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Salute e Sanità
19.10.2014 - 19:120
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Ebola, la peste del Terzo Millennio. Cassis: "Gino Strada ha ragione. Se non lo fermiamo in Africa arriverà da noi. Niente panico, ma dobbiamo agire"

Più contagioso dell'AIDS. Arriva dai pipistrelli e ti lascia un mese di vita. Parla il consigliere nazionale che fa parte dell'Unione interparlamentare: "Ecco cosa chiediamo alla Svizzera"

di Marco Bazzi

“L’ebola arriverà da voi se non lo fermiamo qui in Africa. E non arriverà attraverso i barconi, ma attraverso i voli in business class”. Un monito. Una provocazione. Firmato Gino Strada, il medico padre di Emergency. L'ebola, per ora, è soltanto un incubo. Una parola che sentiamo ripetere nei resoconti della cronaca internazionale. Ogni tanto pensiamo: e se arrivasse anche da noi? Ma poi la nostra mente corre all'aviaria e ci diciamo: ma sì, sono i soliti allarmismi, inventati magari dalle multinazionali farmaceutiche... Ma l'ebola è diverso. Questa volta il rischio è altissimo. È la peste del Terzo Millennio.

“Gino Strada ha ragione – commenta il consigliere nazionale Ignazio Cassis, ex medico cantonale e membro dell’Unione interparlamentare, l’organismo internazionale dei Parlamenti, che settimana scorsa si è riunita a Ginevra proprio per discutere l’emergenza ebola -. Quella dei voli business è un po’ una provocazione, ma sono certo che Strada intendeva dire che l’ebola può insinuarsi là dove meno te lo aspetti e che dobbiamo investire risorse in Africa per fermare il virus prima che sia troppo tardi. Se pensassimo che chi vola in business non possa portare il contagio sbaglieremmo di grosso. È proprio attraverso i punti di debolezza che l’epidemia si espande”.

Tutti i paesi devono attivare dispositivi di controllo negli aeroporti in cui arrivano voli diretti dall’Africa Occidentale, caso che non riguarda comunque i nostri scali, spiega il consigliere nazionale.

“Dobbiamo contare dunque sui controlli negli aeroporti francesi, per esempio. Esistono mezzi efficaci per efettuarli, come le telecamere che misurano automaticamente a distanza la febbre. Poi bisogna informare correttamente il personale e i passeggeri dei voli a rischio, in modo che segnalino eventuali sintomi di ebola, come febbre perdurante sopra i 38 gradi ed eventuali macchie rosse sul corpo, perché l’ebola provoca sanguinamenti sottocutanei ed emorragie interne. Questi controlli permettono di selezionare le persone a rischio tra quelle provenienti dai paesi toccati dall’epidemia, quindi Liberia, Sierra Leone e Guinea”.

Il rischio si può ridurre ma non eliminare, aggiunge Cassis, e anche l’immigrazione illegale dall’Africa comporta un certo margine di pericolo, anche se il decorso della malattia è talmente rapido che lo riduce drasticamente: l’ebola si manifesta infatti in una finestra temporale che va da 2 a 20 giorni al massimo dal momento del contagio, e la morte sopravviene entro un mese. Inoltre, nel 70% dei casi chi è contagiato non sopravvive.

“Non bisogna quindi eccedere nel panico – aggiunge il consigliere nazionale -: è importante dire chiaramente che i paesi europei non sono in questo momento a rischio: l’emergenza per noi non è sul territorio ma sul piano internazionale: dobbiamo fermare l’epidemia prima che si trasformi in pandemia!”. 

Il pericolo della pandemia esiste ed è concreto, questa volta non è uno scherzo, perché l’ebola è letale. Ora tutti gli sforzi della comunità internazionale sono rivolti a contenere l’epidemia, per limitarla all’Africa occidentale dove è esplosa.
“In questo senso vanno le risoluzioni dell’Onu e quella dell’Unione interparlamentare, di cui io faccio parte – dice Cassis -. Abbiamo emanato nei giorni scorsi una risoluzione urgente ai paesi membri, Svizzera compresa, che ricalca quella dell’ONU, e che invita i membri dell’Unione a stanziare i crediti necessari affinché siano attuati tutti gli sforzi possibili per circoscrivere e sconfiggere l’epidemia nell’Africa occidentale. Le cifre sono impressionanti: in Liberia l’ebola ha già ucciso metà dei medici di tutto il paese. È una situazione di catastrofe e il sistema sanitario, già debole, è in ginocchio. Senza un massiccio sostegno internazionale l’epidemia si espanderà. Ha ragione Gino Strada”.

In questo contesto internazionale anche la Svizzera deve fare la sua parte, spiega Cassis. “Nei prossimi giorni invieremo in Liberia una missione “di ricognizione” composta da una decina di persone che hanno il compito di verificare concretamente in che modo il nostro paese potrà sostenere il dispositivo dell’ONU già presente nelle tre nazioni colpite. La richiesta che ci è stata fatta è di un sostegno logistico, senza contatto con i malati. Quindi trasporti, in particolare elicotteri, sistema sanitario per i membri della missione internazionale, e approvvigionamento idrico e alimentare”.

Se osservi tutte le precauzioni a contatto con i malati non c’è pericolo di contagio, ma basta un errore, o una disattenzione, e l’ebola colpisce. 

È un virus che non si trasmette, almeno per ora - perché potrebbe mutare in futuro -, per via aerea, spiega Cassis, ma attraverso il contatto diretto: o toccando la persona infetta o venendo a contatto con i suoi liquidi biologici. Non solo rapporti sessuali, quindi.

“È molto più contagioso dell’AIDS. E purtroppo tra il 60 e il 70% di chi si ammala muore nel giro di un mese. Purtroppo dal profilo umano, ma per fortuna dal profilo epidemico, perché queste caratteristiche altamente letali del virus contribuiscono a contenere la sua propagazione”.

Per ora si parla di circa 3'000 morti nei paesi africani colpiti. Il virus ha il serbatoio naturale in una specie di pipistrelli africani che si nutre di frutta, e si trasmette all’uomo essenzialmente attraverso il consumo della carne di questi pipistrelli, che sono portatori sani.

In Sud Africa hanno addirittura convogliato gli animali feroci nelle potenziali aree di passaggio per difendersi dall’ebola scoraggiando i flussi migratori. Ogni nazione, insomma, si difende come può…

Le prime epidemie di ebola furono registrate negli anni Settanta, sempre però limitatamente a piccoli focolai. Ma oggi c’è più mobilità e l’epidemia ha assunto velocemente dimensioni urbane. Inoltre, gli aiuti internazionali sono arrivati in ritardo: all’inizio si è pensato che le nazioni colpite sarebbero riuscite da sole ad affrontare il problema.

Ora bisogna mobilitare tutte le risorse possibili. E ogni nazione deve prepararsi, avverte Cassis. “Occorrono dispositivi ospedalieri in grado di accogliere i casi sospetti. In Svizzera abbiamo l’ospedale universitario di Ginevra, dove c’è anche il laboratorio nazionale di riferimento per l’ebola, ma sono pronti anche altri ospedali universitari, in particolare quello di Zurigo. E ogni cantone ha un delegato per la gestione dei casi sospetti, che può essere, ma non deve necessariamente essere, il medico cantonale. E tutta questa organizzazione è in rete a livello nazionale”.

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