di Andrea Leoni
Ne è valsa la pena? È questa la domanda centrale che aleggia al termine della stagione del Lugano. Dove il soggetto del quesito è inevitabilmente Zdenek Zeman.
La risposta non è semplice. Il dato di fatto da cui partire nel ragionamento è che il tecnico boemo ha raggiunto l'unico obbiettivo che contava davvero: la salvezza. Ed è calcisticamente insensato chiedersi se era meglio vincere la Coppa Svizzera o restare in Super League. Già di per sé scegliere fra due competizioni per le quali si è in corsa denota una mentalità perdente. Ma anche quando si è costretti, inconsciamente o meno, a puntare su un trofeo o su un altro, il presupposto è la vittoria e il suo prestigio, non la conservazione del punto di partenza. Nel massimo esempio possibile: vincere il campionato o la Champions. Non restare in serie A o la Coppa.
Il mantenimento della categoria è infatti il presupposto quasi irrinunciabile per chi fa calcio ad alto livello. Le retrocessioni spesso e volentieri si portano appresso drammi economici, insieme a quelli sportivi. Risalire è molto più difficile che scendere.
Detto questo la sconfitta di ieri non può essere liquidata come un fatto poco importante. Sciupare un'occasione unica, buttare via un trofeo che si poteva agevolmente conquistare, è una colpa grave. E ancora più grave, a livello di mentalità, soprattutto pensando al futuro, è far passare la sconfitta a spallucce, se non a consolatorie pacche sulle spalle: della serie…va bene così, grazie comunque ragazzi. Una squadra, una tifoseria, una città, che sciupa l'ipotesi concreta di arricchire la propria bacheca deve essere sportivamente arrabbiata, delusa, triste. Altrimenti il rischio concreto è quello di cadere nel limbo "decubertiano" popolato dai felici e perdenti: buono per le Olimpiadi (se sei di Cipro...) ma non per il calcio.
Ma ne è valsa la pena? Se ci limitiamo al risultato, che nel calcio della cronaca e della sostanza alla fine è l'unica cosa che conta, forse sì. Ma è paradossale che una considerazione così stretta e pratica, sia l'unica che resta al termine della stagione di una squadra di Zeman. Perché Zeman non lo assumi solo per il risultato. E allora ecco che il dubbio e il ragionamento possono allargarsi, come le ombre su questa scelta rischiosa. Traduciamo in domande: il Lugano di quest'anno ha complessivamente sviluppato un gioco tale da essere funzionale al risultato sportivo? Vi è stata una crescita di giocatori, sopratutto più giovani, in grado di consentire un mercato florido o un futuro meno ansioso la prossima stagione? Il costo dell'ingaggio di Zeman ha avuto un ritorno tale da giustificarlo?
L'impressione, al netto di una squadra non attrezzata per la categoria, e di un presidente non ancora adeguato, è che a Lugano si sia visto più il peggio che il meglio del calcio di Zeman. E che forse con un allenatore con meno prestigio, meno estro e più sintonizzato sul nostro calcio, non si sarebbe visto niente di più. E niente di meno.