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Cronaca
05.04.2016 - 12:270
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"Quando morì Falcone mio padre stava in silenzio davanti alla Tv. Mentre ci fu l'attentato a Borsellino invece eravamo in vacanza al mare". Salvo Riina racconta suo padre Totò

Il figlio del Capo dei Capi di Cosa Nostra ha scritto un libro in cui narra gli anni in latitanza a fianco del padre. Un racconto di vita familiare con episodi agghiaccianti: "Ma di mafia non parlo"

PADOVA – Il giorno in cui morì Giovanni Falcone mio padre guardava le immagini dell'attentato alla tv, in silenzio. A parlare è Giuseppe Salvatore Riina, detto Salvo, uno dei figli di Totò. Un racconto agghiacciante quello che il discendente del Capo dei Capi di Cosa Nostra ha affidato al Corriere della Sera. Una lunga intervista in cui il 39enne, condannato per mafia a 8 anni e 10 mesi (pena scontata, ora vive a Padova in libertà vigilata), presenta il libro "Riina-Family Life". "Ho scritto il libro – racconta Riina - non per dare conto delle condanne subite da mio padre, anche perché sarebbe inutile. A me interessava far capire che esiste ed è esistita una famiglia che non aveva niente a che fare coi processi e quello che succedeva fuori, e che nessuno conosce anche se tutti pensano di poterla giudicare". Una sorta di romanzo familiare insomma… Le pagine scritte dal figlio del più sanguinario boss della magia, raccontano la via momenti di vita durante la latitanza: "Tra febbraio e marzo del 1992 passammo notti intere insonni davanti al televisore a seguire il Moro di Venezia gareggiare nell’America’s Cup. Papà preparava la postazione del divano solo per noi due, con un vassoio di biscotti preparato per l’occasione e due sedie piazzate a mo’ di poggiapiedi... Io non avevo ancora compiuto 15 anni e lui, Totò Riina, era il mio eroe" Salvo Riina racconta ancora i momenti in cui si trovava con il padre mentre venivano compiuti i suoi peggiori progetti criminali. Come l'assassinio di Giovanni Falcone e della sua scorta: "La tv era accesa su Rai1, e il telegiornale in edizione straordinaria già andava avanti da un’ora. Non facemmo domande, ma ci limitammo a guardare nello schermo. Il viso di Giovanni Falcone veniva riproposto ogni minuto, alternato alle immagini rivoltanti di un’autostrada aperta in due... Un cratere fumante, pieno di rottami e di poliziotti indaffarati nelle ricerche... Pure mio padre Totò era a casa. Stava seduto nella sua poltrona davanti al televisore. Anche lui in silenzio. Non diceva una parola, ma non era agitato o particolarmente incuriosito da quelle immagini. Sul volto qualche ruga, appena accigliato, ascoltava pensando ad altro». E anche quando suo padre fece saltare in aria Paolo Borsellino, la famiglia Riina era riunita, in vacanza al mare. "Fu uno di quei giorni – afferma Salvo - in cui mio padre preferì rimanere a casa ad aspettarci, sempre circondato dai suoi giornali che leggeva lentamente ma con attenzione. Negli ultimi mesi era diventato più attento nelle uscite in pubblico, anche se dentro casa era sempre il solito uomo sorridente e disposto al gioco. Il magistrato Paolo Borsellino appariva in un riquadro a fianco, ripreso in una foto di poche settimane prima... Lucia, dodicenne, era la più colpita da quelle immagini. Si avvicinò a mio padre silenzioso. “Papà, dobbiamo ripartire?”. “Perché vuoi partire?” domandò lui, finalmente rompendo la tensione con la quale fissava il televisore. “Non lo so. Dobbiamo tornare a Palermo?”. “Voi pensate a godervi le vacanze. Restiamo al mare ancora per un po’”. Lucia scoppiò in una ingenua risata e lo abbracciò... E così restammo lì fino alla fine di agosto". Nell'intervista al Corriere della Sera, Salvo Riina non spende una parola per le vittime e neppure mezza di condanna verso il padre: "Meglio il silenzio, nel rispetto del loro dolore e della loro sofferenza. Anche in questo caso la meglio parola è quella che non si dice. Non è omertà, è che io ho scritto il libro non per dare conto delle condanne subite da mio padre, anche perché sarebbe inutile. Io sono orgoglioso di Totò Riina come uomo, non come capo della mafia. Io di mafia non parlo, se lei mi chiede che cosa ne penso non le rispondo. Io rispetto mio padre perché non mi ha fatto mai mancare niente, principalmente l’amore. Il resto l’hanno scritto i giudici, e io non me ne occupo" "A mio padre – dice ancora Riina - non ho mai chiesto perché dovessimo nasconderci, e nemmeno se era vero ciò che cominciai a sentire in tv o in giro, quando ho scoperto che ci chiamavano Riina, e non Bellomo". Perché? "Per rispetto e pudore di mio padre e mia madre: siamo cresciuti abituati a non chiedere".
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