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26.02.2015 - 17:480
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Droghe da stupro, il farmacista cantonale: “Una su tutte è la più diffusa e pericolosa: l'alcol”

La violenza subita da una ragazza durante il carnevale di Castione ha riportato alla ribalta anche in Ticino un fenomeno altrove tristemente ricorrente. Il farmacista Giovan Maria Zanini spiega quali siano gli effetti di queste sostanze

BELLINZONA – Nei paesi anglosassoni lo chiamano “drink spiking”, è l’atto di drogare la bevanda della potenziale vittima per poterne poi abusare e avere un termine coniato appositamente fa capire l’entità del fenomeno in questi paesi. In Svizzera, la “droga dello stupro” è salita alla ribalta negli ultimi mesi con l’accusa rivolta, lo scorso dicembre, al presidente UDC di Zugo, sospettato di aver abusato di una deputata dei Verdi durante una festa. E oggi, con la notizia apparsa su LaRegione, anche in Ticino.

A far nascere il sospetto nella 21enne del Bellinzonese di esser stata drogata, il fatto che non ricordi nulla di quanto le è accaduto quella notte e della violenza subita alla Fabrique durante il carnevale di Castione (vedi suggeriti).

“L’amnesia è una caratteristica di queste sostanze: quando è sotto l’effetto di queste droghe, la persona non memorizza quello che le succede”, spiega il farmacista cantonale Giovan Maria Zanini a Liberatv. "È questa loro ‘peculiarità’ a renderle interessanti per l’aggressore".

Dietro al nome “droga dello stupro” si celano in realtà diverse sostanze utilizzate allo scopo: si tratta di medicamenti nati per la cura di varie patologie o per uso veterinario. Ad esempio, una delle più diffuse negli States è lo zolpidem, farmaco per il trattamento dell’insonnia.

La sola di cui si è però accertata la presenza in Ticino è la GHB, uno stupefacente sintetizzato dal GBL (estere gamma-butirrolattone). Entrambe sono proibiti dalla Legge federale sugli stupefacenti. Contattata, la Polizia cantonale spiega che in Ticino sono avvenuti pochi sequestri, un paio di casi nel 2014, e che “non risultano produzioni locali ma importazioni da paesi dell'Europa dell'Est”.

La loro presenza sul mercato è “quasi sempre da imputare ad acquisti fatti tramite internet”, ma, precisano dalla Cantonale, “non abbiamo riscontri oggettivi dell'uso dello stupefacente nel contesto di reati sessuali”.

“Queste droghe – spiega ancora Zanini – come GHB o GBL sono state trovate anche da noi. Si tratta di stupefacenti il cui impiego come ‘droga da stupro’ è solo uno dei possibili. Per dirla banalmente: fanno parte delle sostanze usate per ‘farsi un viaggetto’. Ma non sono diffuse in modo massiccio”.

Se pensiamo all’utilizzo di sostanze nei casi di reati sessuali però, la cosa davvero importante che emerge per Zanini è una sola: “La droga di gran lunga più utilizzata nel mondo si chiama alcol. Nei reperti forensi di persone vittime di stupro, in più di un quarto dei casi a emergere è il collegamento con l’abuso di alcolici. Questa è l’informazione più importante: capire che il rischio di diventare vittima non si nasconde solo dietro alla droga ‘classica’, ma il pericolo maggiore è dato proprio dalla quella più comune e diffusa di tutte. La prima cosa da fare per proteggersi è quindi di non abusarne ed evitare di perdere il controllo”.

Il parallelo con l’alcol riguarda anche gli effetti di queste droghe, “che sono fondamentalmente gli stessi, ma ottenuti con dosaggi nettamente minori. Quando parliamo degli effetti di grossi quantitativi di alcol ci riferiamo infatti a molti bicchieri, nel caso delle droghe ragioniamo invece nell’ordine dei millimetri”. Di gocce. “Per intenderci, non parliamo di 2 o 3, ma di 40 o 50 gocce che restano comunque dei volumi molto piccoli e facili da ‘nascondere’ in una bevanda”.

Gli effetti quindi, proprio come per l’alcol, sono euforia e disinibizione a bassi dosaggi, che più crescono più danno luogo all’effetto sedativo fino ad arrivare alla narcosi o allo stato comatoso. “A cui si accompagna la perdita di vigilanza e dello stato di coscienza, la diminuzione della capacità di giudizio e di quella motoria”.

Proprio i loro effetti molto simili all’abuso di alcol, rendono poi difficile l’accorgersi per la vittima, o chi le sta intorno, di esser stata drogata. Spesso poi queste droghe sono inodore e insapore. Spesso, ma non sempre: “A dipendenza della sostanza e di come è stata preparata, può anche dare una sensazione di sapone in bocca. La prassi è però quella di mescolarle alle bevande, e non a un bicchiere di acqua, ma a bevute che hanno dei gusti forti e che, visto che ne bastano quantità molto piccole, mascherano completamente il possibile gusto della droga”.

Per la vittima quindi, “accorgersi che la sua bevanda è stata drogata è molto difficile. È più facile che qualcuno di ‘esterno’ noti gli effetti, pensando che si sia ‘sbronzata’ velocemente nonostante abbia bevuto ancora poco. Ecco, questo può essere l’indizio che alla potenziale vittima sia stato somministrato qualcosa o anche che abbia assunto una droga”. Essendo usate principalmente per lo ‘sballo’, non va dimenticato anche che questi stupefacenti possono essere prese intenzionalmente portando poi a tragiche conseguenze.

Ma difficile è anche provare che queste droghe siano state somministrate: “Il GHB o GBL vengono eliminati dal sangue già nel giro di 4 o 5 ore, mentre dalle urine ne scompare ogni traccia dopo 12. Quando la vittima comincia quindi a tornare in sé ed accorgersi che potrebbe esserle caduto qualcosa, spesso la sostanza è già stata eliminata e diventa difficile dimostrare che sia stata drogata”.

Un ultimo ‘mito’ da sfatare sugli stupri legati all’abuso di sostanze, è quello che a drogare la bevanda sia lo sconosciuto, l’aggressore che attende in agguato nel locale una potenziale vittima casuale. “Se si fa una ricerca sul tema delle droghe da stupro, la cosa su cui si punta per la prevenzione è il tenere d’occhio il proprio bicchiere e il non accettare bevande da estranei. Quello che va tenuto presente però è che spesso quando avviene uno stupro con ricorso a sostanze, tra vittima e aggressore c’è una relazione di conoscenza. Normalmente si parte infatti dal presupposto che, in qualche modo, lo stupratore faccia parte della stessa cerchia della vittima. Perciò l'essere in compagnia non vuol dire necessariamente essere al sicuro: sempre meglio valutare attentamente se ci si possa veramente fidare”.

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