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Secondo Me
02.10.2016 - 12:180
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Espulsioni, Norman Gobbi racconta l'altra metà della storia, "Quella che non viene narrata". E dice: "Non sono uno che smembra famiglie. Ho cuore e sentimenti. Sono una persona in carne (tanta) e ossa. Ecco quello che faccio, per un Ticino migliore"

Il direttore del DI dice la sua sulle polemiche di cui è spesso al centro: "Non viene detto che in diverse occasioni ho proposto all’Autorità federale alcuni casi “umanitari”. Casi in cui i minori avrebbero dovuto essere allontanati dalla Svizzera verso il loro Paese d’origine separandosi dalla loro famiglia, magari un nonno, in mancanza dei genitori..."

di Norman Gobbbi * (dal Mattino della domenica)

“Norman Gobbi è senza cuore”, “Norman Gobbi smembra le famiglie”. È questa l’immagine di me che dipingono alcune correnti politiche da qualche mese. Storie raccontate ad arte sui quotidiani e sui social media, da chi tira l’acqua al proprio mulino e racconta la parte della storia dalla quale trae più beneficio: quella in cui un politico è entrato in Governo con l’obiettivo di smembrare le famiglie. Soprattutto le famiglie con figli nati e cresciuti nel nostro Paese e magari anche con il passaporto svizzero. In qualche occasione ho avuto la possibilità di dire la mia: non mi sono tirato indietro e nel limite delle mie possibilità, dettate soprattutto dal segreto d’ufficio sui casi che vengono trattati dalla Sezione della popolazione del mio Dipartimento, ho preso parte al dibattitto. Anzi al processo alle intenzioni.

Decisioni ponderate

C’è una parte della storia però che fa meno scalpore e non viene mai alla luce. Ma andiamo con ordine e facciamo chiarezza. Nell’ambito del rilascio di permessi a persone straniere, sul totale delle decisioni emesse sull’arco di due anni e mezzo dall’Ufficio della migrazione del mio Dipartimento (oltre 2000), il 6% concernono decisioni negative legate a motivi economici nelle quali c’erano di mezzo dei figli e meno dell’1% di queste toccavano nuclei famigliari con figli svizzeri di genitori stranieri. Pochi casi rispetto agli oltre 2000 trattati. Decisioni prese con troppa leggerezza? Non direi: quando viene presa una decisione di questo genere i miei servizi ponderano sempre l’interesse privato del cittadino a continuare il soggiorno nel nostro Paese e dall’altra l’interesse pubblico al suo allontanamento. Questo significa che queste persone, come stabilito dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sono tenute a lasciare il nostro Paese se tra i vari motivi quali problemi con l’ordine pubblico o la sicurezza interna gravano eccessivamente sugli aiuti statali. Ma non stiamo parlando di poche migliaia di franchi, stiamo parlando di importi superiori agli 80'000 franchi.

Sapersi adeguare

Ma quello che mi preme sottolineare è che la decisione non viene presa da un giorno all’altro senza dare informazione ai diretti interessati. Nel calcio prima di essere espulso (con un cartellino rosso) il giocatore riceve un ammonimento, il famoso “giallo”. Lo stesso principio viene applicato anche in questi casi: la persona che rischia una revoca di un permesso viene ammonita non una volta – come avviene nel calcio – ma ben due volte a distanza di un periodo che va dai sei mesi a un anno. L’ammonimento in questo caso non è da intendersi come una minaccia, tutt’altro! È semmai da vedere come la possibilità per il cittadino straniero di cambiare la propria situazione economica per poter restare sul suolo elvetico. Dopo questi due ammonimenti riceve la decisione negativa. Questo è quello che prevede la legge, ed è la prassi adottata dai miei servizi.

Ma nell’altra metà della storia, quella che non viene narrata, c’è anche dell’altro. In quel 1% di casi in cui il genitore straniero di un figlio svizzero viene allontanato dal nostro paese per ragioni di tipo economico, ci sono altre sfaccettature che non vengono alla luce. Storie di genitori separati con i figli affidati all’altro genitore. Storie di persone che devono lasciare il nostro territorio per ragioni di ordine pubblico. Motivi non di poco conto insomma. Ma tutto questo appunto non viene mai a galla. No, questo non viene detto.

Impegno per i casi “umanitari”

Non viene detto nemmeno che in diverse occasioni ho proposto all’Autorità federale alcuni casi definiti “umanitari”. Casi in cui i minori avrebbero dovuto essere allontanati dalla Svizzera verso il loro Paese d’origine separandosi dalla loro famiglia, magari un nonno, in mancanza dei genitori. Casi che non ho portato sotto i riflettori ma che mi sono impegnato a risolvere aiutando il ricongiungimento famigliare. Non me ne sono vantato a mezzo stampa, non ho creato casi mediatici. Ho gioito del risultato ottenuto, quando ho visto la felicità sul volto di questi bambini.

Perché questo è quello che faccio, ed è quello che sono. Ogni giorno mi dedico con impegno e con passione al mio lavoro. A favore dei cittadini ticinesi. Perché voglio un cantone migliore. Voglio un Ticino forte che guarda con serenità alle sfide di domani. Un Ticino pronto ad accogliere le sfide future che ci attendono. Un Ticino attento ai bisogni della sua popolazione.

Norman Gobbi ha cuore e sentimenti: sono una persona in carne (tanta) e ossa. Ma sono anche un politico che deve agire nella legalità e deve far rispettare le leggi alle quali ha giurato fedeltà. Per il bene del nostro bellissimo Canton Ticino. Questa è la storia che vorrei fosse raccontata.

* direttore Dipartimento istituzioni
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