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Analisi
30.07.2014 - 07:380
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

E così abbiamo scoperto di non essere nemmeno più una Sonnenstube. Riflettiamo. Intanto, "waiting for the sun"

L'ANALISI - Un parallelo tra l'incidente climatico di questo luglio e il tramonto della piazza finanziaria. Riflessioni su un cantone che adesso deve davvero reinventarsi

di Marco Bazzi

LUGANO – Ci hanno detto che questo è stato, climaticamente, il peggior mese di luglio da quando esistono i rilevamenti meteorologici. Un brevissimo accenno di caldo africano, poi solo qualche sporadica giornata di sole tra una perturbazione e l’altra. Piogge torrenziali, interminabili banchi nuvolosi e temperature che in questo periodo nemmeno in Alaska… con punte minime di quindici gradi di giorno. A fine luglio!

L’estate non è mai iniziata quest’anno, e si sa che, per quanto possa far bello, agosto ne segnerà il declino. Non ci resta che una manciata di settimane… Intanto, giorno dopo giorno, diamo un’occhiata alle previsioni, che però non accennano a cambiare. L’anticiclone sembra essere stato risucchiato in un buco nero e le icone della meteo sono sempre nubi grigie o un sole malaticcio.

Certo, non è soltanto un problema del Ticino: anche in molte regioni turistiche italiane la gente si sta mordendo le unghie. Ma per il nostro cantone, che ha nel turismo un importante pilastro economico, questo orribile luglio rischia di essere l’ennesima sberla. Il bilancio si farà a ottobre. Ma di sicuro questo mese di maltempo in quel bilancio peserà parecchio.

Così, quasi all’improvviso, dopo aver preso atto a più riprese di non essere per la politica federale quel “sonderfall” – quel caso particolare - che vorremmo, abbiamo scoperto di non essere più nemmeno una “sonnenstube” - un salotto soleggiato -. O quantomeno di non avere la sicurezza di esserlo.
Abbiamo perso, insomma, una certezza climatica.

Adesso facciamo un parallelo tra meteo ed economia che può sembrare, ma non è, paradossale.

Ultimamente, dopo anni di resistenza, di proclami guerreschi e di illusioni, abbiamo anche dovuto prendere atto di non essere nemmeno più la piazza finanziaria che eravamo: florida, ricca, spavalda… Una macchina perfetta costruita su un principio che pareva granitico: il segreto bancario. Alla fine abbiamo alzato bandiera bianca. È finita l’era delle “evasioni barbariche”, quando, soprattutto dall’Italia, affluivano fiumi di denaro che nemmeno nel deposito di Paperon de’ Paperoni...

Nubi meteorologiche e nubi finanziarie

Se il settore turistico confrontato con il maltempo in uno dei suoi mesi cruciali ha messo in luce drammaticamente tutta la sua fragilità, il cambiamento delle regole bancarie e il tramonto del segreto hanno inciso lentamente ma inesorabilmente – e l’onda lunga ha ancora da venire - sull’occupazione e sul gettito fiscale della piazza finanziaria. Meno soldi, meno gente che spende, meno redditi da pascià… Meno fuoriserie, meno cene al ristorante, meno ville con piscina, meno gioielli, meno vestiti… Meno lusso, insomma. Meno soldi che circolano nell’economia. E più persone senza lavoro. È pura matematica.

Nubi meteorologiche e nubi finanziarie sono due fenomeni slegati, è chiaro: il primo è (speriamo) un incidente climatico, il secondo è un’evoluzione inarrestabile dovuta alle pressioni internazionali sulla Svizzera. Ma i due fenomeni hanno qualcosa in comune: ci hanno fatto capire che le cose possono cambiare rapidamente e che le certezze di ieri non possono essere le certezze di domani.

Questo luglio piovoso è un campanello d'allarme

Forse, questo luglio piovoso è un altro campanello d’allarme che ci dice: “svegliatevi ragazzi!”.
Già, dobbiamo rimboccarci le maniche e reinventarci. L’economia ticinese resta tutto sommato florida rispetto a quella di altri paesi. Ma quanto florida? È un’economia che costa, anche perché sostiene un sistema di servizio pubblico e di reti sociali che pochi altri paesi al mondo possono vantare.

Economia florida, dicevamo. Ma non dimentichiamoci che Lugano si è risvegliata all’improvviso dal sogno dorato in cui si è cullata per anni e si è trovata faccia a faccia con la cruda realtà: un miliardo di debito pubblico.

Con le finanze – soprattutto con quelle pubbliche - non si può scherzare. E bisogna evitare di metterle a repentaglio con lifting contabili o giochetti - o dispetti - elettorali. C’è già odore di elezioni nell’aria e il rischio che qualcuno ci marci sopra è molto concreto. Ma oggi più che mai il Ticino ha bisogno di politici seri e responsabili, non di giullari e giocolieri.

Ci resta l'economia "immobiliare", ma...

Sotto questo cielo nuvoloso, uno dei settori economici che continua a tirare è quello immobiliare. Anche grazie all’arrivo di stranieri benestanti che hanno scelto di vivere in Ticino per i molti pregi che offre. Il che ha aiutato un po’, anche fiscalmente, a parare il colpo subìto dalla piazza finanziaria. Molti di questi “immigrati di lusso” hanno inoltre investito in attività che generano reddito e lavoro (e non pensiamo, qui, ai padroni del vapore che lucrano sui frontalieri), hanno portato esperienza e spirito imprenditoriale...

Ma anche qui c’è un rischio da non sottovalutare, che non è il fantasma, talvolta evocato, della “bolla immobiliare”: stiamo un po’ facendo, oggi, la politica che chi ci ha preceduto ha fatto negli anni in cui siamo diventati la “sonnenstube” della Svizzera, negli anni in cui case e terreni sono stati svenduti a ricchi in cerca di sole e di pace.

Le nostre tre ricchezze naturali

Il territorio è, insieme all’acqua e al legno, l’unica “materia prima” di cui disponiamo. L’acqua l’abbiamo ceduta decenni or sono alle grandi aziende idroelettriche confederate, che hanno realizzato impianti che non abbiamo avuto il coraggio di realizzare noi. Tra pochi anni potremo riscattare quelle grandi dighe, ma sappiamo che l’energia idroelettrica oggi vale poco – perché costa troppo - su un mercato libero drogato dai miliardari sussidi a eolico e solare.

Con il legno non ci si fanno affari d’oro. E il territorio è, tra le tre materie prime, l’unica non rinnovabile.

L’abbiamo svenduto negli anni in cui l’economia ticinese stava subendo un forte orientamento verso il settore terziario. Oggi, se non altro, lo stiamo vendendo a caro prezzo. Ma la vendita del territorio produce una ricchezza che rischia di esaurirsi in pochi anni se non viene utilizzata per produrre altra ricchezza. Se dietro l’arricchirsi non ci sta una cultura imprenditoriale.

Questo orribile luglio ci pone anche di fronte a un problema  ben noto e di cui si parla (ma sempre e soltanto si parla) da tempo: l’eccessiva dipendenza del turismo ticinese dal sole, che anche quando c’è è minacciato dal moltiplicarsi di mete decisamente più concorrenziali all’insegna del tutto compreso.

Investimenti mai fatti nella riconversione

E a questo punto sorge spontanea una domanda: ma cosa abbiamo fatto in questi anni, per prepararci al cambiamento e alla riconversione, con tutti quei soldi che piovevano dal cielo come manna?

Perché, per esempio, non abbiamo ancora un palazzo del cinema, visto che ci vantiamo di avere a Locarno il Festival più importante della Svizzera? Non dico la casa del cinema che si sta cercando di costruire ora in mezzo a mille difficoltà, legate anche a scelte discutibili, ma un palazzo del cinema come concetto. Non c’è…
Come non c’è a Lugano un polo congressuale degno di questo nome. E nemmeno fieristico. Ci sono strutture vetuste e, nel caso del Conza, anche un po’ indegne.

Sempre a Lugano si è abbandonato il filone delle grandi mostre, che funzionava, e ci si è appiattiti sulla mediocrità, costruendo però nel contempo un LAC che, con quel che costerà in gestione, rischia di essere una bomba finanziaria. Siamo a Lugano, non a Parigi, Berlino o Milano, ma c’è da augurarsi che il LAC sappia diventare un centro d’attrazione culturale e non solo un centro di costo.

Il Polo culturale potrebbe andare nella direzione del turismo alternativo alla sonnenstube: un turismo che non sia meteo-dipendente. Quel turismo che avrebbe bisogno di valorizzare sul maggior numero possibile di mesi i filoni che già esistono nella realtà o nell’esperienza, presente e passata: il cinema, i concerti, le grandi mostre, i congressi, le fiere e…

La Cenerentola dell'enogastronomia

E l’enogastronomia, una Cenerentola ancora relegata in cucina a pelar patate che però sa muovere migliaia di persone ed entusiasmare palati e coscienze. Guardiamo cos’hanno fatto nelle Langhe, in Toscana, in Borgogna, in Alsazia… E da noi? Progetti? Fondi? Considerazione politica? Molto meno di quanto si dovrebbe.

Per ripensare il turismo, e in generale lo sviluppo economico del Ticino – lo dico sapendo di auspicare l’impossibile in un cantone dove esiste ancora una dogana mentale, il Monte Ceneri – ci vorrebbe un progetto comune e condiviso. Di gruppi di studio costati fior di milioni ne abbiamo già visti troppi. Ci vuole, piuttosto, che i politici inizino a guardare al futuro di questo cantone con uno sguardo a 360 gradi, che i ministri, i sindaci, i municipali, pensino un po’ meno alla loro rielezione, al loro dipartimento, al loro comune, al loro partito, e scrutino un po’ di più l’orizzonte. E che interpellino e ascoltino di più le persone che hanno idee e competenze. Il pasticciaccio dell’Expo è emblematico e speriamo ci abbia insegnato qualcosa.
Intanto, continuiamo ad attendere il sole. "Waiting for the sun", cantava Jim Morrison.

 

 

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