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Cronaca
10.12.2014 - 16:130
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

“Io, vittima di un incidente, lotto da 20 anni per riavere il mio viso. Un intervento potrebbe aiutarmi, ma non me lo lasciano fare”

La storia di Monica, che racconta della sua odissea, cominciata nel '94, fra assicurazioni, lungaggini e perizie che si perdono nel nulla... “È il mio volto, sono stanca che tutti se la prendano comoda"

LUGANO – “A gennaio saranno 21 anni che lotto per riappropriarmi del mio viso. Sono stanca, voglio vedere la fine di tutto ciò e potermi sottoporre finalmente agli ultimi interventi che mi servono. Perché non me li lasciano fare?” A parlare è Monica, oggi quasi 50enne, che ci racconta della sua odissea fra casse malati, burocrazia e operazioni.

Tutto comincia agli inizi del 1994, quando ha luogo l’incidente che le ha letteralmente cambiato la vita. Monica era seduta nei sedili posteriori, chi guidava, nonostante dal cielo cadessero acqua e neve, andava a 140 orari. “All’imbocco di una galleria ha perso il controllo dell’auto e nell’impatto io sono stata sbalzata fuori dal veicolo”. Le conseguenze sono gravi, gravissime soprattutto per il lato destro del volto, a livello di tessuti come di ossa. “Ero irriconoscibile”. La gravità della situazione è tale che Monica viene trasferita d’urgenza a Zurigo, dove un’equipe la tiene sotto i ferri per ore.

E a oggi, nonostante i più di trenta interventi e le oltre 150 ore di anestesia totale a cui si è sottoposta, Monica porta ancora le conseguenze di quell’incidente: “È come se avessi un forte ascesso: il contorno del mio viso, senza contare le cicatrici, non è regolare. Ho ancora difficoltà a uscire in mezzo alla gente, per via degli sguardi, dei commenti… Dopo 20 anni voglio solo che tutto ciò finisca”.

Monica ha trovato chi sarebbe disposto a operarla, perché, e qui si arriva a un altro punto per lei difficile da accettare, la sua situazione attuale è anche il frutto dell’infinità di mani che sono passate sul suo volto. “Nonostante il mio caso fosse gravissimo e io non avessi colpe (chi guidava ha ricevuto un decreto d’accusa per lesioni colpose gravi, è quindi la sua assicurazione a dover poi rispondere), le mie cure sono state eseguite con il regime di trattamento in camera comune e non sono stata operata dai professori, ma dagli assistenti: ogni volta uno diverso – gli assistenti ruotano in fretta e fra un intervento e l’altro io dovevo attendere molti mesi –, con una sua idea di cosa fosse meglio fare, dettata anche dall’arrivo delle ultime novità mediche. Negli anni mi sono sentita alla pari di una cavia, su cui è stato sperimentato ogni sorta di ritrovato, anche quando avrebbe dovuto esser chiaro che non era quello adatto al mio caso, ma a me l’ha insegnato poi l’esperienza e le conseguenze per il mio viso. E questo perché, nonostante non avessi alcuna colpa per la situazione in cui mi trovavo, ero legata alla mia copertura di cassa malati e sono finita in camera comune sotto le mani degli assistenti? Avevo 28 anni, la mia faccia era irriconoscibile! E lo trovo assurdo”.

Cancellare completamente le conseguenze di quell’incidente, fisicamente e psicologicamente, non si può. Ma con un altro intervento, il contorno del suo viso potrebbe esser reso più regolare. Tre anni fa ricomincia quindi a lottare per vedersi concessa questa opportunità. Inizialmente viene mandata da uno specialista a Basilea, vengono rifatti tutti gli esami del caso, già pagati, ma a oggi, nonostante le varie sollecitazioni, nessuna proposta di intervento è giunta (“Mi chiedo se non abbiano perso la mia cartella, altra risposta non me la so dare”). Stufa di aspettare, dopo un anno, Monica inizia quindi a cercare da sola qualcuno che la operi. Lo trova in Italia, in un chirurgo maxillofacciale di Roma. “Non che qui non ci siano esperti, ma in un caso delicato come il mio, quello che conta è anche l’esperienza e la casistica in Svizzera non è così ampia”.

La sua assicurazione inizialmente dà il consenso, spiegandole che avrebbe dovuto farsi fare un preventivo dei costi, che sarebbe stato poi confrontato con quelli in Svizzera, e che l’eventuale eccedenza (come le spese di viaggio e di soggiorno) sarebbe stata a carico suo. Per Monica va bene, si reca a Roma e, per sicurezza, chiede anche un secondo parere a un altro professore di Padova. Rientrata però si sente dire che non si può fare: le operazioni possono esser fatte solo in Svizzera. “Perché non me l’hanno detto subito? Mi avevano dato l’ok al telefono, sono stata ingenua io a non chiedere una conferma scritta, ora lo so, ma sono anni che ho a che fare con il mio referente e mi sono fidata”.

La risposta dell’assicurazione è quella e non si può cambiare, ma le viene detto che, prima di trovare un medico in Svizzera e ricevere l’autorizzazione per l’operazione, deve fare un’altra perizia, a Berna, per accertare che quest’ultimo intervento sia davvero necessario. Ebbene, cinque mesi e anche qui, ancora nessuna risposta. “Questo è un altro anno della mia vita buttato e mi fa ancora più rabbia pensare che, se avessero mantenuto quanto mi era stato promesso al telefono, io avrei potuto essere operata nel gennaio scorso, mettendo la parola fine a questo calvario”.

Dopo quanto ha vissuto, Monica vuole che a operarla sia un esperto. “Se c’è un medico che è in grado di darmi di più ed è disposto ad operarmi, perché non ho diritto di andarci? Anche a livello economico, non siamo lontani a quanto costerebbe l’operazione in Svizzera, anzi, pur essendo una clinica privata, verrebbe addirittura qualcosa in meno. Hanno commesso un errore a dirmi che avrei potuto operarmi in Italia, ma nessuno lo riconosce e intanto ho buttato via mille euro in visite. Per me però non è tanto un discorso economico, quanto umano. Trattano la gente come un numero, un caso assicurativo, senza tener conto della persona. La vivo come una crudeltà, perché in fondo io chiedo solo di potermi operare senza dover aspettare anni per lungaggini, rapporti e perizie che si perdono nel nulla”.

Inoltre, spiega ancora Monica, questo frena i risarcimenti da parte di chi ha causato l’incidente, perché le è stato detto che finché gli interventi non saranno finiti, il danno fisico non è calcolabile. "Allora credo che finire con gli interventi sia nell'interesse di tutti, di modo che si possa finalmente chiudere, anche sotto questo punto di vista il caso".

Insomma, conclude Monica, “è assurdo che dopo tre anni senza risposte in Svizzera, io non possa avere la libertà di affidarmi a chi mi opererebbe subito. Come è assurdo che quando sei coinvolto in un incidente in cui non hai nessuna colpa, a causa di una copertura assicurativa stipulata quando stavi bene, tu debba finire in camera comune, nelle mani degli assistenti. A gennaio di quest'anno saranno 21 anni, moralmente sono a pezzi, delusa da tutto e da tutti. Ho deciso di parlarne perché non è possibile dover passare un calvario del genere, e visto che si tratta della mia pelle, io sono stanca che tutti se la prendano comoda...”

 

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