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Politica e Potere
25.06.2016 - 11:370
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Se a Bruxelles avessero ascoltato il segnale degli svizzeri il 9 febbraio, forse non ci sarebbe stata la Brexit. E quanta ignoranza sulla democrazia diretta e le sue regole

Se quello schiaffo, arrivato da uno Stato non membro, ma nel cuore del Continente, fosse stato compreso, seppur non condiviso, si sarebbero accorti che alcune delle istanze che il popolo svizzero ha posto nell'urna, sono lo stesse di quelle degli inglesi, e di altri popoli del Continente, sia di quelli che domani potrebbero essere chiamati a votare, sia di quelli che non voteranno mai

di Andrea Leoni


Noi, che nel nostro piccolo le abbiamo già vissute, le capiamo meglio di altri le reazioni isteriche e le analisi un tanto al chilo, che molta stampa e intellighenzia internazionale sta producendo a poche ore dall'approvazione della Brexit. 

 

L'affresco dell'apocalisse si compone di orizzonti punitivi, loschi figuri e i colori truci della vendetta e del risentimento. In poche ore abbiamo letto che l'Inghilterra, a causa di una decisione presa democraticamente, arretrerà in una dimensione giurassica. Niente più voli low cost, niente più calciatori di alto livello in Premier League, niente più studenti nelle prestigiose scuole del regno e i migliori cervelli stranieri già con la valigia in mano pronti a sloggiare dall'isola. Sbaraccheranno presto le banche, gli istituti finanziari, le grandi aziende, perfino il governo della Formula 1. La Gran Bretagna, da quel che si legge, dovrà presto dover riorientare la sua economia verso una pastorizia 3.0. Ammesso che non siano presto costretti a ritornare al modem 56k. 

 

Lo strumento di democrazia diretta, il referendum, con cui gli inglesi si sono espressi viene dipinto come una sorta di puntata alla roulette. Un giochino scappato di mano. Un bazooka messo in mano a chi non ha mai sparato neppure con la pistola ad acqua. Democraticamente parlando. C'è chi chiama in causa Hitler, che fu eletto, e chi ricorda come il popolo preferì Barabba. Il popolo dunque, in buon sostanza, viene ritenuto per sua stessa natura incapace di prendere buone decisioni, in scienza e coscienza, su questioni fondamentali. Va bene solo se deve subirle. Com'è stato per le adesioni alla Comunità Europea, calate dall'alto dai Governi nazionali senza il vaglio popolare.

 

Emerge davvero un'ignoranza preoccupante sulla democrazia diretta e le sue regole. Perfino le dimissioni di David Cameron, rientrano in questo calderone. Un politico che ha rispetto una promessa elettorale (indire un referendum) e che si è dimesso un minuto dopo aver perso, oggi viene raccontato come una specie di babbeo che ha appiccato un incendio in casa sua, contro i suoi stessi interessi. Invece è stato un grande statista, con la schiena dritta e due palle così. Chi oggi lo deride è molto peggio di lui.     

 

L'ignoranza dilaga poi nella lettura del voto. Gli sconfitti separano i belli dai brutti. I vecchi, maledetti vecchi, che hanno spezzato il futuro dei loro figli e dei loro nipoti, dopo averglielo costruito (ma questo si sottace). Gli illuminati che popolano le città, fregati dai loro concittadini delle campagne e delle periferie. Buzzurri alcolizzati, of course. Gli innamorati del futuro sconfitti dagli innamorati del ricordo del glorioso passato britannico. E poi gli scozzesi e gli irlandesi del nord, che non ci vogliono più stare con questa Gran Bretagna euroscettica.  

 

Se fosse tutto così semplice il futuro sarebbe meno incerto e più sereno per tutti. Ma le consultazioni popolari non vanno lette con le lenti dell'ideologia e neppure con quelle del risultato che avremmo auspicato. Non se ne possono prendere dei pezzi, quelli che più ci piacciono, e trasformarli in spiegazioni di complesso, in verità assolute.

Non si può, soprattutto, ignorare che queste consultazioni avvengono sulla base di regole ben precise. Regole conosciute e condivise dai contendenti prima dell'inizio della sfida. E che non possono essere piegate o interpretate a seconda di come va a finire. Accettare un risultato significa soprattutto riconoscere l'avversario come un tuo pari. Una persona cioè, che al di là dell'età, dei titoli di studio, della professione, della fede e di tutto il resto, ha le tue stesse capacità nel poter decidere sul futuro della Nazione. Perché il presupposto imprescindibile della democrazia diretta si poggia sulla convinzione che tutti vogliano il meglio per loro Paese, seppur con idee diverse. Altrimenti non ha alcun senso.

E quando si perde non si deve piagnucolare minacciando di andarsene (a meno che non lo sia ben chiarito prima del voto). Bisogna al contrario affidarsi alla scelta della maggioranza, di quelli che sono comunque nostri concittadini, sperando, anzi tifando, che la decisione presa si riveli giusta. Senza con questo cambiare opinione o smarire lo spirito critico ed autocritico nelle analisi e nella futura ponderazione delle conseguenze. È semplice: funziona così.
 

A Bruxelles e nelle principali Cancellerie, in queste prime ore del post Brexit, osserviamo purtroppo la solita Unione Europea. Minacciosa, vendicativa, arrogante e sbrigativa: incapace di un briciolo di autocritica. Un'Unione che organizza i suoi mini vertici a 3 o a 4, prima di sedersi ai tavoli ufficiali e preposti per governare l'Europa. Già questo fatto dimostra come l'UE non esista e non funzioni in realtà come Comunità.

 

È una bestia ferita questa Unione che si avvita su se stessa, mossa da molto istinto di sopravvivenza e poca razionalità. Si stanno chiudendo sempre più nell'angolo e questo è indubbiamente pericoloso per tutti. Dentro e fuori.

 

Se a Bruxelles si fossero chinati con meno faciloneria sul risultato del 9 febbraio della piccola Svizzera, forse oggi racconteremmo una storia diversa. Se quello schiaffo, arrivato da uno Stato non membro, ma nel cuore del Continente, fosse stato compreso, seppur non condiviso, si sarebbero accorti che alcune delle istanze che il popolo svizzero ha posto nell'urna, sono lo stesse di quelle degli inglesi, e di altri popoli, sia di quelli che domani potrebbero essere chiamati a votare, sia di quelli che non voteranno mai. 

 

La nostra speranza, al di là dei tumulti e delle ripicche di queste prime ore, è che possa sbocciare nell'Unione un sussulto di coraggio. Un sussulto che faccia uscire questa Comunità dal fortino grigio, burocratico, asfissiante in cui si è cacciata. Un'Unione che sappia dialogare con autorevolezza con chi è scettico e pone delle domande precise. È necessario mettere in discussione alcune regole, modellandole sulla complessità dei suoi attori. Capire che non tutti quelli che vogliono partecipare al progetto sono uguali. L'UE potrrà resuscitare soltanto se capirà che ogni Unione forte è costruita su grandi differenze da mettere al servizio degli altri. Il contrario dell'omologazione attuale. 

 

Siamo tutti europei ma non si possono ammaestrare i popoli su un'identità fredda e artificiale. Solo i pazzi possono volere la disgregazione dell'Europa, della nostra Europa, che è il cielo civile, culturale ed economico anche di noi svizzeri. Ma sembra proprio che quelli che più di tutti stanno contribuendo a raderla al suolo siano gli stessi che l'hanno edificata così male, chiamandola Unione, ma nella sostanza mettendola al servizio di tutti. Tranne dei suoi cittadini. 

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