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Cronaca
14.10.2014 - 15:270
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Furti e rapine, Perugini: "Siamo accerchiati. Pene severe e deterrenti. Se no ci facciamo prendere in giro. Più polizia sul territorio e i cittadini ci aiutino"

Il procuratore generale aggiunto traccia un'analisi lucida e a 360 gradi della nuova "fenomenologia criminale che nasce dalla crisi che c'è attorno a noi". E su Schengen dice...

di Marco Bazzi

BELLINZONA - “Nella popolazione serpeggia, e non a torto, un senso di insicurezza. Gli ultimi episodi criminali dimostrano un salto preoccupante di qualità: entrare nelle abitazioni la sera, quando proprietari e inquilini sono in casa, o rapinare negozi armati di fucili a pompa e pistole, dimostra da parte di chi lo fa una determinazione assoluta a raggiungere il proprio obiettivo, anche con la violenza”.

Antonio Perugini, procuratore generale aggiunto, è un fiume in piena. Traccia un’analisi lucida a 360 gradi dei fenomeni criminali che sempre di più toccano la popolazione. Parla delle armi spuntate dalla giustizia, degli effetti negativi degli accordi di Schengen, della necessità di maggiori operazioni di prevenzione da parte delle forze dell’ordine. E lancia un appello ai cittadini: collaborate con noi per difendere il territorio, osservate, segnalate, informate…

Un’analisi, quella di Perugini, che parte dagli ultimi fatti di cronaca: i furti nelle Centovalli commessi dai due giovani romeni morti dopo essere precipitati nella Melezza, la rapina di Pura, dove una donna è stata sopraffatta e legata da individui entrati in casa sua, la rapina con sparatoria alla stazione di servizio di Brusino Arsizio. Senza contare tutti gli altri furti che vengono commessi ogni giorno senza trovare spazio nelle cronache.

“Il tipo di obiettivo è quello più vulnerabile e meno presidiato: la casa privata o la stazione di servizio – dice Perugini a liberatv -. Oggi ti entrano in casa senza nemmeno preoccuparsi che non ci sia nessuno. Spesso riducono l’obiettivo a livello di bottino, ma aumentano il rischio. Inoltre, subire un furto in casa è devastante dal profilo psicologico: ti lascia un segno indelebile, soprattutto se sai che potevi trovarti faccia a faccia con malviventi pronti a tutto”.
Il caso delle Centovalli, drammatico nel suo esito, aggiunge il magistrato, dimostra la determinazione di queste persone: “Sei disposto a giocarti anche la vita pur di raggranellare qualcosa. È il frutto del clima di disperazione che ce n’è attorno a noi”.

Quello che sconcerta, prosegue, “è la netta sproporzione tra il risultato raggiunto in termini di bottino rispetto al grado di pericolosità, penso qui in particolare al malvivente che ha sparato con un fucile a pompa alla vetrina del negozio di Brusino. Il problema è che le nostre leggi sono proporzionate a un grado di rischio accettabile per la comunità in una situazione ‘normale’. Ma negli ultimi anni abbiamo avuto a pochissima distanza dai nostri confini una diffusa pratica della clandestinità. Un fenomeno che nasce dal malessere economico e sociale diffuso in certe nazioni, e quindi noi, paese benestante e tranquillo, siamo diventati uno degli obiettivi privilegiati dalla malavita”.

Settimana scorsa c’erano qui i colleghi romandi, aggiunge ribadendo quanto ha detto ieri il ministro Norman Gobbi, “e la stessa cosa succede nella Svizzera francese: furti e rapine commessi da gente estremamente determinata. Nel Giura e a Vaud hanno il problema dei lionesi, a Ginevra sono confrontati con bande marsigliesi... Siamo accerchiati da nazioni che vivono gravi problemi e la crisi che c’è attorno a noi ci sta portando ad essere sempre di più un obiettivo per la malavita”.

È vero che in teoria anche per i furti nelle abitazioni sono già previste pene molto severe, spiega il procuratore, “ma la prassi giurisprudenziale ha altri parametri: se l’individuo è incensurato e non ci sono elementi aggravanti, il codice ci impone la condizionale di diritto. In caso di rapine o furti seriali, per chi è straniero non domiciliato il carcere preventivo è la regola, ma poi? Quali sono le pene?”

È il dibattito che c’è in corso adesso, con la revisione del Codice penale, dice Perugini: “Negli anni scorsi sono stati banalizzati reati gravi, ed è stato un errore. Condannare a pene pecuniarie chi viene a rubare nelle nostre case significa farci prendere in giro. In più pene sospese… Non c’è più nemmeno l’effetto deterrente nei confronti dei fenomeni criminali di cui sono vittima soprattutto i cantoni di frontiera. Vai colpisci e fuggi, spesso in giornata, questa è la regola. Capite che diventa un’invasione incontrollabile… Oppure gente che vive nascondendosi nei boschi e usandoli come rifugi o basi da cui partire per le razzie”.

Poi oggi con la libera circolazione puoi sospettare di tutti e di nessuno, si è persa un po’ la conoscenza reciproca anche nei paesi, annota il magistrato. “E c’è ormai un garantismo tale che come inquirente devi andare con i piedi di piombo se non hai sufficienti elementi di prova. Il problema è dunque mantenere quel grado di affidabilità e di garanzia da parte delle forze dell’ordine e della giustizia che eviti alla popolazione la tentazione di farsi giustizia da se”.

Che fare dunque? “Certamente - dice Perugini - bisogna mettere in campo con maggiore frequenza dei piani strategici di prevenzione coinvolgendo in modo sinergico tutte le forze dell’ordine: gendarmeria, polizie comunali, guardie di confine. Una presenza coordinata sul territorio che deve diventare più sistematica. Perché quando si fanno queste operazioni i risultati si ottengono”.

In secondo luogo, aggiunge, “bisogna insistere affinché la riforma generale del Codice penale arrivi al più presto con il ripristino delle pene di breve durata e l’abolizione delle pene pecuniarie, che non hanno effetto deterrente contro la criminalità di frontiera. La politica deve darci qualche strumento più aguzzo per far fronte a questa nuova fenomenologia criminale. Il problema è che le modifiche implicano anni e noi siamo da tempo nell’emergenza. Però adesso il tempo della riflessione e della valutazione è finito: sono passati sette anni dall’entrata in vigore del nuovo Codice”.
Poi una stilettata: “Quando le leggi le fanno i professori, persone che non sono al fronte e non vivono la realtà dei fatti, diventa difficile per il legislatore capire quali possono essere le necessità nei momenti di emergenza. Spero che non dovremo arrivare a varare leggi speciali, come hanno fatto altri paesi, per esempio la Francia, dove puoi essere condannato da un giudice in pochi minuti fino a 5 anni di prigione. Perché così si sfocia nella giustizia sommaria, che non è ciò che auspichiamo. La giustizia dev’essere equa ma anche celere ed efficace per far fronte all’evolversi molto veloce delle fenomenologie criminali”.

Gli accordi di Schengen hanno fatto il resto, dice senza peli sulla lingua: “Nessuno prevedeva che si sarebbero innescati fenomeni del genere così diffusi. La realtà dimostra che si sta muovendo molto più massicciamente la criminalità di professionisti, turisti o lavoratori. Quindi anche a livello europeo è urgente un ripensamento delle regole e bisogna introdurre delle clausole che possano dissuadere le migrazioni criminali, lasciando comunque aperte la porta alle persone oneste. ‘Fuori tutti’ o chiudere le frontiere non sono soluzioni ragionevoli”.

Questa situazione rischia anche di frustrare le nostre forze dell’ordine che non riescono a fare quello che dovrebbero fare in queste situazioni, conclude il magistrato. “È una situazione disagevole per tutti, anche per noi procuratori. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, perché si sta risvegliando nella popolazione uno spirito di maggiore partecipazione alla salvaguardia della sicurezza, che è un dovere civico di tutti. Anche i cittadini possono aiutare la giustizia, informando segnalando e contribuendo ad acquisire indizi e prove che saranno poi necessarie per le condanne. Sempre che i malviventi vengano arrestati…”. 

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