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Politica e Potere
23.05.2015 - 11:030
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Da San Filippo a Re di Maggio... Lombardi: "Per rilanciare il PPD ci vuole un piccolo elettroshock. Riorganizzare e ringiovanire"

Il coordinatore: "Dobbiamo chiederci se a tutti i livelli abbiamo persone sufficientemente motivate e politicamente preparate, e avere il coraggio di procedere a eventuali sostituzioni"

di Marco Bazzi

BELLINZONA – Il ruolo di Filippo Lombardi è “coordinatore”. Che è un po’ meno - ma non molto - di presidente. Diciamo leader o, giocando sul mese in cui è caduta la sua nomina, chiamiamolo Re di Maggio, come quell’Umberto II di Savoia che fu l’ultimo sovrano d’Italia e regnò un solo mese, tra il maggio e il giugno del ’46. Quello di Filippo Lombardi, nel PPD, sarà una sorta di “interregno”, dopo l'abbandono di Giovanni Jelmini e in attesa del nuovo presidente. Un interregno più lungo di un solo mese, ma che non andrà comunque oltre la fine dell’anno (leggi qui).
 
“A dire il vero – dice a liberatv il consigliere agli Stati –, essendo ottimista per natura, mi sono posto la scadenza del 19 settembre, quando ci sarà il congresso elettorale in vista delle nazionali di un mese dopo. Se saremo in grado già entro quella data di indicare il nuovo presidente sarò ben lieto di passargli lo scettro. In caso contrario indiremo un nuovo congresso dopo le elezioni, ma sicuramente lascerò il mio ruolo entro la fine dell’anno. Al comitato cantonale ho usato un detto francese: “Servir e disparaître”, perché non ho sicuramente intenzione di ‘incrostarmi’ in questa carica”.
 
Il rischio di restare con la pepa tencia in mano, insomma non lo vuole proprio correre…
“Ci mancherebbe! Ho già abbastanza impegni sul fronte sportivo, politico e professionale per fare il coordinatore sine die”.
 
Detto dei termini, veniamo agli obiettivi.
“Dovremo praticare un piccolo elettroshock al Partito per mettere a disposizione della futura dirigenza una macchina in grado di funzionare meglio di adesso. E come tutti sanno nella maggior parte delle posizioni se vuoi cambiare qualcosa lo devi fare nei primi 100 giorni. Dopo puoi solo limitarti a gestire la situazione”.
 
Si prepara dunque una piccola rivoluzione in seno al Partito popolare democratico?
“Non parlerei di rivoluzione. Piuttosto di nuova strategia. Ma per poter stabilire una strategia bisogna prima fare un’approfondita analisi della situazione, capire dove stiamo, dove sono i problemi, quali sono stati gli errori che ci hanno portato alla ‘sconfitta’ di aprile, e quali sono i potenziali di recupero e di crescita”.
 
Tempi?
“Qualche settimana per fare la radiografia del partito e di tutte le sue strutture istituzionali e delle rispettive dinamiche: segretariato, sezioni, movimenti, gruppo parlamentare… Intendiamo avere una prima fotografia già entro il 6 giugno, quando ho convocato un comitato cantonale straordinario a porte chiuse. In quell’occasione andrà fatta una discussione franca e aperta sul nostro presente e sul nostro futuro. Dovremo capire in che misura siamo in grado, al di là della forza oggi ridotta del nostro consenso, di influenzare durevolmente la politica cantonale in funzione degli obiettivi che ci porremo. Decidere insomma che futuro vogliamo come popolari democratici per il Cantone e i Comuni”.
 
Fatta la strategia occorre elaborare una tattica per applicarla…
“Esatto, poi bisognerà lavorare sulla tattica e individuare gli strumenti per raggiungere gli obiettivi. Probabilmente ci serve qualche adeguamento degli Statuti, certamente ci vuole una riorganizzazione degli organismi intermedi del Partito, vanno ripensati i metodi di lavoro e almeno in parte rinnovati i responsabili. Occorre ripensare la forma organizzativa di sezioni e distretti anche alla luce delle aggregazioni comunali avvenute e in arrivo. Ma statuti e organizzazione sono solo uno strumento, ciò che conta per costruire il futuro sono le idee e le persone”.
 
Punto dolente ma inevitabile… “Purghe” in vista?
“Assolutamente no! Dobbiamo semplicemente chiederci se a tutti i livelli abbiamo oggi persone sufficientemente motivate e politicamente preparate per rilanciare il partito. Dove non fosse il caso dovremo avere il coraggio di procedere a sostituzioni, senza farne dei drammi. Dovremo anche completare gli organigrammi laddove oggi vi sono ruoli scoperti o responsabili non più operativi. In una parola potrei dire che dobbiamo ‘ringiovanire’ il partito. Che non è solo una  questione anagrafica, ma anche e soprattutto una questione di impegno e di passione politica che le persone saranno in grado di immettere nelle loro cariche”.

E che ne sarà del vostro giornale? Popolo e Libertà ha ancora senso nella sua formula attuale?
“Dovremo discutere anche di questo. Vedremo… Quando parlo di organizzazione, includo naturalmente anche il segretariato, la comunicazione, la gestione delle campagne elettorali. Di sicuro occorrerà anche un ripensamento a questo livello”.
 
Al di là della riorganizzazione ci sono anche gli obiettivi elettorali ai vari livelli, che vanno declinati sull’immediato e sul futuro. La riconquista di quel consenso perduto di cui lei parlava…
“Chiaro. Adesso bisogna pensare immediatamente alle elezioni nazionali e subito dopo a quelle comunali, anche se queste ultime sono tradizionalmente più di competenza delle sezioni. So però che avremo qualche problema in diverse sezioni e come gruppo dirigente dovremo cercare di risolverli intervenendo se necessario dall’esterno. Sul piano elettorale mi guardo bene dal far proclami bellicosi: l’obiettivo minimo è difendere e mantenere le posizioni. Ma l’esempio del PPD di Ginevra che è cresciuto in tutte le ultime elezioni (nazionali, cantonali e comunali), come pure l’esempio del PLR ticinese, ci dimostrano che lavorando bene è anche possibile invertire le tendenze negative”.
 

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