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Cronaca
21.09.2014 - 14:530
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

L’allarme degli esperti: “Nel 2100 sulla Terra abiteranno undici miliardi di persone. Quali le conseguenze?”

Lo scenario dipinto da uno studio americano pone interrogativi sulla fame nel mondo, le risorse, ma anche sulle guerre, le tensioni sociali e l’assistenza sanitaria, perché, “all’origine di molti problemi dell’umanità c’è proprio la sovrappopolazione"

SEATTLE – Nel 2100 saremo undici miliardi di persone. È l’allarmante dato, per le sue ripercussioni, emerso da uno studio guidato dal professore di statistica e sociologia Adrian Raftery dell’Università di Washington, ripreso dall’edizione on line del Corriere.

Studio che smentisce le previsioni di molti esperti in demografia, concordi nel sostenere che la popolazione avrebbe continuato a crescere fino al 2050, raggiungendo i nove miliardi, per poi rimanere stabile, se non dare avvio a una leggera diminuzione.

Secondo il team guidato da Raftery, che si è avvalso di sofisticati metodi statistici, c’è invece il 70% di possibilità che all’alba del ventiduesimo secolo gli abitanti del pianeta sfioreranno quota 11 miliardi. L’aumento più marcato si registrerà nell’Africa sub-sahariana, dove dall’attuale miliardo di abitanti la popolazione crescerà con un valore oscillante tra i 3.5 e i 5 miliardi di persone.  Ma le stime prevedono un aumento generalizzato in tutta l’Africa, dato l’altissimo tasso di natalità.

Raftery e il suo team tornano quindi a invocare l’urgenza di porre nuovamente al centro del dibattito le politiche migratorie, abbandonate negli ultimi tempi in seguito all’inversione di tendenza del tasso di natalità registrato a partire dagli anni Ottanta. Lo scenario dipinto dallo studio porta infatti di nuovo in auge interrogativi pressanti sulla fame nel mondo, l’inquinamento, l’esauribilità delle risorse del pianeta, ma anche le guerre, le tensioni sociali e l’assistenza sanitaria, perché, come ricordano gli esperti, “all’origine di molti problemi dell’umanità c’è proprio la sovrappopolazione del mondo”.

Senza andare a guardare alle possibili ripercussioni più nefaste, come guerre e tensioni sociali, a porre gravi problemi potrebbe essere già il solo invecchiamento della popolazione, che arriverà a riguardare anche popolazioni oggi relativamente molto giovani come, ad esempio, il Brasile. Un ‘esercito’ di anziani che metterà a dura prova lo stato sociale e la sanità, perché questi “avranno bisogno di cure, di pensione e di assistenza, imponendo un ripensamento delle politiche governative e della società”.

Che fare quindi? Secondo gli esperti occorre certamente tornare a investire su politiche di controllo delle nascite consapevole, non solo quindi in un informazione legata ai metodi contraccettivi, ma anche in una sensibilizzazione maggiore sull’esistenza o meno di condizioni necessarie a provvedere ai propri figli per quel che riguarda la loro salute e la loro istruzione.

Il problema però non riguarda solo la scarsa conoscenza dei metodi contraccettivi, ma è anche di tipo culturale. Tornando al caso Africano, gli esperti citano l’esempio della Nigera, dove si prede che la popolazione passerà dagli attuali 200 milioni a 900 milioni di abitanti nel 2100. Qui, dove ben il 28% delle donne non conclude l’istruzione primaria, il mito della famiglia numerosa è culturalmente dominante, dato che le donne vedono il loro ruolo femminile ancora fortemente ancorato al solo essere madre.

E proprio l’istruzione è un fattore che può giocare un ruolo determinante nel cambio di mentalità necessario alla riuscita delle politiche demografiche. È infatti ormai cosa nota il legame inversamente proporzionale esistente tra il grado di formazione femminile e il numero di figli per donna. Nel Ghana, ad esempio, la media di 5.7 figli delle donne non scolarizzate, scende dai 3.2 per quelle che hanno concluso l’istruzione secondaria ai 1.5 di quelle laureate.

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