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23.02.2015 - 08:070
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Contro il letamaio del lavoro: black list dei farabutti, sezione inquirente e multe da farli restare in mutande. Inutile menare per l'aia il cane del 9 febbraio

L'ANALISI - Riflessioni a margine del caso denunciato da Fonio. È venuto il momento di tracciare un confine tra buoni e cattivi. Ma sindacati e politici lascino a casa la demagogia

di Marco Bazzi

La schiera dei farabutti si infittisce di giorno in giorno. Sfruttatori, furbastri, gente senza scrupoli, “padroni del vapore”, sedicenti imprenditori per i quali l’etica, le regole e le leggi, sono solo un fastidio. Sono arrivati a frotte da quando si sono aperte le “frontiere del lavoro”. E con il loro cattivo esempio hanno contagiato anche parecchi dei “nostri”, perché diciamocelo: pure tra gli imprenditori “patrizi di Corticiasca”, per usare una metafora leghista, ci sono i farabutti.

Adesso è quindi venuto il momento di tracciare nel “mercato del lavoro” una bella striscia rossa: un confine chiaro e netto tra buoni e cattivi. Bisogna farlo, però, senza cadere in una logica manichea, dove i cattivi sono i padroni e i buoni sono i lavoratori sfruttati - perché questa è demagogia da operaismo nostalgico –, o dove i cattivi sono i frontalieri e i buoni i ticinesi – perché questa è demagogia da populismo xenofobo -.

Bisogna fare questo esercizio di discrimine denunciando pubblicamente le situazioni scandalose, da “lombardizzazione del mercato del lavoro”, come quella segnalata nei giorni scorsi dal sindacalista Giorgio Fonio (leggi l’articolo correlato). È assurdo che chi i candidati alle elezioni debbano subire la gogna di veder messi in piazza i loro reatucoli e non esista una lista pubblica degli imprenditori canaglia, di coloro che sono stati sanzionati - amministrativamente o penalmente - per gravi violazioni delle leggi sul lavoro. 

Un becero a cui qualcuno ha affidato un ruolo di responsabilità in un’azienda internazionale di Mendrisio ha pronunciato questa frase - tra le molte altre inqualificabili - di fronte ai suoi dipendenti, una frase riportata da Fonio nella sua denuncia pubblica.

Leggetela – o rileggetela - bene: “Lui si lamenta perché ha fatto pochissime ore, senza rendersi conto che ha portato a casa 1’700 euro grazie al cambio attuale, cioè voglio dire, minchia, da metterci la firma, ti stiamo praticamente regalando i soldi, mi dovresti pulire pure la casa e portarti i prodotti di pulizia direttamente da casa tua. Ti stiamo praticamente regalando uno stipendio da parlamentare”.

Ma vi rendete conto del punto in cui siamo arrivati? Questo “dirigente” va cacciato. Gente del genere non deve avere cittadinanza, nemmeno professionale, in un paese civile. Gli si deve revocare seduta stante il permesso di lavoro. Che se ne torni nel Comasco, dove abita, e ci resti per sempre! Perché questo individuo, stando alle informazioni in nostro possesso, ne ha fatte di cotte e di crude nel suo ruolo di “direttore”, e prima di rispedirlo al suo paese andrebbe anche denunciato alla Magistratura.

Questo è un caso singolo, per quanto eclatante e scandaloso, ma di storie simili ne sono venute a galla molte altre negli ultimi mesi, alcune delle quali sono finite sul tavolo del Ministero pubblico. La stragrande maggioranza, però, rimane sotto la cenere della paura, dell’omertà, se non dell’indifferenza…

Sfruttamento, violazioni contrattuali, sostituzione sistematica di lavoratori locali con frontalieri, forme di moderno schiavismo, ricatti, caporalato, subappalti a catena a padroncini o a finti indipendenti, trattenute illecite sui salari – ti pago secondo contratto ma tu mi ridai indietro una parte di stipendio, oppure: ti pago per un 50% ma mi lavori al 100 -, truffe alle assicurazioni sociali, aziende create con l’unico scopo di farle fallire… E mettiamoci anche quelli che arrivano in Ticino con un contratto fittizio (e chi glielo procura) per ottenere un permesso B e approfittare poi di reti sociali molto più generose che in qualsiasi altra nazione europea. Tutto questo letame non deve trovare spazio nella nostra realtà. 

Bisogna quindi stilare l’elenco dei cattivi e aggiornarlo costantemente, e bisogna mettere i cattivi nell’impossibilità di nuocere. Bisogna allestire e pubblicare una black list dei farabutti. Revocargli i permessi di lavoro e di soggiorno – se sono stranieri -, processarli per direttissima come gli hooligans se hanno commesso reati, e infliggergli multe talmente salate che li facciano restare in mutande.

Bisogna poi creare una “polizia del lavoro”, formare degli investigatori e iniziare a fare delle inchieste serie e sistematiche su aziende, attività e personaggi che puzzano di truffa e raggiro. Non si può più aspettare che arrivino notizie di reato per agire. È mai possibile che la Polizia cantonale abbia una sezione che si occupa delle prostitute ma non abbia un “commissariato del lavoro”?

Ma queste cose bisogna farle in fretta e smetterla di menare per l’aia il cane rabbioso e schiumante del 9 febbraio, che è un esercizio proclamatorio e non riuscirà, ammesso che riesca, prima dei prossimi due anni.

Bisogna agire in fretta per due motivi. Primo: per evitare che il virus si insinui nei gangli della società del lavoro a una tale profondità da diventare inestirpabile. Secondo: per evitare di diventare complici – tutti noi, come istituzioni, individui e società - di chi approfitta della crisi, dei bilaterali, dell’illimitata disponibilità di manodopera in cerca di lavoro a qualsiasi condizione (e ora anche della difficile situazione dovuta al rafforzamento del franco) per spianare la strada al dumping salariale, alla legge della giungla, quando non per peggiorare, senza un plausibile motivo, le condizioni dei propri dipendenti.

Nel “padronato” il confine va tracciato tra chi merita rispetto e chi no, tra onesti e disonesti, e nel termine “padronato” ci mettiamo tutti quelli che dirigono o possiedono un’azienda, una ditta, una società, indipendentemente dal numero di persone che occupano e dal settore in cui operano. Gli imprenditori seri e onesti dovrebbero essere i primi a volere quest’opera di “pulizia”, per evitare di essere confusi con la gramigna da chi ha l’abitudine di fare “di ogni erba un fascio”.

È comprensibile che, come ha scritto il il direttore dell’Associazione industriali, Stefano Modenini, gli imprenditori siano “stufi di essere considerati dei criminali e degli approfittatori, stufi dell’ostilità nei loro confronti, della messa in atto di ogni pretesto per ostacolare l’attività delle imprese”.

E in questo i sindacati e i partiti della sinistra sono chiamati a dimostrare grande senso di responsabilità: devono evitare le generalizzazioni e bandire la demagogia. Non solo loro: tutti i partiti e tutti i politici, visto che siamo in campagna elettorale, dovrebbero evitare di marciare su una situazione che chiede serietà, impegno concreto e soprattutto rispetto. Rispetto per chi il lavoro ce l’ha ma teme ogni giorno di perderlo, e per chi l’ha già perso. Rispetto per gli elettori, che non sono un branco di pecore da tosare ogni quattro anni.

“Dagli al frontaliero” e la “politica delle illusioni” sono esercizi che troppi politici, ministri compresi, stanno attuando da troppo tempo soltanto per conquistare voti e favore popolare. Frontaliero è ormai diventata la parola magica che apre le porte del consenso.

Leggendo i commenti su Facebook all’articolo sul caso raccontato da Fonio abbiamo notato oltre ai molti plausi, anche alcune critiche: “ha denunciato il caso per scopi elettorali, visto che anche lui è candidato”, o “i sindacati devono smetterla di difendere i frontalieri e occuparsi dei nostri”.
Sarà anche che Fonio è in campagna – ma lo sono anche le decine di candidati che riempiono giornali e portali di parole a vanvera -, ma non va dimenticato che, difendendo i diritti dei lavoratori frontalieri, i sindacalisti difendono anche i diritti dei ticinesi. È proprio sull’assenza di regole e di tutele per i lavoratori esteri che prolifera il virus dell’imbarbarimento del mercato del lavoro.

Però queste cose si vedevano venire lentamente e da molto lontano, come la polvere sollevata dalle colonne di barbari che scendevano dalle steppe verso le città dell’Impero. Ma noi tutti abbiamo continuato a vivere a caviale e Champagne e a divertirci come se nulla fosse, cullandoci nel nostro benessere e nella nostra opulenza. Fino a qualche anno fa il motto della politica era quello degli antichi imperatori prima che Roma subisse le umiliazioni del primo “sacco”, ad opera dei Galli di Brenno: panem et circensis. Ma adesso il pane scarseggia e i circhi si sono svuotati…

In questi anni la politica federale ha immolato la sovranità nazionale sull’altare dell’economia e del profitto siglando accordi capestro con l’Europa senza avere il coraggio e la forza di imporre regole e steccati vincolanti…

“Un vecchio muore!” La nota che ha lasciato era firmata ‘Vecchio Padre Tamigi’. Sembra che sia annegato vendendo l’Inghilterra alla libbra”, cantavano i Genesis in “Selling England by the pound”. “Vendendo l’Inghilterra un tanto al chilo”, si potrebbe tradurre il titolo di quell’album. Un titolo ispirato a un manifesto del Partito laburista che già allora, era il 1973, denunciava la svendita del Paese a meri interessi finanziari ed economici.

Mentre i nostri politici erano impegnati a schiaffeggiarsi col guanto bianco e a sfidarsi al fioretto in ridicoli duelli da damerini, i barbari hanno varcato le frontiere e si sono insediati nelle nostre terre imponendo le loro regole.

Non la storia è stata buona consigliera. Non la letteratura che l’ha raccontata.
“Me l’aspettavo l’accusa di affamare il popolo e di vivere del suo sudore. Ma come potete dire sciocchezze simili voi che dovreste conoscere gli enormi rischi che corrono i capitali nell’industria!”, dice nel Germinale di Zola il padrone della miniera di carbone. Era il 1885.
“Ed ecco formarsi ed apparire le carovane dei nomadi: ventimila, centomila, duecentomila. Varcando le montagne si riversano nelle ricche vallate: tutti affamati, inquieti come formiche in cerca di cibo, avidi di lavoro, di qualunque lavoro”, racconta Steinbeck in Furore. Era il 1939.

Questo brano è lo specchio di quello che sta accadendo in Europa. E non basteranno contingenti e contratti collettivi (che comunque ci vogliono) a garantire che il nostro Paese, molto più fortunato e fortunatamente molto più indipendente dall’UE rispetto ad altri, conservi i valori di dignità – di vita e di lavoro - che ha faticosamente conquistato. 

“Non con l'oro si difende l'onore della patria, ma col ferro delle armi!”, disse Furio Camillo dopo il sacco di Roma. E noi, per chi ancora non l’ha capito, oggi siamo in guerra.

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