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Cronaca
02.07.2015 - 17:480
Aggiornamento: 03.10.2018 - 16:25

Vittime e carnefici, cause e rimedi: fotografia del marcio del lavoro nel Mendrisiotto. Fonio: “Assistiamo a una tratta di esseri umani"

Il sindacalista OCST descrive l’anatomia delle storture che affliggono la regione più toccata del Cantone. “Situazione peggiorata drammaticamente, qui è davvero dura”

MENDRISIO – Oggi era la volta di un’impresa di servizi informatici con sede a Mendrisio – che versava alla segretaria uno stipendio inferiore ai 9 franchi lordi all’ora –, ma nella cronaca trovano sempre più spesso spazio storie che denunciano le storture che stanno prendendo piede nel mercato del lavoro ticinese.

“Negli ultimi due o tre anni la situazione è peggiorata drammaticamente”, commenta il sindacalista OCST Giorgio Fonio con cui cerchiamo di scattare una fotografia della situazione nel Mendrisiotto. Se infatti il problema è purtroppo diffuso in tutto il Cantone, è soprattutto nel distretto più a sud del Ticino che quelle che dovrebbero essere eccezioni sembrano trasformarsi nella regola.

Fonio, partiamo proprio da qui: impressione o realtà delle cose? Il Mendrisiotto è la regione più toccata?

“Sicuramente, e i motivi sono lì da vedere. È in primis proprio una questione di territorio: il distretto confina con l’Italia ed è sostanzialmente toccato in prima persona dal fenomeno del dumping e della speculazione da parte di questi sedicenti imprenditori. Ma il problema è anche legato agli stessi immobili: soprattutto nel basso Mendrisiotto gli affitti sono meno cari rispetto alle altre regioni del Cantone e questo non aiuta a tener lontani gli approfittatori. Nel Mendrisiotto è davvero dura: non nascondo che è frustrante e massacrante averci a che fare ogni giorno e vedere la piega che si sta prendendo”.

Qual è il settore più colpito?

“Il terziario. E per averne una prova basti pensare ai numerosi contratti normali di lavoro che sono stati emessi per questo settore. Ultimi in ordine di tempo quelli che riguardano le agenzie viaggi, gli studi legali, le fiduciarie… In tutto siamo a una quindicina, la prova che il terziario è decisamente massacrato”.

Quando questi casi emergono, denunciano spesso fenomeni legati al dumping, ma vi sono anche altre storture che stanno pendendo piede?

“L’abuso che riscontriamo più di frequente è certamente quello salariale, con l’offerta di stipendi inaccettabili. Ma poi ci sono casi di contratti corretti ‘à la carte’ e distorti nella realtà dei fatti. Il classico mezzuccio del ‘ti assumo al 50%, ma poi lavori al 100%’ insomma, in cui il lavoratore viene impiegato a tempo pieno vedendosi però riconosciuta in busta paga una percentuale nettamente inferiore. C’è da dire che queste persone sono sempre più spregiudicate nel cercare di eludere le normative e i contratti in vigore. E proprio in questo contesto, dove le retribuzioni non possono essere scandalose perché vige un contratto collettivo, a pagarne le conseguenze è l’artigianato, che sta vivendo un marcato peggioramento delle condizioni di lavoro con l’esplosione di arrivi di nuove aziende aperte da imprenditori del nord Italia. Arrivano, aprono e poi quello che succede lo leggiamo sulla cronaca di tutti i giorni. È spesso qui che riscontriamo viene praticato questo sistema della percentuale di lavoro ‘fittizia’. Cosa che crea non pochi disagi ai lavoratori e alle imprese serie che con fatica cercano di andare avanti e che si trovano fronteggiate con una concorrenza spietata e vergognosa”.

Purtroppo, ed è proprio questo su cui si lucra, per molti, potremo dire banalmente, una miseria è meglio di niente. C’è quindi una certa omertà, dettata dalla paura di ritorsioni o di perdere il posto di lavoro, nel denunciare?

“Oggi ho parlato di una tratta di esseri umani. Potrà sembrare una definizione forse forte, ma non si potrebbe definirla in altro modo quando si importa mano d’opera disperata, contando proprio sulla sua disperazione. Non dimentichiamoci che confiniamo con una regione che ha un tasso di disoccupazione giovanile attorno al 40% e dove gli aiuti statati, soprattutto se rapportati ai nostri, sono pochi. È dunque facile far sì che le persone accettino quasi di tutto. Ma le vittime sono due. Da una parte c’è certamente il frontaliere, che viene bistrattato e che si trova nella condizione di dover accettare paghe che sono da fame anche per l’Italia – magari lavorando 45 ore alla settimana e vedendosene pagate la metà –. Dall’altra ci sono i residenti, che si trovano esclusi dal mercato del lavoro perché non possono accettare i salari che vengono proposti e men che meno sono disposti ad accettare certi modi e metodi. È una pressione massacrante e preoccupa molto”.

L’ha ribadito più volte, la situazione attuale è frutto dell’importazione di un certo tipo di fare impresa. Altrettante volte si è parlato delle possibili soluzioni. Una di queste è stata ancorata alla costituzione durante l’ultima tornata elettorale: il diritto a una salario dignitoso. Un minimo che verrà fissato e differenziato per settore. Potrà davvero cambiare le cose? E, pensiamo ai tempi di applicazione, nel frattempo?

“Si auspica che rafforzi il dialogo tra le parti sociali e incentivi a siglare CCL con regole chiare. Laddove ciò non avverrà, ci sarà un’imposizione da parte dello Stato. Ma, secondo me, non sarà sufficiente finché non si inaspriranno le regole del gioco e fisseranno sanzioni più severe. Non è normale che in pochi mesi qualcuno che apra una azienda individuale accumulando miriadi di debiti possa poi, durante l’inchiesta che lo vede coinvolto, aprirne un’altra e ricominciare a giocare. Quindi sì, l’iniziativa è un tassello, ma c’è bisogno anche di altri mezzi e soprattutto di un inasprimento delle leggi, perché quelle odierne, con sanzioni amministrative esigue, non scoraggiano abbastanza questo tipo di imprenditori. Ma c’è poi un altro aspetto che mi preme sottolineare…”

Prego.

“I controlli restano importantissimi. Ma quello che noto, e che non funziona, è che la legge non permette lo scambio di informazioni fra i vari attori che operano in questo senso sul territorio. Faccio un esempio: se io raccolgo tutti gli elementi su un possibile abuso e li trasmetto poi all’Ufficio dell’ispettorato del lavoro, facendo scattare così la sua indagine, a me poi non tornano le informazioni che hanno ottenuto. Non funziona, semplicemente. Oggi dobbiamo capire che siamo arrivati al punto in cui tutti coloro che operano in difesa del lavoro devono cooperare a 360 gradi, perché se non reagiamo uniti e con regole chiare la situazione diventerà sempre più difficile e sempre più assisteremo a quanto ho appena descritto. Il sindacato lavora sul territorio, denuncia e interviene là dove la legge glielo permette, ma poi c’è bisogno della collaborazione di tutti quanti. E qui mi rivolgo anche agli stessi lavoratori: denunciate! La gente deve continuare a farlo; d’altronde i contratti normali nascono anche grazie alle segnalazioni”.

ibi

 

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