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Cronaca
23.11.2015 - 15:590
Aggiornamento: 03.10.2018 - 16:25

La DISTI: "In un anno persi 190 posti di lavoro nella grande distribuzione". E il presidente Lucibello si appella alla politica

"Abbiamo bisogno di migliori condizioni quadro e non di un nuovo balzello finalizzato a far quadrare il bilancio cantonale spacciato per misura ecologica”

LUGANO – “La DISTI ha tirato le somme: i posti di lavoro persi in Ticino nella grande distribuzione nel corso di quest’anno sono stati 190. Non sono pochi, anche se il settore dà lavoro a circa 15'000 persone (12'000 delle quali a tempo pieno). Quei posti di lavoro persi (calcolando uno stipendio mediano di 4'500 franchi al mese) significano, sull’arco dell’anno, oltre 10 milioni di franchi in salari sottratti ai circuito economico”.

Inizia così la nota stampa diramata oggi dall’associazione che riunisce le aziende ticinesi della grande distribuzione.

Un chiaro segnale di allarme, anche se la DISTI precisa che “nella grande distribuzione non ci sono stati licenziamenti collettivi. La perdita di quei posti di lavoro – dovuta alla mancata sostituzione di collaboratori andati in pensione o che hanno ridotto il loro tempo di impiego - è dovuta a una lenta emorragia di occupazione”.

Le cause di questa emorragia “sono riconducibili al rafforzamento del franco rispetto all’euro, alla crisi generale che ha ridotto il potere d’acquisto dei consumatori, e soprattutto al conseguente aumento del turismo degli acquisti”.

Nel frattempo i partner della DISTI hanno ridotto i prezzi di molti generi, alimentari e non (continuando comunque a sostenere i produttori locali), “ma è chiaro i costi generali in Ticino sono molto più alti rispetto all’Italia: salari, terreni, affitti, servizi… Insomma, più di così non si può fare”.

“Il problema – commenta il presidente della DISTI, Enzo Lucibello -, è che quei 190 impieghi sono stati cancellati dalla mappa ticinese del lavoro: sono posti a cui nessun giovane o disoccupato potrà più accedere. È un dato che magari non fa nemmeno notizia, perché la grande distribuzione non è la piazza finanziaria, di cui si parla continuamente come se fosse l’unico settore economico in crisi e meritevole di attenzione da parte della politica. Ma oggi questo dato vogliamo renderlo pubblico, perché magari farà riflettere qualcuno. Vogliamo dire che se le cose andranno avanti così la situazione peggiorerà. E non stiamo scherzando!”.

Lucibello riprende poi l’appello della grande distribuzione alla politica, contenuto in questo passo del comunicato odierno: “Riteniamo che le condizioni quadro entro le quali il commercio si deve muovere dovrebbero essere migliorate, evitando di imporre, per esempio, nuove tasse  e penalizzazioni per i consumatori”.
Un appello che la DISTI rivolge anche agli elettori, visto che il 28 febbraio si voterà sul referendum che si oppone al prolungamento delle aperture dei negozi previsto dalla nuova legge.

“Certo – dice il presidente della DISTI -, a  rendere meno concorrenziale il commercio ticinese non c’è solo il cambio franco-euro: ci sono anche le insufficienti  condizioni quadro, in particolare gli orari di apertura. Condizioni insufficienti da anni. In questo contesto che non induce certo all’ottimismo si inserisce poi il reiterato tentativo del Consiglio di Stato di imporre alla clientela il pagamento dei parcheggi nei centri commerciali: un balzello finalizzato a far quadrare il bilancio cantonale ma spacciato per misura ecologica”.

Il riferimento è alla cosiddetta “tassa di collegamento”. “Mentre oltre confine, manco a dirlo, il parcheggio è gratuito – aggiunge Lucibello -. Dibattiti, promesse, rinvii, opposizioni, hanno caratterizzato per troppo tempo l’atteggiamento della politica e dei sindacati nei confronti del commercio ticinese, mentre i centri urbani di altri cantoni hanno adeguato le regole alle mutate abitudini ed esigenze sociali”.

Un sindacato ha persino ricorso contro l’apertura straordinaria di domenica 27 dicembre, sostenendo che è inutile, conclude Lucibello.

“Ma perché non lasciano che siano i commercianti e clienti a decidere se aprire i negozi quel giorno, dopo due giorni di chiusura natalizia, è utile o inutile?”.

emmebi

 

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