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02.09.2014 - 17:190
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Il Ticino e il record di interrogazioni, Corti: “Il diritto di porre domande è sacrosanto, ma ci vuole un po’ di buon senso”

Trecento atti per un totale di 1'168 ore lavorative, questi i numeri da capogiro commentati dal presidente del Gran Consiglio: “Quando posso arrivare personalmente alla risposta, perché fare di tutto per ‘farmi servire’ sprecando il tempo dei funzionari?"

BELLINZONA – L’interrogazione di Giancarlo Seitz verteva sulla legittimità dei cinguettii dei ministri, ma la risposta data dal Governo risulta interessante soprattutto per un altro aspetto emerso, o meglio, confermato. In Ticino è record di interrogazioni. Trecento in media le domande presentate all’anno dai deputati al Consiglio di Stato. Se si calcola, precisa l’Esecutivo, che il tempo di elaborazione medio di una risposta è di 4 ore, “quello complessivo nel 2013 è stato pertanto di 1'168 ore lavorative”. Inoltre, ricorda ancora il Governo, un confronto intercantonale dell'Università di Losanna ha mostrato che il Ticino è il Cantone con il maggior numero di atti parlamentari.

Insomma un primato non di poco conto, di cui abbiam discusso con il presidente del Gran Consiglio Gianrico Corti, chiedendogli, innanzitutto, cosa pensa del quadro emerso.

“Questa media di 300 atti all’anno mi porta a fare due considerazioni. In primis, i parlamentari hanno il diritto di poter ottenere informazioni rivolgendo domande dirette all’Esecutivo, questo è indiscutibile. Tuttavia c’è però anche il dovere alla parsimonia e al formulare atti che seguano il principio dell’interesse pubblico e che riguardino effettivamente le attività del Governo. Mentre a volte capita che lo stesso Consiglio di Stato sia in difficoltà nel rispondere su temi che non lo competono direttamente”.

Il record rimarcato dal Cantone non è però una novità, si tratta di un ‘fenomeno’ conosciuto che trova ora ulteriore conferma.

“Sì, è una costante e qui si arriva alla mia seconda considerazione. Da anni si assiste a un numero di interrogazioni così alto e, nonostante nella legge che regola gli atti parlamentari vi sia anche un termine indicativo per la loro evasione, molti deputati sono in attesa da lungo tempo (io stesso da anni) di una risposta. Chiaro quindi che qualche deputato se ne lamenti. Ma è anche vero che il numero è molto elevato: il Governo parla di una mole di più di mille ore di lavoro sulle interrogazioni, che va a sommarsi al tempo speso nelle altre attività. È un numero che dovrebbe quindi far riflettere chi vuole porre una domanda prima di inoltrarla effettivamente”.

Parliamo infatti di 300 atti all’anno, quasi uno al giorno. Non è un uso-abuso che rischia di ingolfare il lavoro delle istituzioni?

“Molti utilizzano lo strumento con parsimonia, una fetta più ridotta invece sembra inoltrare atti a ‘ogni piè sospinto’. Ma bisognerebbe tenere a mente che dietro a ogni risposta ci sono persone che vi hanno lavorato. Cosa prevista, di fronte a un numero importante come questo però, bisognerebbe riflettere sulla opportunità di presentare così tante richieste. Una ‘presa di coscienza’ a cui, velatamente, ha voluto invitare anche il Governo indicando in fondo ad ogni atto quanto tempo è stato impiegato per la sua evasione. Proprio, a mio avviso, per far riflettere chi pone le domande. Anche perché, spesso, vi sarebbero anche altri canali per ottenere le risposte cercate, come prender contatto diretto con i funzionari dei dipartimenti competenti o consultare ad esempio l'Annuario statistico del Cantone. L’interrogazione ha il valore di un ‘tema caldo’, in cui è necessario sollecitare l’immediata attivazione dell’Ente pubblico. Ci vorrebbe quindi un po’ di buon senso e parsimonia: insomma, quando posso arrivare personalmente alla risposta, perché fare di tutto per ‘farmi servire’ sprecando il tempo dei funzionari?”

E qui veniamo alla questione della visibilità.  Aspetto sollevato dallo stesso Governo nel rispondere a Seitz avanzando il dubbio che “taluni atti vengano presentati con l’obiettivo primario di ottenere una certa visibilità”, più che con un interesse verso la risposta.

“È un’interpretazione che potrebbe per taluni esser una certezza, ma rientra nell’aspetto umano di colui che interpreta così il suo esser deputato, ossia che debba esser necessario mostrarsi per farsi ricordare e dimostrare al popolo di star svolgendo il proprio lavoro. Ma vorrei ricordare che c’è tutto un lavoro molto più ampio non narrato che viene effettuato con dedizione dai deputati nelle diverse commissioni e che non dovrebbe esser dimenticato. Il diritto di porre domande rimane sacrosanto, ma il fatto stesso che il Governo abbia lanciato un forte richiamo indicando di volta in volta quanto questo ci costa era una specie di farmaco contro il proliferare delle interrogazioni, che, vista la media, non ha fatto effetto. Dal canto mio prendo atto di questo invito e tutti noi deputati cerchiamo di non intasare troppo il sistema con domande che si potrebbero comunque porre ma con meno spreco di tempo ed energie”.

ibi

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