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19.08.2015 - 11:430
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Liquidazione d'oro al city manager tra 'scandalo' e 'diritti'. Ecco i punti dell'accordo e i paracadute aggiuntivi. E Delorenzi potrebbe fare un passo per disinnescare la miccia

L'ANALISI - In ogni caso Lugano deve per legge versare 600'000 franchi al funzionario. Discutibili sono i sei mesi di salario in più

di Marco Bazzi

La prima, ovvia e comprensibile reazione è: ma come, la Città di Lugano accetta di firmare un accordo di “liquidazione” con il city manager Mauro Delorenzi del valore di 780'000 franchi mentre chiude i gabinetti pubblici e trasloca i daini del Tassino per risparmiarne qualche migliaio? Questo è il punto che all’opinione pubblica è e sarà molto difficile far digerire.

Pur diffidando dalle reazioni di pancia, dal “socialismo” (inteso come esternazioni e sbroccate sui social e sui blog), e dal populismo un tanto al chilo, diciamo subito che la liquidazione del city manager è economicamente esagerata e fuori misura di almeno 120'000 franchi. Soprattutto alla luce delle difficoltà finanziarie che Lugano sta vivendo e dei sacrifici che ha chiesto e dovrà chiedere a dipendenti e cittadini.

Per farsi un’opinione corretta, occorre però capire quali sono esattamente i termini dell’accordo, partendo da un presupposto: Delorenzi, il cui salario annuo ammonta a circa 240'000 franchi lordi, ha seri problemi di salute, che nessuno contesta, del resto.

Ma i problemi di salute non devono d’altro canto diventare una sorta di ricatto morale per ottenere più del ragionevole. Perché chi chiede (giustamente!), rispetto per la propria dignità, per la propria personalità e per le proprie condizioni, non deve perdere di vista cosa succede ogni giorno alla gente che vive fuori da Palazzo (inteso come pubblica amministrazione nel suo insieme).
Avete presente i castelli e i villaggi medievali circondati “extra muros” dal contado? Ecco (e questo vale in generale, al di là del caso in questione): i castellani, la loro corte e i “borghesi” non possono più permettersi di rivendicare privilegi dal sapore feudale, o di pensare che l’unico mondo sia quello che sorge all’interno delle mura.

Veniamo ora al controverso accordo. Prevede che la Città di Lugano (la quale, come il Cantone, non ha un’assicurazione per i propri dipendenti) paghi a Delorenzi il salario per un massimo di due anni, dopo i quali scade (per legge) il diritto alla copertura per malattia.

Si prevede dunque che, a causa dei suoi problemi di salute, Delorenzi non lavorerà nei prossimi due anni, scaduti i quali avrà però altri due “paracadute” – pagati dalla Città - che lo porteranno fino all’età pensionabile, o meglio al prepensionamento a 60 anni.

Il primo paracadute è un terzo anno di stipendio pagato dalla Città (oltre ai due di malattia che gli spettano di diritto), invece dei soli sei mesi previsti dal contratto.

Il secondo paracadute è il versamento a Delorenzi, sempre da parte della Città, dei contributi pensionistici per due anni, durante i quali l’alto funzionario beneficerà di un congedo non pagato (la somma è stimata in questo caso in circa 60'000 franchi).

In compenso, prevede sempre l’accordo, scaduto il periodo di malattia Lugano potrà affidare a Delorenzi dei mandati di consulenza, senza che quest’ultimo chieda nulla in cambio.

Insomma, nonostante il “divorzio” deciso dal Municipio a inizio giugno, e tempestivamente comunicato all’interessato (ricordate i funambolismi imbarazzati sui termini per definire la separazione?) con questo accordo De Lorenzi rimarrà di fatto dipendente della Città per i prossimi cinque anni: per due anni in malattia, per un anno stipendiato, per altri due anni con un congedo non pagato. Senza alcun obbligo di tornare al lavoro. Giustamente, perché quando un ente pubblico (o un’azienda privata) decide di separarsi da un proprio funzionario dirigente, il cordone ombelicale va tagliato di netto.

C’è anche la possibilità che le condizioni di salute di Delorenzi migliorino (rendendolo nuovamente abile al lavoro), o peggiorino al punto da far scattare l’invalidità, che subentrerebbe sotto forma di rendita alla copertura di malattia pagata dalla Città. Ma non è chiaro quali altri punti dell’accordo verrebbero in quest’ultimo caso a cadere: l’anno di stipendio sotto forma di buona uscita sarebbe, per esempio, un diritto acquisito.

È proprio su quest’ultimo punto che il Municipio si è spaccato (il sindaco Borradori, la vicesindaco Masoni e il municipale Bertini erano contrari all’accordo).
Va detto, per sgombrare il campo dai facili equivoci di chi oggi grida allo scandalo, che la Città deve comunque pagare al city manager due anni di salario per malattia (se il periodo di malattia durerà due anni). In più c’è il salario per il periodo di disdetta del contratto di lavoro (sei mesi). Quindi, volente o nolente, Lugano deve a Delorenzi 240 + 240 + 120'000 franchi, che fa un totale di 600'000.

Su richiesta dell’interessato e del suo legale si sono poi aggiunti i contributi pensionistici per i due anni di congedo non pagato, stimati appunto in 60'000 franchi. E sei mesi aggiuntivi di buona uscita (120'000 franchi), per cui si arriva a un globale di circa 780'000 franchi nei prossimi cinque anni (parte dei quali sotto forma di contributo di cassa pensione).

Ora, è chiaro che accettando questo accordo (che Delorenzi non ha ancora firmato) il Municipio ha cercato di mettersi al riparo da eventuali cause civili – lunghe e costose – e ha tenuto conto delle condizioni di salute del city manager. Dopo una lunga discussione, tra la maggioranza hanno prevalso l’aspetto umano e il rischio di causa…

Ora, ci sarebbe un modo semplicissimo per disinnescare nell’opinione pubblica e nel mondo politico luganese (tira già aria di interrogazioni…) la miccia dello “scandalo”: che, anche alla luce del voto non unanime del Municipio, Delorenzi facesse un passo di grande dignità, soprattutto per una persona come lui che ha sempre detto di avere Lugano nel cuore. Che rinunciasse ai sei mesi di stipendio non previsti dal contratto. Il resto andrebbe da sé…

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