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Politica e Potere
26.06.2015 - 08:460
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Giorgio Giudici show: "Lugano in fallimento? Dirlo è debolezza politica. Vi racconto come abbiamo costruito la Città futura"

L'ex sindaco mostra due foto storiche e racconta 30 anni di politica e la nascita del LAC: "Non pensavo alla cultura del caviale".

di Marco Bazzi

LUGANO - “Viviamo in un Paese che sta andando alla deriva… Tante persone impegnate, sia chiaro, ma troppo solisti...”. Giorgio Giudici si lascia andare a qualche considerazione generale sullo stato della politica cantonale. È solo un preludio.
 
“Mi chiedo una cosa – dice mentre sorseggia un prosecco e sgranocchia qualche patatina a un tavolino del bar Madonnetta, a due passi dal suo ufficio di via Monte Bre -: il Consiglio di Stato, che è l’organo politico più importante – perché il Parlamento alla fine non detta la politica ma si illude di farlo, come il consiglio comunale – ha fatto la sua seduta di clausura. Ma ha poi detto che cosa intende proporre nei prossimi quattro anni per il Ticino? La gente vorrebbe sapere…”.
 
E aggiunge: “Mi piacerebbe capire che ruolo intende giocare il Ticino… La nostra politica si deve esaurire nell’opporsi all’eccessivo numero di frontalieri o di profughi, o suo compito è invece anche valorizzare le nostre carte vincenti? Penso, per esempio, alla ricerca… Ho l’impressione che gli sforzi e i progetti non convergano in una strategia unitaria. È chiaro che la cosa più difficile, soprattutto in Ticino, è staccarsi dalle logiche partitiche. E sappiamo che il ‘dipartimentalismo’ è una iattura, una calamità della nostra politica. Spero che le cose cambino nei prossimi quattro anni, ma ci credo poco”.
 
Da Bellinzona a Lugano il salto è breve, perché è a Lugano che batte sempre il cuore dell’ex sindaco.
La prima frase è una stilettata nel suo stile: “Lugano bisogna capirla e conoscerla prima di giudicarla e fare sparate. Una città che, come primo passo epocale,  è passata per quella che ha deciso  chiudere i servizi igienici per risparmiare, fa sorgere molti interrogativi ”.

“Non potevamo basarci sulla monocultura finanziaria, quindi…”

“A Lugano avevamo un progetto. Consisteva nel creare dei poli. Lo abbiamo portato avanti e realizzato. Alcuni tasselli mancano ancora, ma abbiamo gettato le basi pianificatorie per realizzarli”.
Tra il finire degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, spiega Giudici, la città si reggeva su un solo pilastro: la piazza finanziaria.
“Io ho sempre detto che non potevamo basarci su una monocultura economica. Abbiamo così individuato, tra gli altri, tre pilastri: accanto alla finanza, abbiamo sviluppato il turismo, il commercio e la cultura. Poi, nel ‘92 con Giuliano Bignasca, Giuseppe Buffi e Giorgio Salvadè abbiamo gettato le basi per la nascita dell’Università. Nel 96 é avvenuta l'apertura ufficiale. Poi in una sorta di logica continuità nel ‘99 è nata la proposta del Polo culturale. Vuol sapere come andò? Quali furono le origini di quello che oggi si chiama LAC?”.
Certo, racconti…

“Così nacquero idea e progetto del Polo Culturale”

“Il direttore del Credit Suisse, di Lugano, banca allora proprietaria di quei fondi, mi telefonò e disse: signor Sindaco  al Comune interesserebbe comprare il Palace? Era il dicembre del ‘95. Ne parlammo e ci accordammo per l’acquisto dell’area per 30 milioni. Il credito fu approvato dal Consiglio comunale nel 1996 e andammo avanti. Inizialmente l’idea era di realizzare un grande albergo con annesso il casinò. Ero presidente della Kursaal e chiedemmo al Municipio di poter assumere l'onere di aprire un concorso per la progettazione (furono invitati architetti di fama internazionale) di tutto il comparto. Ma ci rendemmo conto che era molto difficile progettare entrambi i contenuti su quell’area, così nel ‘99 decidemmo di realizzare la sala da gioco al Kursaal, dove si trova oggi”.
 
A quel punto, aggiunge Giudici, ci trovammo di fronte al  problema di cosa fare del Palace.
“Siccome sventrando il Kursaal per far posto al Casinò avevamo dovuto rinunciare al teatro, e visto che le mostre d’arte organizzate dalla Città attiravano decine di migliaia di visitatori - c’erano le code fuori da Villa Malpensata, si ricorda? – e che la sala concertistica del Palazzo dei congressi era inadeguata alla qualità delle orchestre che arrivavano a Lugano… ebbi l’idea di mettere sotto lo stesso tetto attività espositive, teatrali e musicali”.
 
Una domenica mattina, era l'inizio di dicembre, chiamai Erasmo Pelli - prosegue Giudici - e gli spiegai l’idea.
“In quegli anni in Municipio eravamo in cinque, era più semplice... Nel pomeriggio parlai con Guido Brioschi. Anche lui, come Pelli, si disse d’accordo. Allora telefonai al segretario comunale, Armando Zoppi e gli dissi di convocare una conferenza stampa. Lunedì mattina in seduta esposi l’idea a Salvadè. Mancava Valeria Galli, che era assente. Ma eravamo tutti d’accordo. Nel pomeriggio comunicammo pubblicamente che sull’area dell’ex Palace sarebbe sorto il Polo culturale di Lugano. Vendemmo l’ex albergo, tramite un’asta, ai privati e iniziammo le procedure e i concorsi per la progettazione”.
 
Il Cardiocentro e il Polo della ricerca

Poi, prosegue l’ex sindaco, “nel 1999 fui chiamato a presiedere la Fondazione Cardiocentro. Da lì nacque l’idea di un altro polo: quello della ricerca, anche perché in quel periodo ci fu l’opportunità di trasferire parte dell’attività del Centro di calcolo da Manno a Lugano. Restavano da sviluppare il polo turistico alberghiero al Campo Marzio e il polo sportivo a Cornaredo, pensato come un tassello importante per lo sviluppo del quartiere”.

Il progetto delle aggregazioni

Nell’88, ricorda Giudici, era nata la Commissione regionale dei trasporti che doveva pianificare la mobilità nel distretto ed è stato il primo elemento per dialogare in modo più diretto con gli altri comuni della regione.

“Mi ero detto: tutto quello che abbiamo creato e stiamo creando ha bisogno di un territorio più ampio per essere sviluppato pienamente”.
Così, nel 2000 il nuovo Municipio avviò il primo progetto aggregativo.
“La mia idea di città era basata su quattro porte di entrata: a est Gandria, a nord Cornaredo, a sud il Pian Scairolo e a ovest Breganzona. Abbiamo avviato i progetti per urbanizzare e dare un’identità a queste aree. Il mio obiettivo era caratterizzare queste entrate, con viali e edifici costruiti in altezza per segnare il passaggio, lo stacco, dalla periferia alla città. Nel piano della mobilità rientravano ovviamente anche la nuova stazione, l’aeroporto e la galleria Vedeggio-Cassarate”.

Parallelamente, prosegue Giudici, promossi le relazioni internazionali “perché se non ti fai conoscere fuori dai tuoi confini sei morto e nessuno sa che esisti. Mi spiace a questo proposito che non si sia colto il grande potenziale di Expo 2015. Abbiamo il mondo alle porte di casa e lo snobbiamo”.

La Città futura

“Immagino la Città futura come un unico territorio, dove non domina più la logica di piazzare egoisticamente le attività economiche che rendono dal profilo fiscale in questo o quel perimetro comunale. Bisognerà vincere le resistenze di Massagno, Paradiso, Cadempino, Bioggio, Manno… Ma succederà in capo a una ventina d’anni…”.
 
Con l’estensione di Lugano verso la Valcolla, prosegue Giudici, “abbiamo portato alla città un prezioso patrimonio di ambiente e risorse naturali, che non è monetizzabile oggi ma la cui importanza andrà valutata in prospettiva. Abbiamo dato un nuovo futuro a queste zone destinate altrimenti all'abbandono.  Abbiamo troppa emotività nelle nostre reazioni odierne: il valore di queste scelte si capirà solo tra venti o trent’anni. Oggi siamo ancora troppo condizionati da una certa immaturità nel guardare lontano… Le aggregazioni non vanno giudicate adesso. È troppo presto”.

Però a Lugano le aggregazioni sono costate molto…
“Vero, lo sapevamo, ma prima di parlare in modo roboante di una città sull’orlo del fallimento - che è stato un segno di debolezza politica, e ho contestato questa affermazione poiché come Municipio abbiamo sempre privilegiato gli investimenti a favore di tutta la collettività - bisogna conoscere e capire il potenziale di Lugano”.

“Volevamo acquistare la Collezione Thyssen. Ma il Barone voleva un miliardo…”

A questo punto Giudici rivela un particolare inedito e tira fuori dal suo archivio due foto storiche: “Un giorno, verso la fine degli anni Ottanta, ci fu un incontro a Villa Ciani al quale presero parte l’allora ministro Claudio Generali, l’allora consigliere federale Flavio Cotti e il Barone Hans Heinrich von Thyssen. Sa qual era lo scopo? Esaminare le premesse per acquistare la collezione del Barone. La valutazione fu più di un miliardo di franchi. Oggettivamente era troppo e rinunciammo… La collezione d’arte di Villa favorita portava un indotto importante alla città, ma abbiamo ritenuto che anche a Villa Malpensata si poteva continuare a proporre grandi mostre. Lo abbiamo dimostrato portando fino a 150'000 visitatori, con Munch, Botero, Chagall… Era una ruota che girava… Si ricorda? In occasione della mostra di Munch arrivò a Lugano perfino la regina di Norvegia… Questo era il Polo culturale che avevo immaginato: un motore della cultura, ma non solo della cultura del caviale”. 

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