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17.06.2015 - 16:530
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Zeman è sbarcato a Lugano: un allenatore che sta al calcio come il comunismo sta alla politica. Fascino e rischi di un grande del pallone

ANALISI - L'ideologia calcistica del tecnico boemo non è sezionabile, malleabile, plasmabile, a dipendenza di luogo, progetto o calciatori. E neppure è aggiornabile...

di Andrea Leoni

LUGANO - Ingaggiare Zdenek Zeman significa sposare un'ideologia. Si tratta quindi innanzitutto di un atto totale di fede (laico) in cui non sono previste, e meno che mai concesse, scappatelle o anche solo indulgenze sul tema. Il tutto in un Mondo come quello del calcio dove il compromesso, la divagazione e il meretricio, anche in senso positivo, sono consuetudine se non abitudine, come nella vita di tutti i giorni del resto. 

Non si può essere un po' incinta, come non si può, almeno formalmente, essere un po' comunista o un po' fascista (anche se poi accade eccome…). E non si può essere un po' zemaniani. O lo si è o non lo si è.

L'ideologia calcistica del tecnico boemo non è sezionabile, malleabile, plasmabile, a dipendenza di luogo, progetto o calciatori. E neppure è aggiornabile. Non esiste, né esisterà mai, uno Zeman 2.0. E fa strano (o forse no) che a incarnare un'ideologia calcistica tanto ferrea sia un uomo fuggito dal socialismo reale dell'Unione Sovietica, che proprio negli anni del suo approdo in Italia (dallo zio Vycpalek che allenerà la Juventus) invadeva la sua Repubblica Ceca.

Zeman sta al calcio come il comunismo sta alla politica. O, meglio, con quel pizzico di costrizione e respiro spirituale, il Khomeynismo. La sua idea di calcio viaggia cioè sui binari dogmatici e integralisti. E in un Mondo occidentale ormai distante quasi 30 anni dal crollo delle ideologie, Zeman è un po' come la Cuba di Castro (quella di Fidel): un'isola che fa a cazzotti con i grandi e talvolta anche con sé stessa e con la realtà.  

L'ideologia, però, come la sua interpretazione integralista, resta per alcuni motore di fascino anche ai giorni nostri. L'Isis ne è un esempio esagerato e lampante, con molti giovani che accorrono dall'Occidente per unirsi al Califfato e combattere per quell'ideale. O anche solo la presa che il progetto politico degli uomini di Al Baghdadi ha sull'opinione pubblica di molti Paesi islamici più o meno moderati: diversi sondaggi rivelano come dai sofà del Cairo o di Doha, siano la maggioranza i tifosi da poltrona dell'Isis.

Anche Zeman e il suo calcio continuano ad esercitare un potente fascino su una nicchia del popolo del calcio. O sarebbe più corretto chiamarlo il popolo di Zeman, la sua setta, chi lo segue indipendentemente dal campionato o dalla squadra in cui allena: al di là del bene e del male. Perché come con Nietzsche la filosofia del Boemo non si colloca nel giudizio mondano o quotidiano. I risultati, per dire…prima c'è altro: lo spettacolo, ad esempio, la scoperta e la valorizzazione dei giovani, perfino l'etica (mio dio!).

Chi ingaggia Zeman non lo fa per vincere ma prima di tutto per divertirsi, non solo in campo, a tutto tondo (e l'eccitazione scatenatasi in Città dal momento del suo annuncio ne è solo l'antipasto). Poi per far affermare dei calciatori, magari da rivendere bene al prossimo mercato o da lasciare al suo successore tirati a lucido. E infine per affermare una certa idea di sport, fatta di corsa, sacrificio, disciplina, estetica, pulizia.

Ma il calcio di Zeman, preso per intero, non è calcio. Ne è un genere. Come nel cinema. Un genere d'autore. Alcune sue idee e alcuni suoi insegnamenti sono talmente all'avanguardia che anche i più grandi allenatori del Mondo ne traggono spunto. L'ultimo ad averlo invitato a trascorrere del tempo insieme è stato Pep Guardiola, qualche settimana fa a Monaco di Baviera. Ma sono appunto pezzi, stralci, suggestioni, del Vangelo del Boemo. Tutte le più grandi squadre del presente e del passato hanno poggiato il loro successo su una grande organizzazione difensiva al servizio di chi ti fa vincere le partite: cioè chi fa i gol dal centrocampo in su.
È stato così per il Milan di Sacchi. E perfino l'ultimo Barcellona del triplete e del tridente Messi-Suarez-Neymar, ha avuto la miglior difesa della Liga. Non ha mai vinto, e neppure è entrato nella Leggenda, chi ha giocato soltanto a farne uno in più. Che è invece l'essenza – detta in maniera semplicistica - del calcio di Zemanlandia. 

Ingaggiare Zdnek Zeman, oggi, significa avere una grossa dose di incoscienza: come tentare un all in al Casinò. In particolare se la squadra è piccola e potenzialmente corre il pericolo di una retrocessione. Diciamoci la verità: negli ultimi anni i risultati del Boemo sono stati piuttosto negatativi. A parte la straordinaria promozione in A con il Pescara di Verratti, Immobile e Insigne – da lui lanciati nel calcio che conta – c'è poca roba da raccontare. E i ricordi del grande Foggia e della prima esaltante esperienza romana con Lazio e Roma, sono per l'appunto ricordi sempre più sbiaditi. 

Perché l'esperienza di Zeman a Lugano funzioni deve andare tutto, ma proprio tutto, per il verso giusto. La società non dovrà avere tentennamenti nel sostenerlo quando ci saranno i tonfi. E ci saranno. I giocatori devono sposare l'ideologia zemaniana quanto e più del loro presidente. I tifosi – con cui a dire il vero il tecnico ha sempre avuto ottimi rapporti, salvo l'ultima esperienza a Cagliari – devono consegnarsi mani e piedi al progetto. Costi quel che costi. E potrebbe non bastare. 

Ma se per sbaglio funzionasse, certo, ci sarebbe di che divertirsi. E per chi non deve vincere può anche essere più godereccio.

 

 

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