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Analisi
03.08.2014 - 00:030
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Lettera aperta a Marco Solari: "Presidente, ma lei cosa pensa del caso Polanski? E non sarebbe meglio se lo chiamasse e gli dicesse: Roman non venire?"

L'ANALISI - Il Festival non può non tener conto della politica. Dopo le polemiche su L.A. Zombie e Senzani, la "provocazione" di Polanski. Il silenzio del presidente e del Municipio

di Marco Bazzi

Caro Presidente Solari,

in veste di responsabile primo del Festival del film di Locarno lei si sarà certamente reso conto che in Ticino si è posto un problema a proposito della presenza di Roman Polanski.

A Locarno il grande regista terrà una lezione e riceverà il premio “Maestro del cinema”. Se lo merita senza alcun dubbio, quel riconoscimento. Basti citare tre suoi film a me cari per non avere dubbi: Rosemary’s Baby, Chinatown e il Pianista.

Ma la presenza di Polanski a Locarno viene giudicata ingombrante e inopportuna da parecchie persone (anche comuni cittadini), e non solo da ambienti politici legati al Partito popolare democratico, il cui capogruppo, Fiorenzo Dadò, ha per primo sollevato il problema.

Non sto a ripetere i motivi. Sono legati alla vecchia vicenda del ’77, quando Polanski fece sesso, nella villa di Jack Nicholson, con una ragazzina non ancora quattordicenne. Da qui a dire che Polanski è un pedofilo il passo è ancora lungo, ma si sa che per colpire occorre “semplificare”.

Uomo libero per la Svizzera, il regista risulta ancora latitante per gli Stati Uniti. Ma da un intellettuale di fama mondiale come lui si dovrebbe pretendere che regoli definitivamente i suoi conti con la giustizia americana, per quanta poca stima e fiducia si possa avere dal profilo giudiziario verso una nazione in cui vige ancora la pena di morte, o che rinchiude i terroristi, veri o presunti, come animali nel lager di Guantanamo.

Ma facciamo un parallelo, e poi le spiego perché: a differenza di un personaggio squallido come l’ex brigatista Cesare Battisti – che ancora si nasconde in Brasile come facevano i vecchi gerarchi scampati a Norinberga – il professor Toni Negri, accusato di semplice apologia di reato per essere stato il teorico dell’Autonomia Operaia - si noti bene: senza aver mai impugnato una P38 e sparato a chicchessia -, ha scontato i suoi anni di galera e di arresti domiciliari a Roma. Ed è rientrato volontariamente dall’esilio francese per regolare i suoi conti con la giustizia (ingiustizia, a mio parere, in questo caso) italiana. Durante la prigionia ha scritto un saggio illuminante, “Impero”, che vale la pena di leggere.

Toni Negri, che ho avuto il piacere di conoscere e di intervistare alcuni anni fa nella sua casa di Trastevere, non è un personaggio che sprizza simpatia, ma è un uomo che ha le palle. Quando fu arrestato, il 7 aprile del ’79, io avevo solo 19 anni ma ricordo benissimo quel giorno e conservo ancora i giornali di allora: per me il processo all’Autonomia fu e rimane uno scandalo del regime – sottolineo regime - italiano di allora.

Sa anche perché, Presidente Solari, mi è venuto in mente Toni Negri pensando al caso Polanski? Perché il suo Festival l’anno scorso è finito nella bufera per aver invitato a Locarno un brigatista rosso – uno di quelli che ammazzavano, che usavano la pistola anziché il cervello, come faceva e fa Toni Negri -: Giovanni Senzani.

E mi scusi, Presidente, ma Senzani non lo si doveva proprio invitare a Locarno, tanto più per sentirgli dire che il pentimento di un brigatista è inutile, perché – semplifico - la storia ha assolto gli assassini. Ma come si permette uno che faceva il boia degli ideologi di vaneggiare tesi del genere a un Festival del film dove è entrato per caso e senza alcun merito? Ma fosse Martin Scorsese, fosse Coppola, Tarantino… o Polanski.

E poi, dai, diciamoci sinceramente che quel film, “Sangue”, girato a metà con un telefono cellulare (così dichiarava il regista, Pippo Delbono) era, come avrebbe detto il ragionier Fantozzi, “una cagata pazzesca”. Senza il brigatista non pentito – che “fa sangue” - sarebbe rimasto un filmino da proiettare per gli amici. Ma voi, Presidente, lo avete messo in concorso!

Ho un po’ divagato, forse, e a questo punto devo dire che mi manca (ci manca) la sua voce. Dov’è il Presidente mentre il suo Festival viene bombardato da raffiche di critiche? Perché non risponde?

L’abbiamo cercata, come immagino abbiano fatto altri colleghi, ma lei ha deviato i giornalisti sul direttore operativo, Mario Timbal. Eh no, Presidente, con tutto il rispetto per Timbal, i ticinesi vogliono sapere cosa ne pensa lei del caso Polanski. E magari, se parla, li convince.

Da parte delle “istituzioni”, lei in primis, ma ci metto anche il Municipio di Locarno, il cui sindaco, Carla Speziali, è vicepresidente del Festival, c’è stato su questa vicenda un incomprensibile, inspiegabile black out.

Caro Presidente, lei sa com’è fatto il Ticino. Locarno non è Cannes e nemmeno Berlino, è inutile che ci illudiamo... Non abbiamo il “red carpet” e i paparazzi a caccia di vip. Locarno è una cittadina di 20'000 abitanti che fa parte di un Cantone che ne conta poco più di 300'000. Siamo provincia, Presidente, con i pregi e i difetti che ne conseguono. Una provincia dove la politica fa più rumore che nelle aule dei parlamenti delle grandi nazioni. E il suo Festival non può ignorare la politica, salvo poi andare a chiederle sostegni e sovvenzioni.

Mi vien quasi da pensare – sfioro il paradosso - che l’idea di invitare Polansky sia venuta a qualcuno per far naufragare il credito che il Gran Consiglio dovrà votare nei prossimi mesi per il tanto discusso Palacinema. Sarebbe interessante sapere, a questo proposito, cosa ne pensa – ma cosa ne pensa veramente - lei, Presidente, del progetto edilizio che ci si appresta a mettere in cantiere.

Gli appalti son già stati assegnati e si sa anche a chi. Ma vorremmo sapere la sua opinione sincera. Non è forse meglio puntare carte e denari su un vero polo cinematografico al Palazzetto Fevi invece di andare a incartarsi in una vecchia scuola per prendere dieci milioni di franchi da un anziano benefattore? Lei che è un uomo di mondo, sa benissimo come vanno a finire le cose quando ci sono di mezzo i “benefattori”…

Chiuso l’inciso. Torniamo a Polanski e immaginiamo che a Locarno nasca un festival della letteratura. Probabilmente se venissero invitati poeti e scrittori come Henry Miller, Aragon, Bukowski o Genet, bestemmiatori come Celine, folli come Artaud, omosessuali come Wilde, Lorca, Pasolini o mille altri, ci sarebbero oggi – nel ventunesimo secolo dalla nascita di Cristo Redentore - levate di scudi.
Son tutti morti, ormai, ma stiamo facendo un gioco. Per dire che viviamo in un posto così, e dobbiamo prenderne atto, Presidente. Non si possono coltivare rose nel deserto e nemmeno allevare acciughe nel lago. Dobbiamo fare i conti anche con la morale - o il moralismo – corrente.

Quindi, se negli ultimi tre anni il Festival che lei presiede fa discutere in Ticino quasi soltanto per alcune discutibili scelte “artistiche”, lei e i suoi collaboratori dovreste porvi una semplice domanda: vi va bene così, e quindi intendete proseguire consapevolmente sulla via della provocazione – da L.A. Zombie a Senzani a Polansky, e cito anche il flop “soft porn fetish” di Zone Umide – o siete sinceramente sorpresi delle reazioni politiche e popolari?

Basta mettere in chiaro le regole del gioco. Poi, se avete le palle, il prossimo anno potreste proporre in Piazza Grande “Salò” di Pasolini, con lettura di alcuni brani, che potrei consigliarle, delle “120 Giornate di Sodoma” del Marchese De Sade, l’opera a cui il poeta e regista friulano s’è ispirato.

Per chiudere torno a Polanski. Presidente, per il bene del Festival e dello stesso regista, lo chiami e gli dica: “Caro Roman, succede questo e questo, e forse è meglio che a Locarno non ci vieni”.

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