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Quarto Potere
01.02.2016 - 12:180
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

La corazzata RSI ora è una Costa Concordia, con una falla nella carena dopo lo spericolato "inchino" dei licenziamenti. E in prospettiva c'é il rischio del "canone zero"

L'ANALISI - La tempesta passerà ma non basterà un po’ di pece per riportare in rotta una nave che ha troppo sbandato. L'azienda va riformata ma sarà possibile farlo?

di Marco Bazzi

La RSI è un po’ come il Festival di Sanremo, che tutti lo criticano ma, alla fine, in un modo o nell’altro, tutti ne parlano, anche se non lo guardano. Sanremo è nel cuore e nelle corde degli italiani come la RSI è nel cuore e nelle corde dei ticinesi. Adesso però la corazzata di Comano e Besso ha un grosso buco nella carena e sta imbarcando acqua.

Non finirà come il Titanic o, per usare una metafora dei giorni nostri, come la Costa Concordia. Maurizio Canetta non è Francesco Schettino, ma come ogni capitano si porta la responsabilità finale di quello spericolato “inchino” che è stato il “metodo” pianificato e utilizzato per la gestione dei licenziamenti. Un metodo che qualcuno ha definito da Lehman Brothers.

Due cose hanno suscitato sconcerto e in alcuni casi indignazione, fuori e dentro il transatlantico di Comano. E non solo tra i dipendenti licenziati.

Prima cosa: i “securini” che nei giorni in cui la RSI - per la prima volta nella sua storia - ha dovuto procedere a un licenziamento collettivo, presidiavano uffici dirigenziali e corridoi.

Seconda cosa: il fatto che i collaboratori licenziati siano stati “messi alla porta” seduta stante, pur con diversi mesi di stipendio garantito e con “paracadute” sociali (concordati con i sindacati) che in altre aziende chi perde il posto se li sogna.

Si può sostenere che il “metodo” sia stato adottato per preservare la serenità del clima aziendale ed evitare il rischio di qualche, seppur remota, reazione inconsulta.

Ma il risultato è stato esattamente il contrario: oggi il clima aziendale è avvelenato e per nulla sereno. Ora bisogna capire chi ha pianificato i dettagli di questa operazione, che in ogni caso ha ottenuto il benestare dell’intera direzione della RSI, e non soltanto di Canetta, che ora fa, come si conviene ai capi, da capro espiatorio.

E queste cose, la RSI, che è la radiotelevisione di servizio pubblico per eccellenza, deve spiegarle al suo pubblico. Non può bastare la lettera ai telespettatori del presidente della CORSI Luigi Pedrazzini (leggi qui), che sorvola peraltro sui metodi di licenziamento: sono i vertici dell’azienda che devono raccontare l’accaduto, con le relative motivazioni delle scelte di metodo e gli eventuali “mea culpa”, che Canetta ha fatto dopo due giorni di imbarazzo.

Detto questo, la procedura corretta, sarebbe stata quella di proporre ai dipendenti licenziati la possibilità di essere esonerati il giorno stesso dal lavoro, convincendoli che si trattava della soluzione migliore. Proporre, ma non imporre.

Oggi, per tentare di turare la falla, sul transatlantico è salito anche il direttore della SSR Roger de Weck, che qualcuno a Comano ha soprannominato “il Parigino”, per il fatto che ha scelto di vivere nella Ville Lumière. 

La tempesta passerà, come tutte le tempeste, ma non basteranno un po’ di pece o una toppa d’acciaio per riportare in rotta una nave che negli ultimi mesi ha troppo sbandato. Non vanno sottovalutate, in questo quadro, le due ultime prese di posizione del Consiglio del pubblico della CORSI (l’ultima di oggi) sui ritardi nella copertura televisiva dei fatti di Parigi e di Colonia.

La tempesta passerà, ma bisognerà vedere cosa si lascerà alle spalle in termini di danni e distruzione. Il momento per la RSI è delicato: la votazione sul canone generalizzato, bocciato in Ticino dal 52% degli elettori, era già stato un chiaro segnale all’indirizzo di Comano e Besso. E lo avevamo scritto nel giugno scorso (leggi qui). Prossimamente andremo a votare invece sull’iniziativa “No Billag”, vale a dire sul canone come principio: sì o no. E senza canone la SSR dovrà procedere a ben altri tagli rispetto a quelli messi in atto in questi mesi.

Sullo sfondo del malumore e dell’indignazione che hanno investito la dirigenza della RSI si stagliano inoltre le critiche di ambienti, editoriali e politici (o politico-editoriali) che da anni criticano l’elefantiasi della corazzata. È bene quindi, quando si leggono certi articoli sopra le righe porsi la domanda che si facevano i latini: “Cui prodest?”, a chi giova?

Non c’è chi non veda che in Ticino è in atto una battaglia editoriale - nella quale la RSI è un obiettivo - tesa a conquistare spazi di mercato. Ma conviene davvero indebolire la corazzata? Conviene davvero spingere l’opinione pubblica verso la convinzione che è meglio abolire il canone? Non sarà solo la RSI a trovarsi in braghe di tela: le emittenti radiotelevisive private ne condivideranno la sorte, e a catena tutto il sistema mediatico, che si troverebbe confrontato con un competitor titanico costretto a vivere di sola pubblicità.

Subire pesanti critiche è probabilmente destino delle grandi emittenti pubbliche, dirette per anni con la logica della lottizzazione (che si concretizza platealmente nelle liti da cortile per spartirsi le poltrone nella CORSI) e tenute sotto stretta osservazione dai partiti, che vogliono garantirsi voce e visibilità e “acculare” grandi ex, giovani promesse e trombati.

Ma le critiche al sovradimensionamento della RSI, a certi sprechi inaccettabili, ai privilegi di cui godono molti dipendenti, a certe nomine poco comprensibili, non vengono solo dalla politica: sono ormai diffuse in larga parte dell’opinione pubblica. E i vertici dell’azienda (non solo gli attuali) hanno commesso l’errore di aver snobbato queste lamentele. Di essere stati sordi alle lagnanze, sentendosi intoccabili sulla plancia della corazzata.

Su una cosa Pedrazzini ha ragione, quando scrive: “Chi lavora alla RSI, chi la dirige, chi la sostiene deve sapere che le rendite di posizione sono ormai esaurite e che il pubblico andrà conquistato giorno dopo giorno con atteggiamenti propositivi, mai arroganti, e con scelte convincenti".

Ma sarà possibile inaugurare una nuova era senza riformare profondamente un’azienda che ha miriadi di capi e sottocapi (una sorta di piramide rovesciata, un po’ come l’Amministrazione cantonale), e senza partire dalla testa, cioè spoliticizzando la CORSI?

 

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