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22.01.2015 - 07:570
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Fulvio Pelli show: "Ecco cosa penso del franco, dei salari in euro, dell'accordo sui frontalieri, della lista PLR e di uno Stato sempre più parassitario"

Intervista a tutto campo con il presidente di BancaStato: "Sui frontalieri il punto centrale non è stato affrontato"

di Marco Bazzi

LUGANO - La decisione della Banca Nazionale di abbandonare il tasso fisso di cambio franco-euro? Era inevitabile, le possibilità della BNS erano esaurite: in gennaio la difesa del cambio a 1.20 è costata 50 miliardi alla settimana...
I salari in euro? Per alcune aziende ticinesi, quelle per cui è questione di vita o di morte, un’opzione possibile…
L’accordo sui frontalieri? Forse il Ticino incasserà qualche franco in più, ma il punto centrale non è stato affrontato…
La lista PLR per le cantonali di aprile? Possiamo giocarci la partita e forse anche vincerla.
Parola di Fulvio Pelli, presidente di BancaStato, ed ex leader del PLR a livello cantonale e federale. In quattro frasi il riassunto del suo pensiero su altrettanti temi di stretta attualità.

Ma Pelli inizia con una sorta di invettiva contro lo Stato, inteso nelle sue varie declinazioni: federale, cantonale e comunale.
“Lo Stato sta diventando un elemento parassitario per l’economia e i cittadini. Non fa le riforme necessarie e continua a imporci burocrazia e aumenti di tasse, molti dei quali non si vedono, ma ci sono e alla fine pesano e si sentono. Piccole misure di cui si parla poco e che sfuggono all’attenzione dei più. Un’infinità di micro interventi che vanno sempre nella stessa direzione: incassare di più. Invece bisognerebbe risparmiare e ridurre i costi. Ma le pare che lo Stato debba sussidiare chi vuole comprarsi un’auto elettrica, quando già abbiamo imposte di circolazione tra le più alte della Svizzera, solo per fare un esempio di attualità? È un atteggiamento profondamente sbagliato e pericoloso”.

Cosa bisogna fare, dunque?
“Io dico che lo Stato dovrebbe favorire il lavoro, promuovere l’economia, creare condizioni quadro per il suo sviluppo, non penalizzarla e tartassarla per incassare più soldi. Semplificare le sue procedure, non controllare sempre tutto e preventivamente. Riformare il sistema fiscale per liberare risorse. Lo Stato invece pesa sempre di più sulle aziende e sui contribuenti, e anche per questo il Ticino è sempre meno concorrenziale. Da una parte abbiamo le tassazioni globali per gli stranieri, dall’altra sono gli stessi ticinesi che se ne vanno all’estero o in altri cantoni dove la fiscalità è più interessante. Queste persone, trasferendo il loro domicilio, risparmiano molto. Si possono rimproverare dal profilo morale, certo, ma dobbiamo analizzare i motivi per cui se ne vanno e non far finta d non accorgerci, perché la loro partenza è una perdita di risorse fiscali”.

Insomma, la questione fiscale resta un punto centrale…
“Certo, in Ticino abbiamo la fiscalità più sociale della Svizzera per i bassi redditi e una tra le più elevate per gli alti redditi. In un mondo in forte concorrenza, anche tra cantoni, queste cose hanno chiaramente delle conseguenze. Dico un’altra cosa: le società di gestione di fondi di investimento si sono trasferite quasi tutte in Lussemburgo, perché da noi c’è la tassa di bollo, che vale due miliardi di entrate annue per la Confederazione, ma questo gettito sta progressivamente diminuendo, proprio perché le società che operano in questo settore si trasferiscono all’estero. Ciò non ostante la Confederazione si oppone con tutti i mezzi ad abolirla e blocca quindi nuove possibilità di sviluppo per la piazza finanziaria, già messa sotto pressione da altre scelte politiche.”.

Sul tavolo ci sono in questo momento molti dossier internazionali aperti, in particolare con l’Italia: i frontalieri, la questione delle black list, l’accordo sul rientro dei capitali, la cosiddetta “volutary disclosure” che stanno avendo un forte impatto sulla nostra economia…
“Guardi, se bisogna rinunciare al segreto bancario per motivi di politica internazionale, bisogna farlo senz’altro, ma bene, negoziando delle contropartite. Oggi invece la contropartita è zero, abbiamo perso tantissime occasioni. Per esempio, quando abbiamo partecipato ai lavori dell’OCSE (organizzazione presso la quale abbiamo un diritto di veto, per definire le nuove regole sullo scambio automatico di informazioni avremmo dovuto pretendere che fosse posta una condizione chiara, valida per tutti: si può introdurre lo scambio di informazioni fiscali, ma solo  fra paesi che aprono il loro mercato finanziario. Il presupposto è che se si collabora sul piano fiscale lo si deve fare accettando anche una concorrenza in campo economico: io ti do le informazioni, ma tu mi apri il mercato. Ma ancora una volta ha vinto il fisco, più soldi per gli Stati, e perso la libertà economica, quella che crea la ricchezza”.

Colpa della politica, quindi, e lei è stato in politica fino a ieri...
“Lo so, ma da soli non si possono cambiare le cose. Ed è un ventennio che la politica ha perso la capacità di collaborare. Dovrebbe stabilire le migliori condizioni per creare lavoro e ricchezza in ogni paese, ma non ci riesce. Ogni forza politica va nella propria direzione, e se uno dice A l’altro dice B. Coalizioni variabili in Parlamento (in particolare le lobby economiche) hanno bloccato la legge sul contratto d’assicurazione; la revisione della legge sui cartelli è stata osteggiata da un’alleanza tra sindacati e piccolo padronato, a cui si sono via via aggregati altri gruppi. La revisione del diritto fiscale aziendale avrà anch’essa vita dura, perché né Confederazione, né Cantoni vogliono “perdere” un centesimo. Di queste cose si parla poco, perché sono temi difficili, perché l’economia in sé è una materia difficile, ma sono importanti e hanno conseguenze. E anche i media preferiscono tematizzare cose più semplici e di più forte impatto, come la presenza di stranieri”.

La sua ricetta?
“Sa, di ricette è difficile darne: però ci vuole un governo che prenda più iniziative a favore dello sviluppo dell’economia, ci vogliono enti pubblici che costano meno e producano meno deficit, ci vogliono regole economiche semplici e meno onerose, ci vuole una maggiore disponibilità al dialogo da parte di tutte le forze politiche. Occorre ritrovare quella cultura della collaborazione e del consenso che ha fatto della Svizzera un paese ricco ed efficiente. Invece le cose peggiorano di mese in mese”.

Anche a livello cantonale?
“In Ticino c’è un governo che non garantisce una linea politica omogenea, ma c’è anche un parlamento con idee poco chiare su quello che vuole. Un caso lampante è la pianificazione ospedaliera: critiche da ogni area, ma l’alternativa non c’è, non la indica nessuno e tutto si blocca. In generale, nella nostra politica, federale e cantonale, manca creatività, mancano analisi ben fatte che indichino le strade da seguire. E manca poi la volontà di fare le cose giuste. Ma un po’ tutta la Svizzera è ferma. Andiamo meno peggio di altre nazioni, certo, ma un piccolo paese deve andare molto meglio di quelli più grandi, perché a un piccolo paese mancano i grandi numeri.”.

Veniamo al cambio franco-euro. Decisione avventata o giusta quella della Banca Nazionale?
“La Banca Nazionale non poteva più andare avanti a comprare euro: la Svizzera è piccola e la sua banca non può tenere in piedi l’euro. Questo è un compito che spetta ai 350 milioni di europei dell’Unione Europea, non agli 8 milioni di svizzeri. Andare avanti con il tasso fisso a 1,20 sarebbe stato rovinoso per la BNS: saremmo finiti come la famosa rana della fiaba, che si gonfia fino a scoppiare”.

Però sul piano economico questa decisione creerà difficoltà a molti settori…
“Certo, molti settori pagheranno, dalla finanza, al commercio, all’industria. Ma sono tre anni che teniamo in piedi artificialmente quel tasso di cambio: al primo sobbalzo dell’euro la BNS avrebbe dovuto acquistare decine di miliardi di euro ed era ormai troppo: con una Banca Nazionale in difficoltà non si possono sostenere né l’economia di una nazione, né gli interessi dei cittadini. Comunque, se la decisione della BNS è stata un errore o no lo potremo giudicare tra due o tre anni. Non adesso”. 

Veniamo allo spinoso tema dei frontalieri…
“Sui frontalieri, mi pare che più o meno verrà mantenuto lo statu quo rispetto ad ora. Anche se non sappiamo ancora esattamente come sarà l’accordo finale. Forse il Cantone incasserà qualche franco in più, ma il problema di questo sistema perverso non è quanto incasserà in più il Ticino, ma quanto influirà l’accordo sul livello di tassazione dei lavoratori frontalieri. Se le cose andranno nella direzione fin qui indicata, venire a lavorare in Svizzera resterà comunque molto favorevole. I frontalieri pagano più o meno come i contribuenti ticinesi, ma avendo bassi redditi pagano molto poco, proprio perché abbiamo la tassazione più sociale della Svizzera. Per questo l’accordo con l’Italia andava disdetto: così sarebbe entrata in vigore la regola dell’OCSE e i frontalieri avrebbero pagato tutti più o meno il 25% del reddito di imposte, come il resto dei lavoratori italiani di pari reddito in Italia. Con l’accordo la loro tassazione aumenterà forse dal  7% al 10% del reddito,  e quindi accetteranno salari sempre più bassi. L’accordo di cui si parla in questi giorni non diminuisce per nulla l’interesse della manodopera estera a venire a lavorare in Ticino. In più, con l’abolizione del tasso fisso di cambio i frontalieri beneficiano di fatto di un rilevante aumento salariale. La spirale va nella direzione sbagliata”.

Secondo lei in certi casi le aziende dovrebbero pagare i salari in euro?
“Il salario in euro (o in franchi ma a un tasso euro franco dell’1.20, diventerà una misura necessaria per parecchie aziende, che non vorremmo far morire. Sono quelle che operano in settori meno di punta che saranno più toccate. La scelta di pagare i dipendenti italiani in euro, o tenendo il tasso di 1,20, eviterebbe sia la perdita sul cambio che la diminuzione dei margini di guadagno, e quindi per molte aziende anche di finire in una spirale di deficit. Qualche contromisura le aziende devono pur prenderla se no chiuderanno e non ci sarà più lavoro per nessuno: né per gli svizzeri né per i frontalieri. Dobbiamo renderci conto che è un momento economicamente difficile, ed è difficile per tutti.”.

Ultimo tema, la campagna elettorale e la lista del suo partito.
“Credo che sarà una campagna elettorale divertente, aperta, animata. Ognuno giocherà le sue carte e vedremo se il rinnovamento la spunterà sullo statu quo. Il PLR - anche con un po’ di fortuna, perché non tutto andava per il meglio -  con questa lista ha fatto una bella operazione. Se fosse stato candidato subito Michele Bertini gli effetti di carica sul partito e sull’elettorato sarebbero stati inferiori. Sa, spesso i vincitori dei tornei di tennis sono quelli che sono passati da percorsi difficili e che all’inizio hanno avuto vita dura. E questo secondo me vale anche per la politica. Il percorso difficile che ha portato a questa lista non è quindi un cattivo auspicio. Per me una cosa si può dire: tutti e cinque inostri candidati al Governo sono in grado di fare bene il consigliere di stato, e questo non lo si può dire di qualsiasi lista. E a chi afferma che alcuni sono troppo giovani, rispondo che la grade vittoria liberale dei primi anni Quaranta fu ottenuta proprio con due giovani: si chiamavano Nello Celio e Brenno Galli, ed erano poco più che trentenni. Quindi…”.
 
 
 

 

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