo da quel che successe all'inizio del mese di marzo del 1977. Polanski attirò con una scusa Samantha Geimer nella villa dell'amico Jack Nicholson a Los Angeles. Alla ragazzina e a sua madre, che nutriva per la figlia ambizioni di attrice, disse che voleva scattare delle foto per l'edizione francese della rivista Vogue. E loro acconsentirono. La Geimer si trovo dunque faccia a faccia con il regista polacco, allora quarantaquattrenne. Lui le scattò delle foto ma mentre recitava il finto servizio fotografico stappò una bottiglia di champagne e alla ragazzina offrì anche delle sostanze stupefacenti. 

Il racconto di Samantha Geimer

Quel che accadde successivamente lo racconta la stessa Samantha Geimer nel libro biografico "The Girl: A life in the Shadow of Roman Polanski" scritto a quattro mani con il suo avvocato. Prima l'invito a spogliarsi nella jacuzzi, poi nel letto, quindi il racconto dettagliato dello stupro. Sorvoliamo sui dettagli scrivendo soltanto che Polanski non si negò nulla durante quel rapporto. "Non tutti lo capiranno, ma non ho mai pensato che volesse farmi del male, lui voleva che mi piacesse", ha scritto la Geimer nel suo libro. Un libro in cui non fa sconti a Polanski: lei non ha dubbi sul fatto che quello fosse una violenza sessuale. Lo scrisse la sera stessa dei fatti sul suo diario: "Io ho avuto le mie foto, scattate da Polanski, e lui mi ha stuprato. Cazzo!". 

Questo episodio, va ricordato, accadde alcuni anni dopo un altra terribile tragedia che video come protanigsta il regista. Nell'agosto del 1969, la moglie di Polanski Sharon Tate, incinta e a due settimane dal parto, venne brutalmente assassinata nella villa della coppia a  Beverly Hills insieme ad alcuni amici dalla setta satanista guidata da Charle Manson.  

La vicenda giudiziaria e il buco nero

E veniamo ora alla spinosa e complessa vicenda giudiziaria. Inizialmente contro Polanski vengono spiccati sei capi d'accusa - dallo stupro con uso di stupefacenti, alla perversione, alla sodomia... - ma durante il procedimento preliminare resta in piedi una sola accusa: rapporto sessuale extramatrimoniale con persona minorenne. Reato di cui Polanski si dichiarò colpevole. È il frutto di un patteggiamento voluto dall'avvocato della vittima per evitare alla ragazzina un processo pubblico. Così almeno venne spiegato. Attenzione, il reato ammesso dal regista non prevede la violenza carnale: per quell'accordo giudiziale si trattò di un rapporto consenziente. Polanski viene sottoposto a perizia psichiatrica e spedito nella prigione di Chino per 90 giorni. Ma ne sconta solo una quarantina: per lui scatta la condizionale. E qui c'è il grande buco nero della storia. Il giudice dello Stato della California decide di non dar seguito all'accordo stipulato dal pubblico ministero e dagli avvocati delle parti e fa sapere di volere incarcerare di nuovo il regista. Il cineasta, siamo nel 1978, decide quindi di darsi alla fuga verso l'Europa. Scappa prima in Inghilterra e poi in Francia dove ottiene la cittadinanza mettendosi al sicuro dall'estradizione.

Il "no" della Svizzera all'estradizione negli Stati Uniti

A proposito del tassello mancante della vicenda giudiziaria vale la pena fare un salto temporale di oltre trent'anni. È il 12 luglio 2010 quando il Dipartimento di giustizia della Confederazione nega agli Stati Uniti l'estradizione di Polanski, che si trova agli arresti in Svizzera dal 26 settembre dell'anno prima a causa un mandato di cattura internazionale spiccato a fine 2005 dalla Procura di Los Angeles. Un arresto che suscitò un clamore internazionale anche perché Polanski soggiornava regolarmente a Gstaad da diversi anni. 

Ma torniamo al punto. Il principale motivo per cui la Svizzera dice "no" alla richiesta degli americani è per il rifiuto da parte della giustizia a stelle e strisce di trasmettere alle autorità svizzere il verbale con le dichiarazioni rilasciate da Roger Gunson: il pubblico ministero che si occupò del caso. Per gli Stati Uniti quelle carte sono coperte dal segreto. I legali di Polanski sostengono che nel verbale c'è scritto che, nell'udienza del 19 settembre 1977, nell'ambito del patteggiamento, lo Stato della California aveva assicurato che i 40 giorni trascorsi in carcere, oltre a quelli da scontare con la condizionale, erano la pena complessiva per chiudere il caso.

"Se ciò corrisponde al vero e Roman Polanski ha dunque già scontato la sua pena, né la procedura fondata sulla domanda d'estradizione statunitense né la domanda stessa avrebbero ragione d'essere", ha scritto il Dipartimento federale di giustizia e polizia nel nota con cui è stato comunicato al Mondo che l'estradizione era stata respinta. E siccome non si poteva dare ragione con certezza né agli americani né Polanski: in dubbio pro reo. E il regista tornò in libertà.

La versione di Roman Polanski

In questa nostra ricostruzione del caso mancano le parole del cineasta, che alla vicenda ha dedicato un documentario e alcune interviste. Queste dichiarazioni sono tratte da un colloquio con il quotidiano La Repubblica: Ho fatto un terribile errore, che continuo a pagare. Ma non sono scappato, ho ammesso le mie colpe. Ero a Tahiti per le riprese di un film, sono tornato in America per consegnarmi, confessare e andare in galera. La mia confessione era l'unica vera prova. Mi mandarono in un carcere dove si uccidevano detenuti ogni giorno. Ne uscii vivo, convinto di aver espiato la pena. Ma il giudice ci ripensò e disse di volermi rimandare in galera con una pena indeterminata, insomma avrebbe poi deciso lui. A quel punto lasciai l'America per sempre" 

L'intreccio di parole tra la vittima e il colpevole

"Una volta assunte le mie responsabilità, non ho avuto mai problemi con Samantha Geimer. Mentre entrambi ne abbiamo avuti con la persecuzione dei media", ha aggiunto Polanski in quell'intervista.Parole che sembrano in sintonia con quelle che la Geimer ha scritto nel suo libro: "Finii nella trappola di quel mostro a due teste che è il sistema della giustizia criminale californiana, con i suoi attori corrotti interessati solo a farsi pubblicità. Nè io nè la mia famiglia abbiamo mai chiesto che Polanski venisse punito: volevamo soltanto arrestare la macchina della giustizia".  

Un concetto espresso anche in una vecchia intervista del 2003: “Quello che mi ha fatto era sbagliato. Ma vorrei che fosse tornato in America in modo che tutto questo calvario sarebbe finito. Sono sicura che se potesse tornare indietro, non lo rifarebbe. Ha fatto un errore terribile, ma ha pagato per questo. Penso che sia dispiaciuto, penso che lui sappia che era sbagliato. Non credo che sia un pericolo per la società. Non credo che ci sia il bisogno di rinchiuderlo per sempre. È stato 30 anni fa. E’ un ricordo spiacevole”.

Infine, il perdono, anche se senza sconti: "Non l'ho fatto per lui ma per me, per non essere più etichettata come una vittima". E nel 2011 le prime scuse pubbliche di Roman Polanski.

AELLE

 

Resta connesso con Liberatv.ch: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
Tags
geimer
stupro
regista
samantha
polanski
roman
vittima
giustizia
estradizione
pena
News e approfondimenti Ticino
© 2024 , All rights reserved