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Cronaca
29.08.2014 - 07:170
Aggiornamento: 03.10.2018 - 16:25

"Imprenditori italiani attenti: il Ticino non è l'Eldorado! Uccide le aziende con tasse e controlli"

Il quotidiano il Giorno: "Molti espatriano da imprenditori e dopo un anno rientrano in Italia sul lastrico. O perchè sono sprovveduti o perchè si ritenevano troppo furbi, incappati nei rigidissimi controlli elvetici"

MILANO – “Partire o rimanere. Un dubbio amletico che molte aziende italiane hanno pensato di risolvere cedendo alle lusinghe del Canton Ticino, a un tiro di schioppo dal Belpaese ma lontano anni luce dagli studi di settore e dai mille ostacoli quotidiani della burocrazia. Un paradiso solo apparente, perché la fortuna dello Stellone per molti si è fermata a Chiasso, dove sono proprio le imprese italiane a guidare le liste dei protesti e dei fallimenti”...
Il quotidiano milanese Il Giorno dedica un articolo, firmato dal giornalista Roberto Canali, alle imprese italiane “uccise” e agli imprenditori impoveriti dal Canton Ticino. Ve lo proponiamo integralmente. Ai lettori l’ardua sentenza…

“Molti di loro espatriano da imprenditori e dopo un anno rientrano in patria sul lastrico, costretti alla bancarotta. O perché troppo sprovveduti o al contrario perché si ritenevano troppo furbi, in entrambi i casi incappati senza via di scampo nei rigidissimi controlli elvetici”. 
“Cambiare aria fa bene, lo sanno i medici che spesso consigliano un viaggio ai loro pazienti in aggiunta alla cura. Questione di fisico, perché se per alcuni spostarsi significa rendere più breve la convalescenza, per altri allontanarsi da casa porta ad aumentare le proprie idiosincrasie e in definitiva a stare peggio. La regola non vale solo per le persone, si ammalano e qualche volta muoiono, ma anche le aziende che decidono di chiudere i battenti in Italia per tentare la sorte altrove. Da questo punto di vista le imprese italiane che negli ultimi due anni hanno scelto di trasferire le loro attività in Canton Ticino si sono dimostrate di salute molto cagionevole. Sono loro, infatti, a guidare la classifica dei fallimenti nel cantone locomotiva dell’economia elvetica, dove la crescita del Pil (+6%) è il doppio rispetto al resto della Confederazione. Una buona stella che non brilla per gli italiani, che invece guidano la classifica delle aziende che chiudono per insolvenza oppure vengono costrette ad abbassare la serranda perché non rispettano le rigidissime regole del fisco svizzero”.

“Da gennaio a luglio hanno chiuso 395 ditte, il 62% in più rispetto all’anno scorso. Più della metà sono imprenditori italiani che in tempi non sospetti hanno ceduto alle lusinghe del Canton Ticino, dove le aliquote fiscali sono poco più della metà rispetto a quelle italiane e la burocrazia è praticamente inesistente. A dare loro il benvenuto a Chiasso, l’ottobre dello scorso anno, era stato addirittura il sindaco, Moreno Colombo, il quale aveva organizzato un incontro a cui avevano partecipato oltre 600 imprenditori da Lombardia, Veneto e Piemonte. A un anno di distanza molti di loro si sono accorti di essere finiti dalla padella alla brace. Se infatti in Svizzera la pressione fiscale è minore, i controlli da parte degli enti ispettivi sono sistematici. Non solo, molti imprenditori per pagare meno imposte hanno scelto di aderire al cosiddetto concordato, che consente di dichiarare prima il proprio fatturato presunto e godere di aliquote agevolate”.

“Peccato che molti di loro tra spese di avvio, costo di affitto dei capannoni (dalle tre alle quattro volte più cari rispetto alle zone industriali italiane) e imposte locali alla fine non riescono a rispettare il budget che si erano prefissati. Impossibile pensare di rateizzare, in Svizzera dove le tasse si pagano tutte e subito. L’hanno scoperto a loro spese i nostri imprenditori che, inoltre, in molti casi vengono pizzicati per le cosiddette lacune organizzative, ovvero l’abitudine tutta italiana di sottopagare i dipendenti, non applicare i contratti nazionali e le prescrizioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. In un solo anno le chiusure imposte per lacune organizzative sono lievitate da 39 a 189, quasi tutte ai danni di imprese trapiantate in Ticino, mentre i fallimenti veri propri sono stati 206”.

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