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Cronaca
27.08.2016 - 18:020
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Base Jumping, dopo l'ennesimo morto forse è il caso di cominciare a farsi qualche domanda. È giusto che la Svizzera permetta a degli atleti di schiantarsi sulle montagne senza batter ciglio?

Sei morti dall'inizio dell'estate, tre nel mese di agosto (magari è stata solo un'estate particolarmente nera…), iniziano ad essere una statistica allarmante. Ieri nel Canton Berna si è schiantato il 28enne Armin Schmieder. La tragedia è stata connotata da un accento ancora più macabro dovuto al fatto che l'ultimo volo con la tuta alare di Schmieder è andato in diretta su Facebook. Finale compreso

Può darsi che chi scrive sia un cagasotto e di conseguenza non sia emotivamente per nulla incline a comprendere il significato del base jumping e la passione e i sentimenti di chi lo pratica. Ma crediamo di non essere stati i soli a domandarci, dopo l'ennesima tragedia avvenuta ieri, quanti atleti di questa disciplina estrema debbano ancora morire prima che qualcuno ne metta perlomeno in dubbio la legittimità.

 

Premesso che in generale i divieti proprio non rientrano nella classifica delle nostre priorità, vien tuttavia da chiedersi se il base jumping sia un'esibizione sportiva che la Svizzera possa accettare senza batter ciglio. A dire il vero non siamo a conoscenza di regole e limiti per chi lo pratica, che può darsi ci siano: in tal caso confessiamo la nostra ignoranza. Così come non va demonizzata una disciplina in quanto tale, consapevoli del fatto che tutti gli sport estremi, dall'alpinismo al funambolismo, sfidano il pericolo fino all'ultimo dei confini: quello della vita. È la loro stessa essenza a richiederlo.

 

E però sei morti dall'inizio dell'estate, tre nel solo mese di agosto (magari è stata solo un'estate particolarmente nera, per carità…), iniziano ad essere una statistica allarmante. Ieri nel Canton Berna si è schiantato il 28enne Armin Schmieder. La tragedia è stata connotata da un accento ancora più macabro dovuto al fatto che l'ultimo volo con la tuta alare di Schmieder è andato in diretta su Facebook. Finale compreso. 

 

Il 17 agosto, sempre in Svizzera, aveva perso la vita Uli Emanuele, ventinovenne altoatesino. Mentre il 22, questa volta in Francia, a Chamoix, è morto l'italo-norvegese Alexander Polli (31 anni). 

 

È sbagliato dire che ognuno ha il diritto di suicidarsi come meglio crede. Perché questi atleti non cercano affatto la morte ma l'impresa da festeggiare e da condividere tramite video cliccatissimi sulla rete. Da vivi, dunque. Ma è invece più che legittimo porsi il quesito se uno Stato può acconsentire a delle persone, benché atleti professionisti, di mettere in pericolo a tal punto la propria vita sulle nostre montagne, per compiere un'impresa sportiva.  


AELLE

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