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Salute e Sanità
22.10.2014 - 07:050
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

“Ecco perchè ho scelto di fare il chirurgo. E perchè da Losanna sono tornato in Ticino”. Il racconto di un giovane ‘fuoriclasse' della medicina

Nuovo appuntamento con i medici della Clinica Luganese. Protagonista è Andrea Donadini, che, rilevato lo studio del Professor Martinoli, è di recente approdato a Besso dal CHUV

LUGANO – Secondo appuntamento con i medici della Clinica Luganese di Besso. Protagonista di questa intervista è Andrea Donadini, giovane medico di recente approdato alla Clinica dal prestigioso CHUV di Losanna, dove è ancora medico aggiunto. La sua specialità è la chirurgia viscerale.

Donadini, cominciamo col conoscerla meglio: ci parli di lei e di come è nata la sua passione per la medicina.

“Sono nato nel ’73 a Locarno e ho passato i miei primi 19 anni nel mio villaggio natale: Camorino, dove sono cresciuto, frequentando prima le medie di Giubiasco e il liceo di Bellinzona poi. Dopodiché mi sono trasferito a Basilea per gli studi universitari, terminati nel ’99 con l’esame di stato. Come è nata la mia passione per la medicina? Difficile a dirsi, perché in famiglia nessuno è medico. Eppure, sono sempre stato affascinato dalla medicina e in particolare dalla chirurgia. Così, nonostante qualche tentennamento durante il liceo, alla fine ho deciso di intraprendere questa strada. E devo dire che inizialmente è stato uno shock!”

Perché?

“Non è esattamente quello che ci si aspetta. Si pensa che si cominci subito a studiare il corpo umano e si imparino a riconoscere le varie patologie. E invece il primo anno è tutto incentrato sulla chimica, la fisica e la biologia degli insetti. Si inizia veramente a respirare un po’ di medicina soltanto al secondo anno, quando si comincia con l’anatomia. Giustissimo, sono basi che bisogna avere e fa anche parte del processo di selezione, l’impatto della realtà sulle aspettative lascia però un po’ sconcertati inizialmente. Ma la mia passione è rimasta tale anche grazie a colleghi di studio eccezionali, con cui ci siamo sempre motivati a vicenda. Poi è arrivato il primo stage in chirurgia a Lugano e mi son detto che questa era la mia strada e da allora non ho più cambiato idea”.

Dove e come si è formato in qualità di medico?

“Dopo aver conseguito il diploma in medicina nel 1999,  ho lavorato come dottorando in  ricerca all’istituto di patologia di Basilea e nel 2001 ho ottenuto il titolo di dottore in medicina.  Ho poi operato come medico assistente all’ospedale universitario di Basilea e in seguito al Civico di Lugano. Rientrato a Basilea per un altro anno come assistente, ho proseguito all’ospedale cantonale del Giura di Delémont per tre anni come capoclinica. Qui ho conseguito i titoli FMH in chirurgia e FMH in chirurgia generale e traumatologia. Il titolo in chirurgia viscerale l’ho ottenuto come capoclinica nei quattro anni trascorsi al CHUV di Losanna. E poi è arrivata la chiamata del Professor Sebastiano Martinoli che mi ha proposto di rilevare il suo studio e continuare l’attività chirurgica in Ticino: per me è stato un grande onore. Ho subito accettato”.

Come si sviluppano il percorso e la carriera di un giovane medico nella sanità svizzera? Le condizioni “quadro” sono favorevoli o ritiene che ci sarebbero spazi di miglioramento nell’inserimento professionale?

“Il percorso nella sanità e nella medicina non è facile. Una certa insicurezza nel futuro c’è e non sempre è chiaro che strada prendere e soprattutto dove ti porterà. A livello federale e cantonale sono in atto importanti ristrutturazioni di concentrazione delle specialità in grossi centri che favoriscono sì il lato scientifico della medicina, ma ne denaturano la parte umana. Per di più si tende quasi a ridurre la professione  di medico a quella di un semplice funzionario. Ovviamente lo sviluppo scientifico è molto importante, ma la medicina rimane una scienza a contatto con i pazienti, un lavoro fatto da persone per altre persone: è un aspetto che andrebbe sempre tenuto in primo piano. Le condizioni quadro sono favorevoli, se si è convinti di quello che si vuole fare, profondendo un grande impegno per il proprio lavoro, spesso a scapito della vita privata. Bisogna avere anche la fortuna di trovare dei mentori, delle persone che credano in te, che ti seguano e ti sostengano”.

Spesso si sente parlare della carenza di medici svizzeri: riscontra anche lei questa mancanza?

“Il problema è in realtà duplice. Da un lato è chiaro che il mestiere del medico non è più così attrattivo, ve ne sono di più redditizi e meno impegnativi. Vi sono quindi meno giovani svizzeri che scelgono questa via,  soprattutto quella della chirurgia che richiede più sacrifici. Dall’altro però la precisa regolamentazione dei turni dei medici e dell’intero personale ospedaliero (che impone un limite alle ore di servizio consecutive e il rispetto di un determinato tempo di riposo tra un turno e l’altro, per evitare che possano verificarsi errori dovuti alla stanchezza) fa sì che vi sia bisogno di più personale per coprire l’orario lavorativo, il che fa apparire la carenza di medici più importante di quanto non sia effettivamente”.

Una carenza però c’è. Il numero chiuso universitario può essere considerato come un ostacolo alla formazione di nuovi medici? 

“In parte. Ovviamente non si può spalancare la strada e lasciar passare tutti. Lavoriamo sulle persone e siamo responsabili della loro salute e della loro vita, bisogna perciò pretendere l’eccellenza. Quindi se da un lato è giusto che vi sia un sistema che permetta di filtrare e selezionare rigorosamente i futuri candidati, dall’altro è pur vero che il numero chiuso non è un sistema infallibile. Le qualità umane, ad esempio, non rientrano nelle graduatorie, eppure credo siano fondamentali. Può capitare quindi, con questo sistema, che chi ha le nozioni, ma manca dell’empatia necessaria a diventare poi davvero un ottimo medico, abbia accesso agli studi; e, al contrario, chi, dotato umanamente, avrebbe poi saputo, spinto dalla propria passione, colmare le lacune iniziali, venga invece scartato”.

Cosa l’ha spinta a lasciare il prestigioso CHUV, dove comunque rimane medico aggiunto, per passare alla Clinica Luganese?

“Nella mia carriera ho avuto la fortuna di lavorare non solo al CHUV, ma anche al Claraspital di Basilea e a Parigi. Sono tutti contesti in cui ho potuto fare esperienze eccezionali e che per me rimarranno indimenticabili. Far parte della Clinica però ha voluto dire passare da un contesto internazionale a una dimensione più umana, in cui si hanno contatti diretti con i propri pazienti. Cosa che purtroppo in un grande ospedale non capita. Poi per quanto riguarda il prestigio del CHUV, non posso dire che il posto che ho rilevato sia da meno: lo studio del professor Martinoli è molto ambito e in clinica lavoro con ottimi professionisti che costituiscono certamente un valore aggiunto per l’intero sistema sanitario ticinese”.

Il vantaggio offerto da una realtà privata come la Clinica Luganese rispetto a un grande centro universitario pubblico per lei è quindi proprio in questa “vicinanza”.

“Qui mi posso occupare al meglio del mio paziente, in una dimensione molto più umana. Al CHUV invece spesso mancava il tempo per farlo: saltavo da un’operazione alla ricerca, dalle visite alle conferenze. Ogni mese si andava all’estero per dei congressi. Ho avuto modo di fare bellissime esperienze, ma era un’attività frenetica che ora non posso più permettermi perché devo essere presente per seguire i miei pazienti. Sono però sempre in contatto con il CHUV e quindi aggiornato sulle ultime novità in ambito terapico e sono orgoglioso di poterle portare qui alla Clinica”.

Lei è specializzato in chirurgia viscerale, ci spieghi meglio, per chi forse non lo sa, di che cosa si tratta esattamente e che casistica tratta a Lugano-Besso.

“Riguarda la chirurgia addominale e delle parti molli, che non siano cuore, polmoni, cervello o vasi sanguigni. Parliamo perciò di tutto quello che è il tratto gastrointestinale, dallo stomaco all’ano. La casistica è molto ampia: ernie, reflussi gastroesofagei, chirurgia funzionale bariatrica (per le persone obese), fino ai tumori maligni dell’apparato digerente e della ghiandola pancreatica”.

Quali sono le sue ambizioni e speranze per il suo futuro e quello della Clinica Luganese?

“Il mio desiderio è quello di contribuire a creare un polo medico-chirurgico di sempre più alta qualità, dove il paziente si senta preso a carico in maniera corretta, completa, e soprattutto ascoltato. Un obiettivo che va perseguito anche continuando a migliorare il lavoro di squadra che già caratterizza il rapporto tra i medici della Clinica Luganese. Ma la speranza è pure quella di poter collaborare al meglio con i nostri colleghi degli ospedali pubblici, per avere una rete di ottime cure che si estenda sull’intero territorio ticinese. Altra ambizione è infine quella di aggiornare costantemente i servizi offerti dalla Clinica e la loro qualità, che sul piano mio personale significa essere sempre informato sulle cure migliori e più innovative da proporre ai pazienti”.

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