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22.09.2015 - 10:360
Aggiornamento: 13.07.2018 - 15:11

Renzetti elefante nella cristalleria. E Zeman lo sa fare chicchirichì? Il caso Lugano tra cinema e letteratura

Il botta e risposta a distanza tra il presidente e l'allenatore fa divampare la polemica in riva al Ceresio. Ha ragione Sciarini: bisogna capire se il tecnico Boemo crede ancora nel progetto e se la squadra è ancora con lui

di Andrea Leoni

Esiste il cinema di Quentin Tarantino. Quello dei registi di fantascienza o d'azione. O ancora quelli del neorealismo e della commedia. Grandissimi direttori che eccellono nell'arte della loro arte limitandosi a un genere o addirittura inventandoselo. Sono degli specialisti e in larga parte sanno fare solo quello. 

Un fenomeno, quello del genere e dei suoi autori prediletti, che ritroviamo anche nel calcio. Zeman è un grande maestro di genere, del suo genere. Ma non sa fare altro. Ingaggiandolo, quindi, si sa con rara precisione chi ci si porta in casa. E non si può certo chiedere a lui di trasformarsi in qualcosa che non è e non è mai stato.  Allo stesso modo in cui non si sarebbe potuto pretendere da  Agatha Christie un romanzo di fantasy o da Mel Brooks la completezza e l'Assoluto di Stanley Kubrick. A questo va sommato il rigore del personaggio che rifiuta qualunque aggiornamento del suo metodo. Come scrivevamo all'inizio della sua avventura non può esistere uno Zeman 2.0: i gradoni son sempre quelli di 40 anni fa. 

Per queste ragioni avevamo giudicato quasi incosciente la scelta di farlo accomodare sulla panchina di un Lugano neopromosso e con l'ansia e le risorse di chi prima deve pensare a salvarsi e poi a dare spettacolo ("come un al in al Casinò", leggi articolo correlato). Il calcio ha in sé una componente di cinismo che, piaccia o non piaccia, non lascia spazio ad appelli. Prima il risultato, poi il gioco. Meglio entrambi ma…"meglio" non "per forza". Il gioco del pallone non è infatti né una gara di ginnastica né di tuffi, dove una giuria premia l'estetica del gesto atletico. Sarebbe stato più saggio giocare la scommessa Zeman con una squadra maggiormente consapevole della categoria, capace di rivolgere la propria aspirazione in avanti senza avere le caviglie pesanti per il fondato timore di retrocedere.  

Purtroppo le ultime avventure di Zeman non sono state né buone né brillanti. Se escludiamo il grande exploit di Pescara dove in rosa c'erano comunque tre talenti di prim'ordine (Verratti, Immobile e Insigne), svezzati alla grande dal boemo, i risultati non ci sono stati. Pur riconoscendo all'allenatore il "lancio" di alcuni bravi giocatori giovani (ed è un grande merito nel calcio moderno, soprattutto in quello italiano), bisogna tornare agli anni '90 per trovare qualcosa di davvero eccellente nel lavoro complessivo del boemo.  

 Citarsi addosso è sempre una cattiva abitudine perché lo si fa solo quando i fatti tendono a darti ragione mai, come spesso accade, quando ti danno torno. Perdonateci quindi lo strappo alla regola necessario solo per annodare questo passaggio al ragionamento successivo: "Perché l'esperienza di Zeman a Lugano funzioni deve andare tutto, ma proprio tutto, per il verso giusto. La società non dovrà avere tentennamenti nel sostenerlo quando ci saranno i tonfi. E ci saranno. I giocatori devono sposare l'ideologia zemaniana quanto e più del loro presidente. I tifosi – con cui a dire il vero il tecnico ha sempre avuto ottimi rapporti, salvo l'ultima esperienza a Cagliari – devono consegnarsi mani e piedi al progetto. Costi quel che costi. E potrebbe non bastare". 

I nodi e i tonfi sono arrivati al pettine. E le critiche pubbliche, sulla gestione dell'ultima partita, con tanto di sceneggiata in panchina, mosse dal presidente Renzetti al suo allenatore, sono state totalmente fuori luogo. Un atto dilettantistico: da elefante nella cristalleria.  Soprattutto se sei la persona che ha ingaggiato Zeman. "Mi è partito l'embolo", ha dichiarato il presidente tentando una goffa ma saggia retromarcia. Per carità, tutti posso sbagliare e perdere la calma ma se capita al capo non è mai un segnale rassicurante.  

 Il tecnico boemo non l'ha presa per niente bene: "Le critiche (di Renzetti) mi scivolano addosso – ha dichiarato alla RSI – ma allo stesso tempo mi danno fastidio. Scivolano via perchè sono abituato a vincere e perdere e mi danno fastidio perché le questioni tecniche si lasciano all'allenatore". E poi la battuta al vetriolo: "È difficile far fare ai cavalli chicchirichì".

I cavalli sono i giocatori. "Noi sappiamo – ha argomentato Zeman -che non abbiamo i mezzi, né economici né tecnici, delle altre formazioni e la squadra finora ha fatto quello che poteva fare. Mancano i risultati, ma le prestazioni, Sion a parte, sono state soddisfacenti". E qui l'allenatore affonda il dito nella piaga probabilmente spalancando le porte a una crisi da cui sarà molto difficile uscire: dire ai tuoi calciatori che non sono all'altezza, anche se è vero, non è mai un'idea vincente. Anche perché, qualcuno di loro potrebbe rispondere: e tu Zeman lo sei?  Non in assoluto, per carità: ma sei sicuro che la scelta che hai fatto di accettare la panchina del Lugano fosse nelle tue corde e rispondesse alle tue aspettative? Nessuno, caro mister, l'ha obbligata a firmare il contratto. E dire oggi che più di così non si può fare....

Il mio amico Luca Sciarini, ieri ai nostri microfoni, ha affrontato con lucidità il punto chiave della questione: "Quello che bisogna capire ora è la motivazione di Zeman, quanto creda in questo progetto. Ha avuto e ha tutt’ora la fiducia del presidente, che si dice ancora dalla sua parte. Ma bisogna vedere qual è il rapporto tra l’allenatore e lo spogliatoio. Se tutti ci credono ancora, la possibilità di rimanere a galla c’è, altrimenti… sarà dura".

 

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