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Salute e Sanità
27.05.2016 - 08:500
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"Il Cardiocentro, Moccetti, il Gigio, la passione per i malati, i successi e gli insuccessi. E il cuore nel destino"

Intervista a tutto campo a Giovanni Pedrazzini, co primario del Cardiocentro: "Avevo otto anni e la maestra di scuola ci chiese di leggere il romanzo Cuore di De Amicis...."

LUGANO - Il cuore nel destino. Sentendo alcuni aneddoti sembrerebbe di si. “ Avevo otto anni e la maestra di scuola ci chiese di leggere il romanzo Cuore di De Amicis. Io non sapevo cosa fosse e mi lessi un libro di anatomia del cuore che trovai nella biblioteca di casa. Pochi mesi dopo mi regalarono delle bellissime tavole anatomiche plastificate che mi studiai a memoria. Poi verso i 15 anni vidi una trasmissione televisiva con un giovane Professor Moccetti che raccontava, con il suo solito entusiasmo, delle grandi novità cardiologiche. Erano i tempi dei primi by-pass e dei primi trapianti cardiaci”. Insomma Giovanni Pedrazzini, in qualche modo, ha vissuto quel che è capitato ad alcuni aspiranti calciatori, che si sono poi ritrovati a giocare con chi li aveva ispirati. O ad attori in erba che, una volta cresciuti, hanno avuto il privilegio di recitare a fianco dei mostri sacri che da piccoli guardavano al cinema.

Una bella storia quella del Dr. Pedrazzini, oggi Co-Primario di cardiologia con il Prof. Tiziano Moccetti. Una storia scandita in sottofondo dalla “passione per la persona malata”. “Ho cominciato ad avvertirla in gioventù – racconta – durante un campo di vacanza per le persone invalide. E non mi ha mai abbandonato”.

Giovanni Pedrazzini, come comincia questa storia al Cardiocentro?

Dopo aver completato la mia formazione in medicina interna ed in attesa di potermi formare in cardiologia chiamai il Professor Moccetti e chiesi d’incontrarlo. Mi affascinò l’idea di poter curare i pazienti ticinesi in Ticino, in un unico centro, allora ancora solo in fase di progettazione . All’inizio fu un’avventura tutt’altro che facile, anzi direi molto difficile. Il Cardiocentro era vissuto con grande scetticismo sia nel mondo politico che in quello assicurativo. Adesso invece, dopo tanto lavoro, viene percepito da tutto il Ticino come una realtà bella e d’avanguardia. Oggi siamo arrivati dove non avremmo mai pensato di arrivare”.

E nel frattempo è diventato Co-Primario di Moccetti: in sostanza il candidato numero alla sua successione, quando sarà il momento...

"Innanzitutto questa nomina mi inorgoglisce molto ma resto dell’idea che il Professor Moccetti con il suo fiuto e la sua visione, è e resterà una figura insostituibile. E poi è cambiata la medicina. La gestione futura, al di là di chi sarà chiamato a condurla, sarà sempre più un lavoro di equipe. Detto questo, il Prof ha sempre dichiarato che resterà finché avrà il fuoco sacro quando si sveglia la mattina. Da parte mia, lo dico con affetto, resti pure fino a 90 anni. E non sarò certo io a volerlo mettere da parte. Questo è sicuro".

Moccetti è ticinese. Lei è ticinese. Conta per un intitituo come il vostro avere ai vertici dei professionisti che vengono dal nostro territorio?

"Penso che sia bello per i ticinesi avere un servizio diretto dai ticinesi. Questo indubbiamente. Ma non bisogna farne un dogma. Oggigiorno bisogna tenere conto delle competenze e delle capacità che non hanno passaporto o confine. È fondamentale per il Cardiocentro mantenere un respiro internazionale. Ma è bello che di questo mondo i ticinesi ne facciano parte. Il vantaggio per un medico ticinese è quello di essere profondamente legato alla propria gente e al proprio territorio e di conoscere megliodi altri il mondo istituzionale e politico".

A proposito di mondo politico. Suo fratello Gigio è stato Consigliere di Stato. Che rapporto avete?

"È un rapporto molto bello che auguro a tutti i fratelli di poter avere. Con Gigio ho un legame privilegiato di amicizia, affetto e anche di condivisione. Abbiamo fatto molte cose insieme. Quando ho un problema è la prima persona con cui mi consulto".

Dopo tanti anni al Cardiocentro le rimane ancora il classico ricordo, o aneddoto, che più di altri ha segnato la sua esperienza?

"In tutti questi anni siamo riusciti ad ottenere dei risultati impensabili. Siamo riusciti a fare quello che non erano riusciti a fare da altre parti. Però il mio pensiero va a quelle persone che avremmo voluto, ma che non siamo riusciti a salvare. Ho un ricordo nitido di tutti questi pazienti che in molti casi mi hanno legato alle loro famiglie".

Come si superano questi momenti?

"Comunicando, discutendo, condividendo. Fra di noi medici, con il personale curante e con le famiglie. In passato il medico viveva isolato nel suo castello pieno di successi ma anche di molti insuccessi. Oggi di queste cose ne può parlare, le può condividere in maniera totalmente serena e trasparente con altri e ciò sicuramente lo aiuta a farsi una ragione degli insuccessi che inevitabilmente accompagnano una carriera medica ed a spronarlo a progredire e a migliorarsi.

A proposito di "fine vita". Di recente c'è stato un ampio dibattito pubblico intorno alla proposta, bocciata dal Gran Consiglio, di permettere all'interno degli ospedali il suicidio assistito. Lei che idea si è fatto?

"In ambito cardiologico il problema non ci tocca così da vicino, ma non per questo possiamo permetterci di eludere la questione. La vita di oggi non è sicuramente più quella di 50 o 100 anni fa. Allora si moriva più giovani e di solito anche più in fretta e la sofferenza era di conseguenza molto più corta. Oggi molte persone convivono per anni , anche decenni con una o più malattie in una condizione di sofferenza che non è più quella di allora. Una sofferenza che può portare anche all’insofferenza verso la vita; in altre parole una nuova condizione per l’umanità che dobbiamo, da qualunque parte si veda il problema, affrontare con la massima serietà e dedizione, evitando di nasconderci dietro concetti passati e quindi non più consoni all’evoluzione dei tempi. Detto questo, trovo che il recente dibattito sia stato affrontato in modo maturo e ragionevole. A mio giudizio sarebbe stato un non senso introdurre il suicidio assistito all'interno degli ospedali, perché avrebbe significato andare contro il mandato stesso di una struttura sanitaria, cioè curare le persone. A prescindere dalla decisione istituzionale credo sia fondamentale per ogni medico, e lo dico da credente e da medico di area cattolica, conoscere a fondo i propri pazienti e seguirli fino in fondo al loro destino”.

Un'ultima curiosità. Il suo futuro da medico è indissolubilmente legato al Cardiocentro, oppure un giorno potrebbe cimentarsi altrove?

"Considero il Cardiocentro casa mia. Quindi no, non vedo nel mio futuro una nuova città e un nuovo ospedale. Se per delirio di ipotesi non dovesse più funzionare la mia esperienza al Cardiocentro, mi lancerei in progetti umanitari. Ma se mi sopportano conto di restare....".

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