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Cronaca
27.10.2014 - 18:110
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Riina racconta 24 anni di latitanza fra ville, alberghi e case al mare: "Come un uomo libero"

Il capo dei capi di Cosa Nostra, intercettato nel cortile del carcere di Opera a Milano, svela i suoi segreti: "In viaggio di nozze sono stato a Napoli e Venezia. I miei figli avevano amici e andavano a scuola: li ho resi ricchi". E molto altro ancora...

MILANO - Com'è vivere 24 anni in latitanza da ricercato numero uno? Una pacchia, parola di Totò Riina. Il capo dei capi di Cosa Nostra ha svelato, inconsapevolmente, come ha vissuto per oltre un ventennio mentre magistrati e polizia gli davano la caccia. Nessuno stento e nessuna privazione. Al contrario: Riina e la sua famiglia se la spassavano tra alberghi di lusso, ville e case al mare. Lo straordinario e inedito racconto, carpito direttamente dalla voce del super boss grazie alle intercettazioni durante l'ora d'aria in carcere, è stato pubblicato stamane dal quotidiano La Repubblica. Riina innanzitutto racconta al suo compagno Alberto Lo Russo, che in passato aveva già spinto u Zu Totò ad altre confessioni, il viaggio di nozze: "A Montecassino - afferma l'ex numero uno di Cosa Nostra - io ci sono andato. Ci ho fatto il viaggio di nozze, ci ho portato a mia moglie. Una volta che ero libero, ho detto: ora ci vado... Poi sono salito verso Venezia. Io la vita l'ho presa così, mi sono sentito sempre libero". Durante le conversazioni registrate nel cortile della prigione di Opera a Milano, dove Riina è rinchiuso sotto regime di carcere duro, il boss si vanta di aver trascorso una latitanza "in mezzo alla gente, senza rinunciare neanche un'estate ad andare a mare". "Ero come un uomo libero - afferma Riina beffandosi di quelli che gli davano la caccia - oggi a Montecassino, domani a Caserta, domani là vicino Napoli, ma giravo, camminavo a Venezia. Ora tutte queste cose è uno sfottimento allo Stato... Io non ho voluto fare patti con la legge, ventiquattro anni, sono arrivato a ventiquattro anni e sei mesi. E vedi che loro mi cercavano notte e giorno. Non si potevano raccapezzare dov'ero... in questi posti dice che non c'ero perché ci vanno i turisti". E ancora sul viaggio di nozze: "A un dato momento mi sono sposato e me ne sono andato in un hotel a mare. A padre Coppola (il parroco che lo ha sposato, ndr.) non gli hanno potuto fare niente perché uno non è tenuto a sapere se sposa un latitante . Quando ci siamo sposati logicamente abbiamo organizzato il viaggio di nozze, quindi siamo andati dalle parti di Napoli e siamo rimasti una settimana, siamo andati a Montecassino, poi siamo andati a Venezia e siamo rimasti tre, quattro giorni. Poi quando è trascorso circa un mese siamo tornati a Palermo. Già avevo la casa, mia madre mi aveva comprato un appartamento con sette stanze a Palermo, tutto ammobiliato. Poi mi sono dovuto allontanare perché lo sapevano parecchi". E poi via per altri 24 anni trascorsi sempre in Sicilia e spesso nei pressi della sua Roccaforte Corleone: "Dopo me ne sono andato dalle parti di Mazara, sono rimasto molto tempo a Mazara, eravamo in estate, a Mazara avevo la villa, avevo tutte cose, un appartamento... io dappertutto avevo... a Castelvetrano, ad esempio, avevo un appartamento, un fabbricato di lusso, ognuno che arrivava diceva: minchia qua è un paradiso. A San Giuseppe Jato ci facevo la vita. Ho pure lavorato con Binnu (Provenzano, ndr.), ho fatto uno stabilimento, ho fatto sopra una casa di lusso, tutta corazzata, sotto c'erano due cantine. Io in questa casa ci stavo solo quando si andava a fare la fermentazione, quando facevano la vendemmia me ne andavo là, prendevo soldini buoni, quaranta milioni l'anno guadagnavo da là. Poi mi sono messo in società con uno di là che mi vendeva il vino ". Una latitanza infinita trascorsa sempre con la famiglia: la moglie Nienetta e i suoi tre figli. "Gira, gira - racconta Riina . ventiquattro anni e mezzo e la stessa vita l'hanno fatta fare a mia moglie e ai miei figli, perché poi questi picciriddi dovevano studiare, io li mandavo a scuola, sempre a scuola li mandavo. Poi a scuola non ci sono potuti andare più e quindi abbiamo capito che la vita era questa e dovevamo affrontarla per quello che era". Fino all'ultima tappa: il residence di via Bernini a Palermo dove Riina ha vissuto fino al 1993, anno in cui è stato catturato. I figli, afferma il boss, "durante la latitanza si sono creati le loro amicizie". Amicizie che però dovevano restare fuori dalla porta dell'ultima abitazione del capo dei capi: "Non se li dovevano portare dentro. Se ne andavano fuori a giocare, frequentavano il bar, prendevano il caffè, una vita normale... quasi come spavaldi, cose da non credere. Poi gli ho fatto la piscina là dentro, cento milioni, allora i soldi c'erano". Infine, un'ultima affermazione. Forse la più interessante per gli investigatori: "I miei figli li ho fatti ricchi", dice Riina. E su quei soldi ancora una volta gli inquirenti proveranno a mettere le mani.
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