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27.12.2014 - 17:020

L'addio alle armi di Giovanni Crameri. "Ora vado in Patagonia. Candidato io? Non inizio a far politica a 60 anni. E per la Piazza saranno tempi duri"

Il numero uno di UBS inizia una nuova vita. Parla degli effetti del “voluntary disclosure” e dice: "Ma una buona notizia c'è: dal prossimo anno la nostra banca tornerà a pagare imposte"

di Marco Bazzi

LUGANO – E adesso? “Adesso vado in Patagonia”. A sessant’anni compiuti in settembre, trentaquattro dei quali passati al servizio dell’UBS, quindici come direttore della Regione Ticino, Giovanni Crameri si prepara a far rotta per il Sudamerica. Argentina. Patagonia, soprattutto. Per un mese di fila. Sulle orme di Bruce Chatwin, lo scrittore inglese autore del memorabile “In Patagonia”.

E al ritorno? “Al ritorno vedrò: intanto mi faccio di sicuro la stagione sciistica ad Andermatt, poi ho in testa un progetto immobiliare su una mia proprietà a Comano, e poi non so… ho ricevuto tante proposte di lavoro, e inviti ad entrare in enti a scopo benefico, ma per ora non ho preso decisioni. Voglio valutare con calma. Soprattutto, non voglio correre il rischio di finire a lavorare più di prima, perché l’idea di smettere a sessant’anni era quella di godermi più tempo libero”.

Qualche sera fa a Lugano, Crameri ha salutato amici e colleghi in occasione di un aperò pre-natalizio. È stato il suo addio alle armi. L’inizio di una vita nuova.

Ma senta un po’, direttore, tutte quelle voci insistenti che la davano già in giugno e ancor di più nelle scorse settimane come quinto nome nella rosa del PLR per il Governo… C’era qualcosa di vero?

“Guardi, non ho mai fatto politica finora e non intendo iniziare a farla a sessant’anni. Ci sono state delle voci su una mia possibile candidatura è vero, le ho sentite anch’io, ma le assicuro che non c’era nulla di vero. Solo gossip, almeno per quel che ne so io. Che abbiano pensato a me può darsi… Ma io pensavo al mio viaggio in Patagonia”.

Lei ha attraversato le bufere bancarie degli ultimi anni, la grande crisi dell’UBS, il declino della piazza finanziaria. Cos’è rimasto di quel che c’era prima?

“La piazza finanziaria ticinese è cambiata radicalmente. Non penso ci siano mai stati mutamenti tanto profondi come negli ultimi anni. Ed è stato un processo di trasformazione fortemente accelerato. Stiamo passando inesorabilmente all’esclusiva gestione di fondi dichiarati, principio che vale per i clienti esteri ma che tra non molto varrà anche per i risparmiatori svizzeri”.

Ed è diminuito il patrimonio gestito dalle banche elvetiche, con le evidenti conseguenze sul piano occupazionale, fiscale e di indotto sull’economia. Secondo lei ci sono margini di recupero?

“Dal momento in cui i clienti stranieri hanno dovuto far fronte ai loro impegni con le loro autorità fiscali è chiaro che c’è stata una diminuzione dei capitali depositati. Un fenomeno a cui assisteremo ancora nei prossimi mesi. Se la Svizzera accoglierà le richieste dell’Italia, e non vedo come possa fare altrimenti, i clienti non avranno molte alternative”.

Sta parlando al cosiddetto “voluntary disclosure”, il progetto di legge sul rientro dei capitali, approvato recentemente dal Senato italiano che consente a chi ha nascosto denaro all'estero di autodenunciarsi e rimettersi in regola con il fisco in cambio di sconti su sanzioni e pene…

“Esatto, i dettagli sono ancora poco chiari. Ma entro il settembre del 2015 i clienti italiani dovranno regolarizzarsi”.

Ma scusi, ce ne sono ancora così tanti che non l’hanno fatto?
“L’Italia ha varato tre scudi fiscali ma credo di poter dire che più del 50% della clientela debba ancora regolarizzare la propria posizione. I calcoli andranno fatti su ogni singolo cliente e le informazioni sono confuse: a quanto pare fino ai due milioni di franchi ci sarà un forfait, e si parla di multe che vanno dal 7 al 15%, ma, ripeto, le condizioni non sono ancora chiare. Non dimentichiamoci comunque che la Svizzera è ancora sulla lista nera dei ‘paesi canaglia’ e se non ci sarà un accordo tra le due nazioni le multe verranno raddoppiate”.

Quindi la piazza finanziaria deve prepararsi a un ulteriore salasso di capitali?
“Immagino proprio di sì, anche se va detto che la massa gestita in Svizzera, e in particolare in Ticino, non è stata persa solo a causa delle pressioni fiscali internazionali: anche i mercati hanno contributo al ribasso, e negli ultimi anni la nostra piazza ha avuto una crescita pari a zero. Anche per questo le banche hanno dovuto contenere i costi. Io sono convinto che a brevissimo termine il futuro non sarà roseo: dovremo digerire il voluntary disclosure, capire come reagirà la clientela e come sopporteranno la situazione gli istituti in Ticino. Diverse banche dovranno trovare altre soluzioni, se non chiudere, diceva recentemente il nostro Ceo Sergio Ermotti. Condivido perfettamente. Poi, però, ripartiremo e penso che affluiranno nuovi fondi dichiarati di clienti che cercano una fiducia, una professionalità e una qualità di servizi che difficilmente si possono trovare altrove”.

Quindi a breve termine ci saranno per la piazza finanziaria altre batoste sul piano occupazionale…
“Per tutto il 2015 avremo paradossalmente bisogno di più personale per gestire la nuova situazione, ma temo che il momento più difficile sarà tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016”.

Mala tempora currunt, insomma…
“Di sicuro non oso immaginare che ci saranno benefici… Ma forse una buona notizia posso darla: probabilmente UBS tornerà a pagare imposte sugli utili a Cantoni e Comuni, cosa che non ha fatto fino a quest’anno in quanto sono state ammortizzate le perdite subite a causa delle note vicissitudini. Ecco, questa è l’unica buona notizia che vedo all’orizzonte”.

 

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