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27.01.2015 - 14:250
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Lugano, il Progetto Lavoro, le assunzioni di stranieri con permessi B, l'assenza di regole, il caso Burgarella e le anomalie che chiedono chiarezza

L'ANALISI - "Non si può gridare “prima i ticinesi” e poi accettare che succedano cose del genere. Anche se “acqua passata non macina più”, bisogna capire cosa è successo"

di Marco Bazzi

LUGANO – Riflessione generale: quando mancano regole chiare, quasi sempre succedono casini. E senza regole chiare non si può stabilire se qualcuno ha sbagliato o ha agito con troppa leggerezza, o addirittura ne ha approfittato. Quando succedono i pasticci è molto difficile attribuire delle responsabilità, insomma. Perché senza regole, alla fine, nessuno è responsabile.

Riflessione puntuale: quando poi si stanzia un credito di 15 milioni di franchi, come è avvenuto qualche anno fa per finanziare il Progetto Lavoro, realizzato a Lugano come misura anticrisi e a sostegno dell’occupazione giovanile (gestito dal Dicastero giovani ed eventi)  le regole non devono solo essere chiare, ma chiarissime. Sono soldi pubblici e non possono venir gestiti con criteri “privati”.

Bisogna dunque stabilire con certezza – politica e giuridica – quali sono i criteri in base ai quali una persona in cerca di lavoro (perché l’ha perso o non lo trova) può partecipare al progetto occupazionale. Diciamo pure: può essere assunta, perché ci sono parecchi giovani che nel Progetto Lavoro finanziato dalla Città ci sono entrati anni fa e ci stanno tutt’ora, regolarmente stipendiati. Assunzioni a tempo determinato, in genere, con salari medio bassi, ma regolarmente rinnovate. Almeno finché a Lugano c’erano i soldi, o si faceva finta che ci fossero.

Questi casi sono stati segnalati anche nel rapporto di valutazione del Progetto Lavoro – al quale hanno preso parte oltre 400 persone e che è senza dubbio stato un prezioso elemento di supporto e ai aiuto per molte persone confrontate con la crisi e la scarsità di impieghi - che l’Istituto di ricerche economiche (IRE) ha svolto per conto della Città: “L'analisi della durata del Progetto Lavoro fa emergere che per la maggior parte dei casi la durata massima è stata di 12 mesi (56%), mantenendo la caratteristica della limitatezza temporale dell'intervento; mentre per 41 persone (17%) il programma occupazionale ha avuto una durata superiore ai 2 anni”.
Già questa è un’anomalia che tocca circa il 10% dei partecipanti totali al Progetto e ben il 17% di coloro che hanno risposto alle domande dell'IRE. Ma ce ne sono altre, di anomalie.

Non ci spingiamo fino al punto di dire che sarebbe stato opportuno elaborare una sorta di Regolamento dei dipendenti, come i comuni fanno per gestire la loro amministrazione. Ma un regolamento sì. Però di un regolamento non v’è traccia. Le uniche regole sembrano essere quelle stabilite in un passo del messaggio del maggio 2007 (l’unico reperibile sul sito della Città) con il quale il Municipio stanziò il credito quadro di 15 milioni di franchi per il Progetto Lavoro.

Citiamo: “Entrando nel merito del nuovo progetto il credito richiesto si orienta esclusivamente all'impiego professionale (ri)qualificante di giovani domiciliati (quindi con permesso di domicilio e non di dimora, permesso C e non B, ndr) nella Città di Lugano, per una durata ideale di sei mesi. Oltre all'impiego temporaneo che dà valore aggiunto al curriculum vitae, il progetto prevede il sostegno alla ricerca di un inserimento effettivo una volta terminato il contratto. L'età dei giovani candidati potrà variare, a puro titolo indicativo, dai 18 ai 35 anni”.

Non sappiamo se queste poche parole siano state ritenute regole vincolanti da parte di chi ha gestito il programma occupazionale in questi anni.

È anche bene ricordare cosa sono i permessi B e C. Citiamo dal sito del Cantone. Permesso B: “Viene rilasciato alla persona che ha la nazionalità di un Paese UE/AELS che intende stabilirsi in Svizzera per esercitare un’attività lucrativa (dipendente o indipendente) o per soggiornare senza esercitare un’attività lucrativa (redditiero, pensionato, ecc.). Può essere accordato anche ai familiari stranieri, indipendentemente dalla loro nazionalità, che hanno diritto al permesso nell’ambito del ricongiungimento familiare”.

Permesso C: “Può essere accordato al cittadino UE/AELS che soggiorna in modo regolare in Svizzera da almeno 10 anni con permesso di dimora “B” . I cittadini dei primi 15 stati con i quali la Svizzera ha concluso gli accordi (tra cui l’Italia) hanno la possibilità di ottenere il citato permesso già dopo 5 anni di soggiorno regolare in Svizzera”.

È questo che si intende quando si dice che il lavoro dovrebbe essere dato prioritariamente a cittadini svizzeri o domiciliati. Non si dice mai: domiciliati o dimoranti.

Andiamo avanti. Nel rapporto dell’IRE si legge che “tutte le persone coinvolte hanno residenza nel Luganese” (ma nel Luganese significa anche fuori dai confini comunali? Se sì, anche questo non è in linea con le indicazioni del messaggio municipale). E che “la maggioranza delle persone (63%) ha nazionalità svizzera, a seguire vi sono gli europei (19%). Seppur in piccola parte hanno partecipato anche persone provenienti da Africa, America e Asia per un totale del 18%”.

Il rapporto dell’IRE analizza anche la percentuale di successo del programma occupazionale, ritenendola molto alta: “Considerando il tempo intercorso tra la fine del Progetto Lavoro e l’inizio di una nuova occupazione retribuita, per il 58% delle persone sono trascorsi meno di 3 mesi prima di incominciare il nuovo lavoro. Solamente il 19% dei rispondenti al questionario risulta essere disoccupato e non aver mai lavorato dalla fine del programma”.

Ma c’è un altro punto che merita di essere approfondito: dove hanno trovato lavoro i partecipanti al Progetto? “Nella maggioranza dei casi, ovvero il 65%, gli occupati sono attivi nel settore pubblico. Dei restanti, il 32% lavora in una struttura privata, il 2% sia presso una
struttura provata che pubblica e il restante 1% non ha indicato dove svolge la sua occupazione”.
Il rapporto dell’IRE non dice se il “settore pubblico” è prevalentemente la Città di Lugano. Ma il dubbio che lo sia può sorgere.

Ora, il caso del Progetto Lavoro, emerso incidentalmente a margine del concorso per la figura dell’event manager del LAC, va a nostro avviso affrontato, analizzato e valutato con serenità. Senza farne, da una parte o dall’altra uno scandalo o un caso politico. Senza puntare il dito contro il capodicastero Lorenzo Quadri, che se l’è trovato in eredità, il sindaco Marco Borradori per il suo ruolo primario o altri municipali di qualsivoglia partito. E nemmeno bisogna puntare il dito contro chi, trovando aperte le porte dell'opportunità, si è trasferito dall'Italia per lavorare a Lugano, come Claudia Burgarella.

La giovane, nominata inizialmente dal Municipio come responsabile degli eventi al LAC, è arrivata qualche anno fa a Lugano da Verona, ha ottenuto il permesso B grazie a un impiego nel privato durato nove mesi e poi è entrata (chissà con quali criteri) nel Progetto lavoro. Da qui è passata a lavorare all’Ufficio sport della Città e da lì avrebbe dovuto andare al LAC.

Ma non è l’unico caso dubbio, il suo. Ci sono diversi cittadini italiani, più o meno giovani, arrivati a Lugano con un permesso B per partecipare al Progetto Lavoro, uno dei quali oggi ha un ruolo di quadro nella gestione degli eventi al Palazzo dei congressi. Forse c'è addirittura chi lavora al Palazzo dei congressi e alla sera torna in Italia.
E questo non va bene. Non va bene politicamente, indipendentemente da chi sia la maggioranza municipale. Le amministrazioni pubbliche non possono più permettersi scelte del genere. E non va bene nemmeno per chi, cittadino svizzero, si è visto passare davanti altre persone senza capire bene il perché. Perchè non è che queste cose non abbiano suscitato malumori in chi le ha viste coi suoi occhi.

Non si può gridare ogni giorno “prima i ticinesi” e poi accettare che succedano cose del genere. Anche se “acqua passata non macina più”, bisogna capire che cosa è successo, quali sono stati i criteri adottati nelle “assunzioni”, quanti avevano diritto a partecipare a quel Progetto finanziato dai contribuenti luganesi e quanti no. Bisogna capire se ci sono state raccomandazioni o corsie preferenziali. O semplicemente una mancanza di controllo e di regole chiare. 

Nella foto: un momento di MusicNet, uno dei progetti curati dal Dicastero giovani ed eventi

 

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