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28.07.2016 - 11:090
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Isis e i musulmani che non stanno zitti. L'invito alla ribellione di Tahar Ben Jelloun al mondo islamico europeo: "Non basta indignarsi. Scendiamo in piazza, denunciamoli o saremo complici di questi assassini"

Il grande scrittore franco-marocchino lancia un duro appello ai musulmani europei: "Non abbiamo il diritto di impedire a un medico di auscultare una donna musulmana, né di pretendere piscine per sole donne. Così come non abbiamo il diritto di lasciar fare questi criminali, se decidono che la loro vita non ha più importanza e la offrono a Daesh"

PARIGI – Parole nette e pesanti. Invito all'azione concreta. Dopo l'ultimo attacco dell'Isis in Francia si moltiplicano le voci all'interno del mondo musulmano alla ribellione verso lo Stato Islamico. Ieri vi abbiamo proposto la "scomunica" verso i terroristi da parte del Grande Imam di al-Azhar, la massima istituzione del mondo sunnita. Oggi proseguiamo nel dibattito e nella conoscenza, con le parole scritte da Tahar Ben Jelloun, celebre scrittore franco-marocchino.

 

In un lettera apparsa su Repubblica, Ben Jelloun invita i credenti musulmani a ribellarsi allo Stato Islamico "scendendo in massa nelle piazze". Non solo, il letterato invita a "denunciare chi tra noi è tentato da questa criminale avventura". Lo scrittore invita quindi la comunità musulmana europea a un atto di collaborazione e responsabilità perché, ammonisce, "se continuiamo a guardare passivamente ciò che si sta tramando davanti a noi, presto o tardi saremo complici di questi assassini".
 

Di seguito vi proponiamo alcuni stralci del suo scritto: 

 

"Siamo tutti chiamati a reagire: la comunità musulmana dei praticanti e di chi non lo è, voi ed io, i nostri figli, i nostri vicini. Non basta insorgere verbalmente, indignarsi ancora una volta e ripetere che "questo non è l'Islam". Non è più sufficiente, e sempre più spesso non siamo creduti quando diciamo che l'Islam è una religione di pace e di tolleranza. Non possiamo più salvare l'Islam - o piuttosto - se vogliamo ristabilirlo nella sua verità e nella sua storia, dimostrare che l'Islam non è sgozzare un sacerdote, allora dobbiamo scendere in massa nelle piazze e unirci attorno a uno stesso messaggio: liberiamo l'Islam dalle grinfie di Daesh. Abbiamo paura perché proviamo rabbia. Ma la nostra rabbia è l'inizio di una resistenza, anzi di un cambiamento radicale di ciò che l'Islam è in Europa".

 

Se l'Europa ci ha accolti, è perché aveva bisogno della nostra forza lavoro. Se nel 1975 la Francia ha deciso il ricongiungimento famigliare, lo ha fatto per dare un volto umano all'immigrazione. Perciò dobbiamo adattarci al diritto e alle leggi della Repubblica. Rinunciare a tutti i segni provocatori di appartenenza alla religione di Maometto. Non abbiamo bisogno di obbligare le nostre donne a coprirsi come fantasmi neri che per strada spaventano i bambini. Non abbiamo il diritto di impedire a un medico di auscultare una donna musulmana, né di pretendere piscine per sole donne. Così come non abbiamo il diritto di lasciar fare questi criminali, se decidono che la loro vita non ha più importanza e la offrono a Daesh".

 

Non solo: dobbiamo denunciare chi tra noi è tentato da questa criminale avventura. Non è delazione, ma al contrario un atto di coraggio, per garantire la sicurezza a tutti. Sapete bene che in ogni massacro si contano tra le vittime musulmani innocenti. Dobbiamo essere vigilanti a 360 gradi. Perciò è necessario che le istanze religiose si muovano e facciano appello a milioni di cittadini appartenenti alla casa dell'Islam, credenti o meno, perché scendano nelle piazze per denunciare a voce alta questo nemico, per dire che chi sgozza un prete fa scorrere il sangue dell'innocente sul volto dell'Islam".

 

Se continuiamo a guardare passivamente ciò che si sta tramando davanti a noi, presto o tardi saremo complici di questi assassini.

 

Apparteniamo alla stessa nazione, ma non per questo siamo "fratelli". Oggi però, per provare che vale la pena di appartenere alla stessa casa, alla stessa nazione, dobbiamo reagire. Altrimenti non ci resterà altro che fare le valigie e tornare al Paese natale".

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