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Quarto Potere
08.07.2016 - 10:330
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Il mondo ai tempi di Facebook, le dissacranti riflessioni di uno scrittore: "Le tette strizzate a favore di camera, la bocca a culo di gallina, i panorami con piede... Con qualche decina di Mi Piace non diventate una top model, uno scrittore o un fotograf

Michele Monina: "Fate tutto questo e lo fate perché, per ragioni che sfuggono a ogni logica, in voi si è fatta largo la convinzione che avere tanti Mi Piace sui vostri social sia un segno di successo, di stima, addirittura una conferma sociale al vostro esserci"

Lo scrittore e critico musicale Michele Monina ha pubblicato sul Fatto Quotidiano un’arguta e dissacrante riflessione sul mondo ai tempi di Facebook. Sui meccanismi che spingono migliaia di persone a cercare visibilità sui social, con la convinzione che avere tanti “like” su una frase o su una foto sia un segno di successo e di stima. Lo sappiamo che i post più banali e stupidi mietono i maggiori consensi e che i social più che un “tazebao” da Rivoluzione culturale sono diventati in troppi casi dei muri per i somari. Senza dire degli insulti, delle sbroccate e dei rigurgiti razzisti che trovano quotidiano spazio su Facebook. Vale la pena di leggere le riflessioni di Monina (di cui riportiamo i passi più interessanti). Magari indurranno qualcuno a riaccendere il cervello…

di Michele Monina (da Il Fatto quotidiano)

“Sia come sia, il mondo è diventato questo posto piccolissimo. Mondo più piccolo, popolazione più ampia. Un bel casino, insomma. E in tutto questo ci siete voi. Voi, e la vostra autostima vacillante. La vostra volontà di mettervi al centro dell’attenzione (…).

Nei fatti, siamo in un campo di battaglia decisamente parecchio frequentato. Siamo… siete in un campo di battaglia decisamente parecchio frequentato, e per nutrire debitamente la vostra autostima non potete che usare mezzi che, un tempo, quando i confronti erano tutti reali, vis a vis, e non virtuali, vi sareste guardati bene dall’usare.

Chi di voi, per dire, avrebbe passato tutto il tempo a stringere le braccia in pose innaturali pur di strizzare adeguatamente le tette a favore di camera? O chi avrebbe stretto la bocca in quella posa che la fa somigliare al culo di una gallina, contornata di un’espressione non esattamente intelligente? Chi avrebbe pensato mai di immortalare ogni minimo secondo dell’estate, documentando il tutto con i propri piedi a fare da costante? Chi avrebbe pensato di sottolineare un tramonto come una qualsiasi situazione emotivamente significativa con una frase che, se letta in un Bacio Perugina vi avrebbe spinto acontattare il Codacons per un’azione legale contro la Nestlè?
Ora siete lì che fate tutto questo e lo fate perché, per ragioni che sfuggono a ogni logica, in voi si è fatta largo la convinzione che avere tanti Mi Piace sui vostri social sia un segno di successo, di stima da parte degli altri, addirittura una conferma sociale al vostro esserci.
Così pubblicate foto in cui mostrate le tette, facendo contorsioni degni di un derviscio rotante, e vi ritrovate cento Mi Piace. La cosa vi sembra davvero importante. Cento persone si sono soffermate sulla vostra pagina, qualcuno vi ha anche scritto in privato, uno addirittura vi ha mandato una foto del proprio pene, come improbabile cadeau: tutti si sono comunque soffermati su di voi e le vostre tette e hanno impiegato qualche secondo della propria esistenza per tributarvi un Mi Piace. Mica uno scherzo, oltre cento Mi Piace per un vostro selfie. Oltre cento Mi Piace per una vostra frase. Per un panorama con piede. Per un mare immortalato dalla vostra pancia, il vostro slip in primo piano.
Fermiamoci un attimo. Fermatevi un attimo. Ragionate. Cento Mi Piace. Sarebbero pochi, pochissimi se li voleste quantificare in un qualsiasi ambito commerciale. Cento unità non sono un mercato: porterebbero al fallimento di un qualsiasi brand. Ma non stiamo parlando di mercato, è vero. Pensiamolo allora in ambito social e, se possibile, proviamo poi a traslare il tutto nel mondo reale. Avete circa cinquemila contatti su Facebook. Molti sono arrivati, alla spicciolata, proprio a ogni pubblicazione di selfie vagamente hot. Ora, tolti quelli che avete bannato perché vi hanno poi contattato in privato mandato parti intime in fotografia (fotografie che però tenete conservate in un folder chiamato Cazzi su Facebook), diciamo che in un anno siete arrivati a cinquemila contatti. Cento su cinquemila fa appena il 2%. Nulla praticamente. A ogni vostra strizzata di tette appena il 2% dei vostri contatti decide di tributarvi il proprio interesse. E sono quasi sempre gli stessi.
Se però volessimo uscire dal ristretto ambito della rete, e muoverci per quel mondo che, proprio grazie alla rete è diventato improvvisamente così piccolo, beh, a quel punto lo sconforto dovrebbe cogliervi in maniera talmente violenta da far regredire le vostre tette così generosamente esibite al grado di pulsante per accendere la luce.

Nel mondo ci sono tra i sette e gli otto miliardi di abitanti, e voi siete lì ad avere un’impennata di autostima perché cento persone, sempre quelle, vi hanno messo Mi Piace a una foto di voi che, per attestare il vostro essere andate al mare, avete voluto far vedere il culo (…).

Fatevene una ragione, se avete qualche decina, o anche centinaia di ammiratori non siete una top model, non siete uno scrittore, non siete un fotografo in grado di ambire al Pulitzer. Siete solo una persona che ha cento persone che mettono Mi Piace a tutto quello che postate. Nel mentre il mondo diventa sempre più piccolo e sempre più popolato, e il solo valido motivo per strizzare le tette è che andando avanti di questo passo, tra un po’, non ci sarà più posto neanche per loro”.


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