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30.05.2016 - 23:200
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Buon Natale, mister Chee... Firmato Alfredo Gysi. Biografia non autorizzata della BSI-Gottardo, dai giapponesi alle Generali. Fino al terremoto del fondo malese

Il futuro della banca è in mano ai consulenti. Resteranno o cederanno alle offerte?

di Marco Bazzi

C’era una volta la Banca della Svizzera italiana, la più antica banca ticinese, fondata a Lugano nel 1873. Aveva la sua bella ‘foresteria’, con tovaglie pregiate, piatti da ghiottoni e camerieri in guanti bianchi, e un management tutto ticinese.

Poi, nel 2008 ci fu la fusione con la Banca del Gottardo (acquistata dalla BSI), altro storico istituto ticinese, che faceva gli opuscoli sui laghetti alpini, con la sua fantasmagorica fortezza di viale Franscini firmata da Mario Botta.

Quella Gottardo che fece scalpore quando l’allora ministro Claudio Generali - era il 1989 - lasciò il Consiglio di Stato per andare a dirigerla. Gli subentrò in Governo il procuratore pubblico Dick Marty, reduce dagli allori delle inchieste mascherate: dei Cento chili di eroina del “contadino dell’Anatolia” Aci Mirza, del caso dei fratelli libanesi Jan e Barkev Magharian, riciclatori di denaro e venditori di tappeti a Zurigo, dello scandalo Shakarchi scoppiato in seguito alla Lebanon Connection, con le conseguenti dimissioni della consigliera federale Elisabeth Kopp inguaiata dalla telefonata al marito Hans…

Che bei tempi, quando il capo della DEA, l’antidroga americana, veniva a Riazzino a rendere omaggio alla Polizia cantonale di Mauro Dell’Ambrogio per il prezioso lavoro svolto. Eran ben altri, in quegli anni, i rapporti tra Svizzera e Stati Uniti… Eravamo degli eroi e non dei reietti.

Armando Boneff fece per l’occasione una fantastica vignetta sul Giornale del Popolo, con una banconota da un milione di franchi appesa a un amo. E lui, Generali, che abboccava. Ma diciamocela tutta: chi non avrebbe abboccato?

Un milione di allora era davvero tanto. Oggi non è nulla. Ci siamo persi nel mare dei bonus, popolato da squali, tonni, cefali, sogliole e acciughe, da remore e parassiti vari che guadagnano più di quanto qualsiasi essere umano pagherebbe a un qualsiasi altro essere umano per un qualsiasi lavoro. Ma, pardon, qui non stiamo parlando di lavoro: stiamo parlando di banche…

Come detto, nel 2008 la BSI acquistò la Banca del Gottardo dalla SwissLife, che la controllava. Citiamo dal sito della compagnia di assicurazione (testo datato 2005): “Nel quindicennio della Presidenza di Claudio Generali, l’istituto luganese (la Gottardo, ndr) ha notevolmente ampliato la propria dimensione e l’ambito di attività; tra l’altro avviando con successo la strategia di sviluppo della presenza “on shore” sui principali mercati di riferimento - Svizzera, Italia e Francia -”.

Evidentemente l'acquisizione della Gottardo da parte della BSI ha cambiato la politica orientata all’on shore… Si è proprio visto in questi giorni che rievocano, in un certo senso, il tracollo della Lehmann Brothers, fatte le debite proporzioni e senza la drammaticità vissuta da Wall Street.

Ora, chi lavora in BSI dice due cose. La prima è che da parte di altri istituti luganesi è partita la caccia telefonica ai consulenti della banca (con offerte molto allettanti). Non vogliono loro, ovviamente: vogliono i loro clienti, i loro portafogli. La seconda cosa è che il futuro dei circa 2'000 dipendenti della BSI dipenderà molto dalle scelte dei circa 250 consulenti della banca. Se decideranno di andare o di restare, loro e i loro clienti.
Per ora, nei primi days after, si parla di una perdita contenuta di una cinquantina di milioni di capitali gestiti, in seguito al terremoto. Un nonnulla, rispetto ai circa 80 miliardi che fanno capo alla BSI.

Continuiamo con la storia…
Nel 1998 alla BSI erano arrivati gli “italiani” delle Assicurazioni Generali, la terza compagnia mondiale e la prima in Italia (ma a Trieste si dice che da anni sia in mano ai Coreani) e sul vessillo della BSI aveva iniziato a sventolare lo stendardo del Leone di San Marco, che, cantava Francesco Guccini nella sua ‘Asia’, “la spada e non il libro ha nella mano”.

Forse da quel momento è iniziata la “contaminazione asiatica”. Che però, magari, era nata anche con l’avventura nella terra dei Samurai iniziata quando la Gottardo passò dal Banco Ambrosiano alla banca giapponese Sumitomo. Alla fine, negli ultimi sette/otto anni, conti e clienti delle due banche luganesi si sono inevitabilmente intrecciati.

Nel frattempo, nei primi anni Novanta, alla guida della BSI era arrivato Alfredo Gysi e, soprattutto dopo l’acquisizione della Gottardo, la banca si è via via illuminata d’arte. Non più la cucina gourmet, e nemmeno i laghetti alpini, ma le note del pianoforte di Marta Algherich… Che per anni è stata simbolo della nuova filosofia del colosso ticinese, con tanto di maxi poster che campeggiavano sul palazzone all’incrocio di via Peri. Insieme al famoso violino di Guarnieri del Gesù dal prezzo indicibile, assegnato in comodato al violinista Capuçon.

Citiamo dal sito web della BSI, dove la cultura è simbolizzata da una foto del Palazzo Guggenheim di Venezia, che richiama il Leone di San Marco: “I nostri valori rappresentano l’essenza di ciò che siamo, il nostro DNA. Essi sono ciò che rende BSI unica e diversa rispetto ai suoi concorrenti. I nostri valori sono il faro che ci orienta nel mezzo dei grandi cambiamenti che trasformano costantemente l’azienda, ricordandoci in ogni momento chi e cosa siamo, ispirando le nostre azioni. Il Codice di condotta definisce i principi e le prassi a cui ogni collaboratore è tenuto a conformarsi al fine di salvaguardare la reputazione di eccellenza di BSI, perseguendo costantemente i più elevati standard di etica, integrità, responsabilità e professionalità”.

Belle parole, come spesso accade, dietro le quali si cela la dura realtà della concorrenza sfrenata che regola i mercati finanziari mondiali, e a volte induce in errori, o eccessi di avidità. Vizi privati e pubbliche virtù…

Gisy è un personaggio la cui storia bisogna ancora scrivere, semmai qualcuno si prenderà la briga di farlo. Ha avuto il pregio, nonostante la sua forte esposizione pubblica, di essere riuscito a restare nell’ombra. Indecifrabile. Un ‘padre padrone’, nel senso buono del termine, lo definiscono in molti alla BSI. Un leader, insomma. Il banchiere ticinese per eccellenza, come lo fu prima di lui alla Gottardo Claudio Generali.

E nemmeno quando, dopo diciotto anni, Gysi ha lasciato il ruolo di megapresidente della megadirezione generale della BSI, e da Comano è emigrato a Londa per poter compiutamente esercitare le sue passioni artistiche, nessuno ha detto “beeeeh”. Ma si sa: le pecore non belano quando sentono l’odore dei lupi.

L’uomo, presidente dell’Associazione delle banche private svizzere, era profondamente connesso al sistema del potere politico: sdoganato da tutta l’area borghese (Lega compresa, con Giuliano Bignasca in prima fila), ha tentato di risolvere la difficile vertenza fiscale con l’Italia, ai tempi del Governo Tremonti, inventandosi il sistema “Rubik”. Il Consiglio federale l’aveva a un certo punto insignito addirittura dalla corona di ‘ambasciatore diplomatico’ della piazza finanziaria svizzera. Oggi è ancora membro del Consiglio dell’Università della Svizzera italiana. In Ticino, in virtù della sua residenza inglese, non dovrebbe starci più di 180 giorni all’anno.

Se facciamo il nome di Gysi non è soltanto perché è stato, cronologicamente, l’ultimo vero condottiero della BSI, ma anche perché è stato colui che ha firmato la mail di congratulazioni per l’ottimo lavoro svolto all’indirizzo di Yak Yew Chee, consulente della BSI di Singapore che tanto ha fatto per la Banca in Estremo Oriente.

Chee, dal 2011 al 2015, come ha lui stesso dichiarato alle autorità che oggi lo indagano, ha guadagnato oltre 4 milioni di dollari in salario e, tra il 2011 e il 2014, oltre 23 milioni di dollari di Singapore (dedurre circa un terzo nel calcolo in franchi) di bonus. Cioè, diciamo 20 milioni di franchi in quattro anni, facendo i calcoli a occhio e croce… Con una escalation di bonus tra il 2013 e il 2014 (vedi allegato). Stiamo parlando di un consulente, non di un dirigente!

In cambio di cosa, tanta grazia? In cambio del fatto che il signor Chee ha portato alla BSI i capitali del fondo sovrano malese oggetto, oggi, di un’inchiesta per corruzione e finiti nel mirino del Ministero pubblico della Confederazione, insieme alla BSI stessa, per il reato (presunto) di riciclaggio. Asian Connection, avrebbe detto Dick Marty…

Checché se ne pensi della FINMA, l’autorità federale di sorveglianza sui mercati finanziari (oggi accusata da alcuni di ‘fumus persecutionis’ nei confronti della BSI), i dati riportati nel comunicato/atto d’accusa emanato nei giorni scorsi sono incontrovertibili: “Così, per esempio, nel caso di un afflusso di fondi dell’ordine di USD 20 milioni, BSI si è accontentata della spiegazione addotta dal cliente, secondo cui si trattava di un “regalo”. In un altro caso, sono confluiti su un conto più di USD 98 milioni, senza che il retroscena economico fosse stato chiarito.
La banca ha effettuato transazioni in entrata e in uscita di entità comparabile, benché le spiegazioni e la documentazione contrattuale parzialmente fornite fossero in contrasto con lo scopo dell’impiego dei fondi addotto al momento dell’apertura del conto.
Spesso le transazioni sono state plausibilizzate in modo generico mediante contratti di prestito, anche se questi ultimi non fornivano una spiegazione esaustiva sui reali retroscena delle transazioni in questione. Infine, sono spesso emersi chiari indizi di cosiddette transazioni di passaggio: in un caso, USD 20 milioni sono stati trasferiti internamente alla banca tra diversi conti, per poi essere riversati a favore di un istituto terzo. Questo tipo di transazioni sono decisamente a rischio sotto il  profilo del riciclaggio di denaro. Ciononostante, la banca ha omesso la documentazione e la plausibilizzazione dei retroscena oppure si è accontentata dell’indicazione che, nel quadro di tali relazioni d’affari, si trattava sempre del medesimo avente diritto economico oppure del fatto che tali transazioni venivano effettuate ”a fini contabili”.

Ora, bisogna capire come queste cose siano potute accadere in una “primaria banca svizzera”, chi sapeva di queste transazioni, chi le ha viste, chi le autorizzate e avallate. Sarà tutta colpa di Hanspeter Brunner, CEO di BSI per l’Asia, o di Beat Amman, responsabile del servizio legale della Banca? Nessun altro sapeva? E se sapeva, quanto sapeva? E perché i sistemi di “warning” della Banca non hanno funzionato (ammesso che ci fossero)?

Nel frattempo, torniamo alla storia per concluderla, dopo le Generali, sono arrivati i brasiliani del Banco Pactual e in tempi recentissimi, caduta (per fortuna) l’ipotesi di acquisto della BSI da parte di BancaStato (in cordata con UBS), è arrivata la EFG International. La BSI sembra una nave sballottata in un mare in tempesta. Resta una speranza (seppur vana): che ai nuovi padroni non interessi soltanto far soldi ad ogni costo.

 

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