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26.11.2014 - 13:290
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Lugano e il divieto del burqa: no ad eccezioni "ad turistam". Il prezzo della democrazia diretta va pagato fino in fondo

L'ANALISI - Il Municipio chiede che le turiste dei paesi arabi vengano risparmiate dalla legge plebiscitata dai ticinesi in votazione popolare

di Andrea Leoni

LUGANO – Sono un sostenitore del divieto di indossare il burqa sul nostro territorio. Sia esso inteso come indumento di ispirazione culturale o tribale, sia esso inteso come simbolo religioso. Si tratta infatti di una censura, imposta o autoimposta, poco importa, in aperto contrasto con i valori filosofici e sociali che hanno organizzato l'esperienza umana in questa parte del Mondo.  

Ieri sera la RSI ha dato notizia che il Municipio di Lugano – nell'ambito della procedura di consultazione per applicare la volontà dei ticinesi che hanno deciso di inserire nalla Costituzione il divieto  - ha chiesto una deroga. L'Esecutivo desidera che le turiste vengano risparmiate dalla legge. In Città infatti vi sono molti visitatori arabi le cui mogli indossano il velo integrale. Il timore, ha spiegato il sindaco Marco Borradori, è quello di perdere questi facoltosi turisti che portano bombole d'ossigeno a un settore cruciale dell'economia cittadina.

Addirittura Lorenzo Quadri, responsabile del turismo luganese, e tra i leghisti che più si sono spesi nella battaglia contro le derive dell'Islam, si è detto favorevole all'eccezione "visto che il principio dell'integrazione - sul quale si regge l'applicazione della norma – per una persona che rimane pochi giorni in Ticino non ha senso”. Quadri, comprensibilmente per il ruolo che ricopre, sfodera tutta l'astuzia e l'abilità politica e retorica di cui notoriamente è dotato per tentare di far digerire un boccone indigeribile.

Se è pur vero che la questione dell'integrazione è centrale in tutto il dossier, non si può certo dimenticare il lato simbolico della faccenda: quel che il burqa rappresenta. Detta grossolanamente, e ridotta ai minimi termini, i ticinesi con il loro voto hanno chiaramente espresso la volontà di non vedere più nessuna donna con quel tipo di velo per strada. È lo stesso concetto dei minareti, né più e né meno. Immaginate, infatti, se un emiro comprasse una proprietà in riva al Ceresio, in cui trascorrere due o tre settimane all'anno, e per sfizio vi edificasse un minareto, perfino nascosto agli occhi dei passanti. Dovremmo essere tutti d'accordo sul fatto che, una volta scoperto, bisognerebbe andare a chiedergli di abbatterlo perché la legge vale per tutti. Oppure no? 

Ma tornando al burqa, TicinoTurismo durante la campagna del voto, ci aveva resi attenti sugli effetti negativi che il divieto avrebbe potuto avere sul turismo. Ma questo effetto collaterale all'epoca non venne ritenuto come un rischio o un pericolo tale da far recedere i "divietisti" dalle loro posizioni. E certo non ci si può svegliare oggi e accorgersi del problema: le scelte che il popolo fa hanno un prezzo e bisogna essere pronti a pagarle fino in fondo. 

A questo proposito, per fare un altro esempio concreto, anche una drastica riduzione dei frontalieri, con forza reclamata dalla stragrande maggioranza dei ticinesi, produrrebbe un importante contrazione del gettito delle imposte alle fonte. Soldi che da qualche altra parte andrebbero recuperati. E di certo non basterebbe impiegare i ticinesi attualmente esclusi dal mercato del lavoro o addirittura a carico dei servizi sociali, per compensare il dislivello delle casse.  

Anche se nessuno, o davvero in pochi, crediamo abbiano votato a favore del divieto perché preoccupati che la dissimulazione del viso fosse un mezzo per compiere dei reati (come invece in effetti la maschera furbetta calata sull'iniziativa suggeriva formalmente per non sconfinare nella discriminazione); ebbene anche per quei pochi l'eccezione turistica sarebbe dannosa, poiché agli ipotetici malintenzionati basterebbe fingersi dei vacanzieri per mettere in atto i loro progetti criminali.

Per tutte queste ragioni l'eccezione richiesta dal Municipio di Lugano appare fuori luogo e poco coerente, seppur pienamente legittima nell'ambito di una consultazione volta a tradurre e ad applicare una norma costituzionale. Si vuol prendere una legge e modellarla sullo status "residenziale" e sociale delle persone. Il tutto, naturalmente, per una mera questione economica. Se vengono a fare le turiste, e magari a far compere da Cartier o da Gucci, il divieto non vale. Per le altre invece sì. Il che, tra parentesi, creerebbe una paradossale discriminazione tra chi vive in questo Paese, paga le tasse, rispetta le regole, assolve ai suoi doveri e magari avrebbe piacere ad indossare il burqa, e chi transita di qui per qualche giorno. Superfluo ricordare come le regole devono tutelare innanzitutto chi vive in un luogo rispetto a chi ci passa. 

L'eccezione proposta da Lugano spalancherebbe poi i confini a una straordinaria incertezza normativa. Rischieremmo di volta in volta a ritrovarci ad inventare eccezioni per salvaguardare questo o quell'interesse particolare. Oggi un norma "ad turistam", domani chissà. Con nuove o vecchie leggi.

Al contrario bisognerebbe semplicemente spiegare senza vergogna, come tante volte abbiamo preteso che la Confederazione facesse con gli altri Paesi, quali sono le regole della casa. Regole che devono valere per chiunque ci voglia entrare: per un giorno o per una vita. E a costo che qualcuno decida di non venirci più.   

  

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