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Cronaca
03.09.2015 - 09:200
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Cleto Ferrari: “A rischiare l’estinzione non è il lupo, è l’agricoltore di montagna. È lui che va difeso e chi dice il contrario non vuole bene al Ticino”

Intervista al deputato già collaboratore di Barra e Segretario agricolo, da sempre contrario all’insediamento del lupo: “Ho sempre tutelato la natura, ma ponendo al centro l’uomo e se c’è da scegliere...”

BELLINZONA – “Quando ho visto le foto sui giornali, ho pensato fosse bello vedere questi cuccioli, ma è stato anche come ricevere un pugno nello stomaco perché sappiamo cosa il lupo è in grado di fare nel caso in cui, come ora, si realizzi lo scenario peggiore, ossia la costituzione di un branco: il branco di lupi è una macchina da guerra contro gli animali da reddito”. A parlare è Cleto Ferrari, deputato e già consigliere personale del ministro Michele Barra, nonché ex Segretario dell’Unione contadini ticinesi, ruolo in cui, come ricorda lui stesso contattato da Liberatv, si era già battuto in tempi non sospetti contro il ritorno del lupo in Ticino. Ferrari rappresenta, insomma, una delle voci dell’altra faccia della medaglia. Iniziamo quindi col chiedergli, dal suo punto di vista, cosa porta con se il ritorno del lupo.

“Il pericolo di veder estinguersi l’agricoltura di montagna. Se penso alla mia attività di segretario agricolo, è già dagli anni Novanta che, con l’associazione, abbiamo lavorato per capire cosa significasse l’arrivo del lupo e cominciare a sensibilizzare su cosa sarebbe potuto accadere. Nel ’95 organizzammo, insieme all’Agricoltore ticinese, la prima serata con Luigi Boitani, che si occupò proprio di seguire la migrazione del lupo dagli Abruzzi alle Alpi, e ricordo ancora cosa disse più avanti nel corso di un altro incontro: “Se arriva un lupo in Ticino avrete problemi, con due qualcosa in più, ma nella vostra realtà agricola già con tre sarà veramente difficile”. Adesso sta iniziando a formarsi un branco e quando accadrà ho paura che per gli allevatori di animali minuti sarà, praticamente, la fine”.

Quello con Boitani è un appuntamento citato spesso anche dalla controparte: i promotori della sua presenza sottolineano come, nonostante ampiamente previsto, non ci si sia mossi per tempo e non si sia fatto abbastanza per accompagnare il ritorno del lupo. Ed è, insomma, proprio questa assenza di misure, più che il predatore stesso, la causa dei problemi.

“Le proposte di gestione del lupo della Confederazione mi sembrano viziate da troppo idealismo e poca conoscenza della realtà agricola. È dal ’95 quindi che ci opponiamo alle strategie della regia federale, francamente campate sulle nuvole. La politica prevede semplicemente che con i soldi dei contribuenti si risarciscano le perdite e che oltre una soglia di capi sbranati l’animale verrà abbattuto, ma per chi vive di agricoltura questo è inaccettabile. C’è certo qualche caso di ‘salvadanaio per contributi’, la quasi totalità degli allevatori invece non vuole i soldi e non vuole veder sbranati i propri animali. È gente che ci tiene, che li conosce per nome… Gente a cui non si può rispondere con questa politica da funzionariato idealista. Non va dimenticato, inoltre, che il Ticino vive una situazione particolare con un sistema di allevamento basato su piccole aziende per cui è difficile economicamente apportare le misure che vengono richieste. Non dico che siamo alla classica Sonderfall, ma vogliamo difendere la nostra realtà e peculiarità dell’allevamento. E c’è un altro punto che non va dimenticato…”

Quale?

“Anche se negli ultimi 20anni di sensibilizzazione qualcosa si è mosso nel settore agricolo, fra la gente e da una parte degli organi cantonali, quello che abbiamo sempre cercato – con difficoltà – di spiegare all’amministrazione e non solo è che il settore agricolo produce una infinità di biodiversità. Si tirano in ballo le convenzioni internazionali che ci legano al rispetto di questo concetto; ebbene, se lo volessimo davvero applicare, allora l’obbiettivo sarebbe sostenere l’agricoltura di montagna ed evitare la formazione di branchi di lupi. Ho abbracciato la professione di segretario agricolo perché ho sempre ammirato l’efficienza di questa vita. Sono persone che lavorano per passione e tradizione. Le razze che vengono oggi allevate in Ticino furono selezionate per ottenere, in base alle caratteristiche del territorio, il massimo nutrimento per la popolazione. È stato fatto quando di questo si viveva e ancora oggi è rimasto vivo il legame con questa efficienza della propria attività. Ora, invece, perché ci sono le convenzioni internazionali e perché, per un certo fanatismo, si ritiene che portare il lupo sia una ricchezza per la biodiversità, si vuole obbligare il ceto agricolo a sopportare. È un discorso insensato: in questo momento su tutto l’arco alpino è molto più in pericolo l’attività di agricoltore che non il lupo”.

Lei ha citato il discorso legato alla biodiversità. Restiamo fra gli argomenti dei fautori del ritorno del lupo: la sua presenza, si sottolinea, contribuirebbe a ridurre e modificare il comportamento degli ungulati, risolvendo quindi un problema che attanaglia altri importanti settori, come il mondo vitivinicolo e agricolo. Mi par di capire però che per lei il santo non valga la candela…

“Mi sembra una motivazione un po’ ridicola. La loro popolazione è in effetti in esplosione, ma a regolarla contribuiscono già i duemila cacciatori presenti nel cantone. Il lupo potrà certo contribuire, ma lo farà principalmente con gli animali da reddito degli agricoltori. Ma mi spingo oltre: secondo me il lupo causerà ancora più problemi in questo senso. Gli ungulati non sono più abituati ad avere nemici naturali e potrebbero essere portati a spingersi al sicuro, rischiando quindi di avere ancora più capi viziosi sul fondo valle. Il mio invito a chi mette avanti questo tipo di ragionamenti alle stragi di greggi che potremmo ritrovarci è di andare a conciliare queste realtà, l’agricola e il lupo, dove c’è l’effettiva disponibilità a farlo. È stato fatto in Abruzzo, certo, ma si tratta di una realtà radicalmente diversa con greggi immensi e la presenza di più pastori… cose che noi non possiamo permetterci”.

Il grande problema è l’abitudine del pascolo brado. Altrove, misure come greggi sorvegliate, recinti e cani pastore hanno dato i loro risultati. Perché questo non può essere possibile in Ticino?

“Se il lupo arriva in Ticino, possiamo anche applicare tutte le misure che vogliamo, ma l’agricoltura non ce la farà perché da noi, con la nostra morfologia, gestire il territorio in questo modo è impossibile. Si tirano in ballo tante teorie ed escamotage per difendere un animale che non ne ha bisogno, mentre io penserei invece a difendere gli agricoltori. Sono una persona che ha sempre tutelato la natura e messo al centro l’uomo e se c’è da scegliere… L’agricoltura, non dimentichiamo, fa turismo, crea prodotti, paesaggio, tipicità e tradizioni. Mi fa ridere quindi quando si millantano soluzioni che sono tali più su carta che nella realtà. Pensiamo ai cani da protezione, ne ho seguito le vicende: in un certo momento avevano azzannato più capretti loro che i lupi, senza contare gli attacchi ai turisti. Non è un elemento della nostra tradizione, sono imposizioni di gente che non conosce la realtà della vita agricola. E li invito ad alzare la testa: già ora le zone verdi scarseggiano, vogliono forse diventi tutto bosco? Chi parla così vuol dire che non vuol bene ai ticinesi. E invece vediamo tutti questi soldi buttati nel dimostrare quanto sapevamo già dal ’95: è impossibile. Ma questa in fondo è la prassi del nostro sistema: per sostenere eventi emozionali si danno mandati, si commissionano lavori, studi e approfondimenti per poi produrre niente”.

La soluzione quindi quale è? Abbatterli?

“Un tempo l’uomo aveva deciso che era più importante dare da mangiare ai propri figli che tenersi il lupo. Ora non siamo più di fronte a una scelta così radicale. Il lupo è un animale intelligentissimo, se gli si fa capire che non è ben accetto, senza misure drastiche, ma spaventandolo o mettendolo in difficoltà, se ne andrà per conto suo. Senza fare stragi si può quindi fargli capire che non è desiderato. Ci vuole determinazione, ma è questa la soluzione, penso, a cui dovremmo arrivare in Ticino con l’aiuto delle autorità e delle associazioni di caccia. Altrimenti, ogni 25 capi sbranati dovremmo abbattere un lupo, andando avanti così. Bisogna, a livello più ampio, creare una unità di intenti non eliminandolo tout court dal territorio, ma capendo che esistono zone più o meno favorevoli al suo insediamento”.

ibi

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