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Politica e Potere
20.08.2014 - 06:030
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Jelmini: "Bertoli dovrebbe chiedersi se come presidente del Governo è ancora al suo posto. A me così non va più bene"

Il presidente del PPD solleva il problema istituzionale: "Al di là della libertà di espressione, chi rappresenta il Governo e il Ticino non può fare discorsi da presidente di partito come ha fatto Bertoli sul 9 febbraio e sulla cassa malati unica"

LUGANO – “Il discorso pronunciato da Manuele Bertoli in occasione della Festa nazionale non avrà offeso nessuno, come dice lui, e sicuramente propone dei punti di vista interessanti e contribuisce a tenere aperto un dibattito politico. Ma è un discorso da presidente di partito e non da presidente del Consiglio di Stato”.

Giovanni Jelmini interviene nella polemica che si è scatenata nelle ultime due settimane, varcando spesso i toni del confronto civile, sulle esternazioni del ministro socialista sul voto del 9 febbraio.

“Secondo me – dice a liberatv il presidente del PPD - è giunto il momento di affrontare il tema in termini generali. Un discorso come quello che ha fatto Bertoli lo possono fare Saverio Lurati o il sottoscritto, ma non un ministro, tantomeno un presidente del Governo, a meno che non sia stato concertato nel collegio governativo”.

“Il mio ragionamento è semplice e istituzionale - spiega Jelmini -, e parte dalla Costituzione cantonale: il Consiglio di Stato è l’autorità chiamata a dirigere collegialmente gli affari cantonali in base alle competenze previste dalle Costituzioni e dalle leggi. Il Governo deve occuparsi di pianificare l’attività del Cantone, di curare l’esecuzione delle leggi e le decisioni del Parlamento, di amministrare le finanze e di rappresentare il Cantone stesso nei confronti della Confederazione e degli altri cantoni. Questo dice la nostra carta fondamentale”.

“Dirigere in modo collegiale – prosegue - significa che gli affari del collegio sono prioritari rispetto a quelli dei membri del Consiglio di Stato, che sono chiamati ad essere solidali con i loro colleghi e le deliberazioni del collegio ancor prima che con le posizioni del proprio partito. In più, il presidente del Governo, che di per sé non dispone di alcun potere supplementare, è chiamato a rappresentare l’intero Governo verso l’esterno”.

Ognuno, che abbia o no cariche politiche, precisa il leader del PPD, ha il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, “ma il presidente del Governo non può dimenticarsi che è chiamato prioritariamente a rappresentare, soprattutto quando parla in pubblico, il Consiglio di Stato e il Canton Ticino”.

Da qui la domanda che Jelmini pone: “Le esternazioni pubbliche di Bertoli in occasione del primo agosto, come quelle più recenti a difesa della cassa malati unica federale, che è semmai materia del Dipartimento sanità, come pure la proposta di creare un’area industriale da parte del Cantone, che è di competenza del Dipartimento dell’economia, sono opportune e legittime?”.

La risposta di Jelmini è chiara: “Se su questi temi delicati e importanti il presidente del Governo non ha prima discusso con i suoi colleghi, e raggiunto un’opinione condivisa con loro, a mio parere bisogna chiedersi se è al suo posto”.

A me, aggiunge, questo modo di fare non va più bene. “Perché altrimenti dobbiamo ridisegnare i limiti e le competenze dei ministri e del presidente, e chiarirli anche in modo formale. Perché, soprattutto in questo momento in cui si respira già aria elettorale, il sospetto è che vi sia un utilizzo improprio di quella che è la più alta carica istituzionale conferita dal popolo ticinese. Governare è innanzitutto un servizio ai cittadini e non deve essere un’occasione per promuovere le proprie visioni politiche personali. Chi non sa distinguere il ruolo istituzionale da quello partitico deve fare una seria e onesta riflessione per evitare, lui sì, di ingannare gli elettori”.

Jelmini ricorda di aver già criticato durante la legislatura alcune dichiarazioni di Manuele Bertoli, “perché non ritengo opportuno che un consigliere di Stato continui a promuovere le visioni e le ragioni del suo partito, di cui è stato tra l’altro presidente, piuttosto che la linea del governo”.

Il discorso, conclude, “vale evidentemente per tutti i ministri, che ultimamente, in barba al principio della collegialità che ha garantito negli ultimi decenni la governabilità del nostro Paese, sembrano più interessati a promuovere le proprie opinioni e quelle delle loro aree di appartenenza”.
 
Come vale anche per chi presiede il Gran Consiglio, per i municipali e i presidenti dei consigli comunali, in particolare se si tratta di comuni importanti.

emmebi

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