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Analisi
21.09.2016 - 12:400
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Il lavoro è un'arancia già spremuta e possiamo continuare a spremerla finché vogliamo ma di succo non ne uscirà più abbastanza. Serve con urgenza un nuovo modello di società. Prima che sia troppo tardi

L'ANALISI - Si è creata un'economia per macchine e piloti da corsa e ora si pensa di poter mettere dei limiti di velocità sul circuito e di annullare i pericoli per chi guida. Non ha senso e non può funzionare

di Andrea Leoni

 
Forse tocca dirci una verità. Vent'anni di globalizzazione hanno inciso a tal punto nella nostra società da modificarne l'essenza. La nostra economia, il lavoro, il welfare, la tecnologia, il tempo, le relazioni sociali, la salute, la qualità di vita, sono stati completamente rimodellati dallo scalpello di un capitalismo liberista e finanziario, la cui mano avida e cinica ha disgregato comunità e coscienze ridisegnando confini: riserve di ricchi (sempre meno e più ricchi) accanto a una prateria di persone sempre più impoverite, quando non povere. E tutti siamo diventanti più egoisti e più individualisti. L'essere umano, si sa, si adatta al contesto in cui vive e nel momento del bisogno scatena l'istinto di sopravvivenza. Mors tua, vita mea. 
 
 
In questo quadro è francamente illusorio credere che la politica, e noi cittadini attraverso il voto, possiamo riuscire ad intervenire con strumenti puntuali in grado di incidere davvero sul mercato, ovvero nella nostra quotidianità. Anzi, per paradosso, strumenti che di per sé paiono assolutamente ragionevoli, rischiano di provocare più danni che benefici. Vale a dire disoccupazione o peggio, chiusura di imprese, che in questo contesto non possono economicamente far fronte a determinate richieste, o sostituzione della manodopera, anziché maggiore protezione dei lavoratori. Sarebbe bello se bastasse punire i cattivi, perseguire gli abusi, mettere delle regole più stringenti, per risolvere alla radice il problema. Purtroppo non è così.
 
 
Si è creata un'economia per macchine e piloti da corsa e ora si pensa di poter mettere dei limiti di velocità sul circuito e di limitare i pericoli per chi guida. Non ha senso e non può funzionare.
 
 
Se vogliamo davvero ottenere dei risultati serve un nuovo sistema con un nuovo modello di società. Non si scappa. Franco Denti, nel corso del dibattito sulla manovra di risanamento finanziario, se ne è occupato con una certa lucidità: lo schema studio-lavoro-pensione non regge più. Se in Canton Ticino, ha aggiunto il deputato, il 60% dei contribuenti non paga le imposte o ne paga poche, è chiaro che il castello è destinato a frantumarsi. Senza contare i pesanti introiti fiscali che la crisi, e le nuove regole, hanno fatto venir meno da aziende e piazza finanziaria. 
 
 
Non possiamo più pensare che il reddito generato dal lavoro consenta alle persone di sopravvivere e allo Stato di mantenere le sue prestazioni, soprattutto in ambito sociale ma non solo. Il lavoro è un'arancia già spremuta e possiamo continuare a spremerla finché vogliamo ma di succo non ne uscirà più. Non abbastanza almeno. E credere che mandare in pensione la gente a 67 anni sia un punto per riequilibrare il sistema, è una perversione che non farà altro che aumentare i rischi di schiantarsi.
 
 
La quarta rivoluzione industriale, già in atto, farà perdere nei prossimi anni milioni di posti di lavoro. I computer e le macchine sostituiranno gli esseri umani nei lavori più umili ma sempre di più anche in quelli specializzati. E a dirlo non sono un gruppuscolo di fanatici ma i papaveri del gotha dell'economia mondiale, che ne hanno discusso apertamente anche durante l'ultimo forum di Davos.
 
 
Cosa faranno queste persone? Di cosa vivranno? Non accadrà fra molto tempo e la preoccupazione va agendata come la più urgente. Bisogna cambiare il modo di ragionare: se vogliamo realizzare una società più giusta e meno infelice non è continuando ad intervenire sull'occupazione e sulla crescita che la otterremo. Mi sovviene una battuta di Stanislav Lec: "Quando senti gridare "evviva il progresso", chiediti il progresso di che?". 
 
 
Diciamocelo francamente: qui da noi è difficile affrontare questi discorsi senza accapigliarsi. La Svizzera è stato per anni un modello economico vincente e nel nostro dna c'è stampato con il fuoco il verbo "lavorare" e il senso del dovere. Siamo perseguitati dallo spettro perenne di passar per lazzaroni: un'onta nella società svizzera. Ma accanto alla nostra storica e scrupolosa operosità, conosciuta in tutto il mondo, vi è anche quell'impronta illuminata e benedetta delle classi dirigenti del passato che ci hanno fatto essere pionieri nel creare delle forti tutele per le persone. A livello nazionale come a livello locale: il Ticino per molti anni è stato un modello da prendere ad esempio per la sua rete sociale. 
 
 
Occorre oggi più che mai impegnarsi per riscoprire quelle visioni coraggiose e all'avanguardia che tradizionalmente abbiamo nel sangue. Certo oggi, con meno soldi, è molto più difficile. Ed è ancora più complicato con la costante perdità di sovranità nazionale che stiamo vivendo. Vivere in un Paese indipendente significa soprattutto essere padroni di costruire una società nuova, diversa, alternativa alle altre. Per questo dovrebbe essere una battaglia di tutti. 
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