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Analisi
19.06.2015 - 05:350
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Con il canone generalizzato la RSI sarà meno libera. Non più solo servizio pubblico ma “ente pubblico”. E ora si apra il dibattito…

L'ANALISI - Quello di essere paragonato da molti a una sorta di “piano occupazionale” è un aspetto di cui la direzione della RSI e la CORSI dovranno tener conto, ma non è l’unico e nemmeno il principale dei problemi

di Marco Bazzi
 
Il voto di domenica scorsa sul canone generalizzato,  approvato a livello nazionale con una maggioranza risicatissima (50,08%, dunque con uno scarto inferiore a 4'000 schede) ha aperto - finalmente! -, un dibattito politico ed editoriale sulla SSR e sul suo ruolo di “servizio pubblico”.
 
Ad aprire le danze ci hanno pensato in questi giorni gli editori, sparando cannonate che preludono allo scatenarsi di un’aspra battaglia.
 
Ma quel dibattito andava lanciato già prima, durante la campagna sul referendum contro la modifica della legge sulla radiotelevisione. Non si trattava tanto, come qualcuno ha fatto in Ticino, di mettere in discussione la qualità di certi programmi o i proverbiali sprechi della corazzata di Comano e Besso.
 
Il dibattito andava (e ora andrà!) invece fatto su un altro livello, che è quello della concorrenza, del libero “mercato” e degli equilibri nel complesso mondo dei media. Richiamando per esempio all’ordine chi per anni ha rastrellato pubblicità sul mercato locale (anche a tariffe svaccate) approfittando della posizione dominante e incontrastata della RSI. E facendo piazza pulita delle varie società che per anni hanno lucrato sul prestito di personale alla RSI, fungendo da agenzie di collocamento.
Adesso che c’è il canone generalizzato e “blindato” tutte queste cose devono finire. Anche le evidenti sacche di spreco dovranno essere passate al setaccio, esattamente come si fa per gli apparati statali.
 
Il dibattito che ora bisogna avviare tocca però soprattutto la libertà di informazione, e quindi la libera formazione dell’opinione pubblica, di cui le reti SSR non possono continuare a rivendicare l’esclusiva. Porsi come principale (quasi unico) garante mediatico di un’informazione indipendente (e dunque della democrazia a livello mediatico) è insostenibile e arrogante.
 
Non ci crede più nessuno al discorso dell’indipendenza determinata dall’autonomia finanziaria (“noi abbiamo il canone e non ci facciamo condizionare da nessuno”). A parte il fatto che sappiamo che non è vero, perché il primo fattore di condizionamento la SSR ce l’ha in casa, ed è la politica, la democrazia nell’informazione non passa da monopoli, duopoli o concentrazioni editoriali, ma da una pluralità di voci e di testate. E chi, sia pubblico sia privato, rema nella direzione opposta mette a rischio una delle basi della democrazia stessa.
 
Nessuno si aspettava un’ondata così massicciamente negativa da parte dell’elettorato contro il “canone obbligatorio senza se e senza ma”. Si può sostenere, come ha fatto a Modem il direttore della RSI, Maurizio Canetta, che i cittadini svizzeri hanno maturato un’idiosincrasia nei confronti dei continui aumenti di tasse e balzelli e che per questo hanno votato così. Ma il discorso regge poco se si considera che chi già pagava il canone più caro d’Europa (la maggioranza dei cittadini) in futuro pagherà un po’ meno.
 
Quello di domenica sembra piuttosto un voto di protesta verso l’istituzione SSR, e in Ticino, dove è prevalso il no (52%), suona come un voto di protesta nei confronti della RSI.
 
Il Tages-Anzeiger non ha perso l’occasione per farci le pulci: "I più grandi approfittatori della SSR dicono no", ha intitolato, sottolineando che i ticinesi contribuiscono al canone solo per il 4,5% ricevendo una quota superiore al 20% per le sue emittenti, e ricordando che "mamma RSI" sfama centinaia di famiglie essendo il secondo datore di lavoro dopo il Cantone: "Un abitante su 300 - compresi vecchi e bambini - lavora per la RSI”.
 
Quello di essere paragonato da molti a una sorta di “piano occupazionale” è un aspetto di cui la direzione della RSI e la CORSI dovranno tener conto, ma non è l’unico e nemmeno il principale dei problemi.
 
Adesso, ottenuto sul filo di lana quel che voleva – una garanzia di finanziamento pubblico, dunque una vera e propria imposta - la SSR, che beneficia della quasi totalità del canone, dovrà fare maggiormente i conti con i propri finanziatori: i cittadini contribuenti. Esattamente come il Cantone, i comuni e la Confederazione (discorso che vale, attenzione, anche per le emittenti private, radio e tivù, che beneficiano del canone).
 
Da domenica scorsa la SSR è infatti, ancora più di prima, un “ente pubblico” e non solo un servizio pubblico. Non lo è soltanto nell’immaginario collettivo, ma nella realtà dei fatti. È quindi, paradossalmente, meno “libera” di prima. E i cittadini che d’ora in poi si vedranno prelevare il canone dalla longa manus dello Stato senza poter accampare scuse si sentiranno giustamente e doppiamente legittimati a dire la loro su tutto ciò che riguarda il piccolo grande mondo della radiotelevisione nostrana.
 
Nel contesto del dibattito sul voto (ma ancora prima, a livello parlamentare, visto che si trattava di una revisione della Legge sulla radiotelevisione), andava chiarito una volta per tutte il tema della concorrenza che, specialmente la televisione pubblica, rappresenta per tutti i media privati, dai giornali ai siti web. Una concorrenza troppo facile, che parte da una posizione di predominio assoluto e di immense disponibilità finanziarie.
 
Non arrivo a dire che bisogna impedire la pubblicità sulle reti SSR, ma limitarla bisogna sì, soprattutto quella locale. Bisognava (e adesso bisogna!) anche stabilire un chiaro divieto, in prospettiva futura, alla pubblicità sui siti web della SSR. Probabilmente la gente ha capito che questa revisione legislativa era a senso unico: per la SSR solo vantaggi e zero sacrifici. 
Giacomo Salvioni, presidente della Stampa Svizzera in Ticino, ha detto. "Ora è indispensabile discutere su quale servizio pubblico la SSR debba offrire ai propri telespettatori. Per quanto riguarda la RSI servizio pubblico vuol dire raccontare soprattutto la Svizzera, e non continuare a concentrarsi su contenuti locali facendo concorrenza ai media privati locali".

Opinione condivisibile, ma la posizione di Salvioni è ancora più condivisibile quando dice: "Il sito Internet della RSI dovrebbe essere limitato a vetrina informativa dei propri programmi, e non fare concorrenza ai siti privati proponendo contenuti giornalistici".

Non solo il sito rsi.ch, ma anche il portale tvsvizzera.it, che ha beneficiato di un contributo statale di 3 milioni di franchi (!!!) per proporre informazione sulla Svizzera e sul Ticino verso l’Italia, ma che totalizza visite ridicole in paragone ai costi: in maggio ha avuto la miseria di 172’000 visite, con meno di 280'000 pagine viste. Chiudere e basta, cosa si può dire d’altro?

Da oggi, su queste palesi storture, ogni ticinese potrà dire la sua e pretendere di essere ascoltato.

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