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25.05.2016 - 08:120
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Riflessioni a margine del terremoto BSI. Con una metafora: "Attaccati ai loro milioni come clochard a bidoni della spazzatura". Non un'accusa alla ricchezza ma all'avidità

La Svizzera ha sgarrato per troppi anni e adesso non ha alternative, perché i ripetuti e sistematici sgarri l’hanno messa sotto i riflettori del mondo intero: deve proporsi come Stato virtuoso

di Marco Bazzi

Riflettendo sul terremoto che ha colpito la BSI, sull’atto d’accusa della FINMA, l’autorità di sorveglianza sui mercati finanziari - che è di una durezza inaudita e chiama in causa direttamente i vertici della banca -, ma riflettendo anche su tutti gli scandali e le ruberie che negli ultimi anni e negli ultimi mesi hanno coinvolto la piazza finanziaria ticinese, mi è venuta in mente un’immagine, una metafora: “Attaccati ai loro milioni come clochard ai bidoni della spazzatura”…

Non è un’accusa contro i ricchi e la ricchezza, ma contro gli avidi e l’avidità, contro gli speculatori, contro chi per sete di guadagno personale ha messo a repentaglio (se non incenerito) non solo il patrimonio delle persone che glielo avevano affidato, ma anche la reputazione e la solidità del nostro intero sistema economico, sul quale si regge il reddito di migliaia di persone e di famiglie, sul quale si regge lo Stato stesso. È questo il bene supremo, che va protetto.

Ha detto bene l’avvocato Emanuele Verda nell’intervista concessa ieri a liberatv sul caso BSI: “Dagli scandali Sogevalor, Aston Bank per non citarne che due, ai diversi fiduciari finanziari coinvolti in reati patrimoniali, questo é l’ennesimo, grande schiaffo, sia reputazionale che in termini economici e fiscali alla nostra piazza finanziaria”.

Il caso dell’impresa di costruzioni Adria, che ha coinvolto il direttore della Banca Wir di Lugano (con crediti milionari erogati senza garanzie) e il crack della LP Suisse di Danilo Larini (dove si parla di un buco di oltre 70 milioni) sono gli ultimi due “schiaffi” in ordine di cronaca che hanno avuto risvolti penali. Ma quanti ce ne sono, di casi simili, non ancora emersi o sfociati in cause civili, che non fanno notizia?

Adesso due cose dobbiamo fare. La prima è smettere di liquidare queste vicende come casi isolati, e ammettere invece che fanno parte di un sistema generale fondato sull’avidità al quale abbiamo dato troppo credito e legittimità, anche politica.
Al di là del fatto che siano stati commessi dei reati penali, punibili dalle nostre autorità giudiziarie, o che si tratti di vicende perseguite unicamente da autorità estere (anche soltanto sul piano amministrativo), è il sistema di fondo che preoccupa.

Anche le società panamensi costituite per frodare il fisco fanno parte di questo sistema. E le piazze finanziarie svizzere, compresa quella di Lugano, sono state per anni uno dei principali “centri logistici” delle panamensi.

Ci consola il fatto che tutto il mondo è paese, che anche altrove capita ciò che capita da noi. Che i paradisi fiscali ce li hanno anche Inghilterra e Stati Uniti… Che il riciclaggio, la frode e la corruzione sono vizi comuni al mondo intero. Ma noi dobbiamo guardare in casa nostra e in casa nostra fare pulizia, smettendo di ripetere che gli altri son peggio di noi. Questa è la seconda cosa che dobbiamo fare.

Perché se vogliamo rifondare la nostra economia sul rispetto delle regole e sull’etica non possiamo più accontentarci di questa consolazione: di ripetere l’adagio “così fan tutti”.

La Svizzera ha sgarrato per troppi anni e adesso non ha alternative, perché i ripetuti e sistematici sgarri l’hanno messa sotto i riflettori del mondo intero: la Svizzera deve proporsi oggi, dal profilo economico e finanziario, come stato assolutamente virtuoso.

Nel sito web del Dipartimento federale di giustizia americano c’è una lista di 78 banche svizzere finite sotto inchiesta nell’ultimo anno e mezzo per violazione delle leggi fiscali americane. E la prima è proprio la BSI. Non possiamo più andare avanti così, pena il crollo del nostro intero sistema finanziario.

Diciamo questo con la chiara consapevolezza che se non fossimo stati per decenni il forziere per gli evasori di mezzo mondo, non saremmo la nazione ricca che siamo. Ma lo diciamo anche con la convinzione che soltanto una nuova etica economica potrà garantire il futuro benessere della nazione.

Non possiamo gridare allo scandalo se la comunità internazionale ci considera alla stregua degli “stati canaglia” e ci inserisce nelle “black list”. Perché sappiamo benissimo il motivo per cui siamo finiti in quella lista: il nostro sistema bancario, con l’avallo del nostro sistema politico, qualche anno fa ha escogitato la tecnica per eludere l’imposta sui guadagni dei cittadini stranieri chiamata “euroritenuta”. Ha stabilito che le società non erano soggette a quel prelievo fiscale imposto dall’Unione europea, e così si sono moltiplicate le panamensi…

Torniamo brevemente al caso BSI, dal quale siamo partiti. Il 16 febbraio scorso il quotidiano inglese “Financial Times” aveva dedicato un’intera pagina allo scandalo del fondo sovrano malese che ha inguaiato la banca. L’articolo iniziava con una lettera di congratulazioni scritta nel dicembre del 2011 a un impiegato della filiale di Singapore da Alfredo Gysi.

L’allora CEO di BSI, oggi presidente onorario, che dopo aver cessato la sua attività operativa a Lugano si è trasferito in Inghilterra, scriveva al funzionario della BSI di Singapore: "Volevo ringraziarvi personalmente per l'immenso contributo, non solo per la crescita del nostro nuovo business in Asia, ma del gruppo BSI nel suo complesso”. 
Gysi comunicava inoltre al funzionario la corresponsione di 19 milioni di dollari quale segno di gratitudine per i servizi resi alla BSI. Oggi quel funzionario di di Singapore, Yak Yew Chee, è sotto inchiesta. Oggi, l’intera BSI è sotto inchiesta da parte del Ministero pubblico della Confederazione per violazione delle norme sul riciclaggio di denaro.

Per la cronaca, Gysi è il banchiere che qualche anno fa inventò il sistema Rubik, per tentare di sistemare, all’epoca del Governo Tremonti, le vertenze fiscali con l’Italia. Un sistema che godeva allora dell’entusiasmo di quasi tutto il mondo politico ticinese.

“Nel frattempo – scrive oggi il collega Alfono Tuor - costoro hanno intascato cospicui bonus ed alcuni hanno anche trasferito il loro domicilio a Londra (forse anche per ragioni fiscali). Si tratta del drammatico epilogo di una cattiva gestione che aveva già portato BSI a perdere circa 2 miliardi di franchi di valore dal momento dell’acquisizione da parte del gruppo italiano Generali alla sua vendita ai brasiliani di BTG Pactual e che ora addirittura la porta all’estinzione”.

 

 

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