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30.05.2016 - 06:180
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Espulsioni "economiche", il j'accuse di Bertoli: “L’apartheid è già qui: ha il vestito della festa dell’imprimatur legale"

“I casi vengono discussi se qualcuno in Governo solleva il problema, cosa che sto facendo con una certa regolarità, purtroppo senza grande successo”

BELLINZONA - “L’apartheid è già qui. Viene esercitata in modo discreto, ha il vestito della festa dell’imprimatur legale, ma la sua natura è quella. Finché non ci sarà consapevolezza su quel che sta succedendo, finché non ci sarà resistenza, come quella che personalmente faccio contro questo genere di decisioni, diverrà la nostra triste realtà quotidiana”.

Queste parole del ministro Manuele Bertoli sono di quelle che lasciano il segno. Che aprono a riflessioni e dibattiti. Le ha scritte nei giorni scorsi sul suo profilo Facebook e sul suo blog.
“La negazione della tradizione umanitaria europea non è solo quella che possiamo vedere ogni sera al Telegiornale inerente a quel che succede nel Mediterraneo, quella che fa a pugni con i vari sbarramenti antimigranti e relativo corollario di eserciti schierati contro i disperati. È ormai entrata nella nostra quotidianità, come fino agli anni ’80 nelle città sudafricane lo era la segregazione formale.
Io la vedo dal mio osservatorio, quando passano sul tavolo del Governo cantonale i progetti di sentenza sui ricorsi contro i ricongiungimenti familiari, in specie quando si rimandano al loro Paese i genitori stranieri di figli svizzeri per il solo motivo che non hanno abbastanza soldi per vivere qui autonomamente”.

E oggi in un’intervista concessa a LaRegione ha precisato che cosa vede dal suo “osservatorio”, il Consiglio di Stato: “I casi vengono discussi se qualcuno in governo solleva il problema, cosa che sto facendo con una certa regolarità, purtroppo senza grande successo”.

“Io posso rispondere per me – ha aggiunto parlando di come i casi di espulsione vengono trattati in Governo -, per gli altri dovranno farlo loro, e dico che non riesco ad accettare che la nostra legge sia così incivile. Si tratta di casi nei quali ritengo doveroso fare obiezione di coscienza. Ovviamente il problema si pone più o meno identico sia per famiglie con bambini svizzeri, sia per famiglie con bambini non svizzeri. Se nel secondo caso è ‘solo’ un problema di coscienza, nel primo è anche un problema di discriminazione tra cittadini del medesimo Paese, il nostro”.

E ha precisato: “Se si decidesse di accogliere i ricorsi di queste persone, non vedo bene chi potrebbe negare questo stato di fatto, nessuno potrebbe ricorrere contro queste sentenze”.

Sul suo blog, Bertoli aveva inquadrato il problema dal punto di vista legale: “In base all’articolo 42 della Legge sugli stranieri, legge votata ed approvata dal popolo qualche anno fa, il coniuge straniero di un/a cittadino/a svizzero/a ha diritto al rilascio o alla proroga del permesso di dimora se coabita con esso/essa, a meno che il coniuge straniero o una persona a suo carico dipendano dall’aiuto sociale in maniera durevole e considerevole. Traduzione per i non addetti ai lavori: se una svizzera si sposa con uno straniero e ha un figlio, caso tra l’altro molto frequente, qualora la famiglia non riesca a stare a galla finanziariamente e abbia bisogno dell’aiuto sociale, accade che il padre venga separato da questo figlio e rimandato al suo Paese”.
“Decisioni come queste vengono prese regolarmente qui da noi, adesso, giorno dopo giorno, in applicazione di una legge che discrimina in maniera molto severa chi ha soldi da chi non ne ha, chi ha qualche competenza da far valere sul mercato del lavoro da chi ne ha poche. Sono provvedimenti che colpiscono sia gli stranieri che gli svizzeri e le svizzere che li hanno sposati, ma soprattutto i loro figli, trattati così da cittadini di serie B”.

E nell’intervista pubblicata da LaRegione ha aggiunto: “È già capitato che in altre occasioni, quando si è trattato di fare uno strappo alle regole in presenza di persone benestanti che chiedevano qualcosa di non perfettamente legale, allora il rispetto della legge è finito in secondo piano”.

red

 

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