Nella foto il luogo dove è stato ritrovato il corpo di Nadia Arcudi. TiPress/Francesca Agosta
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Cronaca
23.10.2016 - 14:460
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Analisi logica e psicologica di un romanzo criminale e del suo autore. Il bosco, un delitto senza movente, il sospetto sul protagonista... "Luci e ombre", il racconto di M.E., sospettato di aver ucciso la cognata, tra caso e coincidenze. E sullo sfondo, "

È difficile capire quanto ci sia di ‘interiormente autobiografico’, nel racconto scritto dal 42enne di Coldrerio sospettato di aver ucciso la cognata, Nadia Arcudi. Ma vale la pena di leggerlo

di Marco Bazzi

“Con un’adolescenza poco felice alle spalle ed un’infanzia della quale non serbavo nessun bel ricordo, non potevo resistere al fascino del college di Erie. Erie distava più di duemila chilometri da casa mia e si trovava a più di millecinquecento chilometri da qualsiasi persona che io conoscessi. Ero uno “straniero” lontano da casa, sconosciuto ed enigmatico…”.

Il romanzo che M.E. ha scritto ma non ha mai pubblicato, inizia così. Si intitola “Luci e ombre” e lo si può leggere integralmente sul web.
È difficile capire quanto ci sia di autobiografico, di ‘interiormente autobiografico’, nel racconto del 42enne di Coldrerio sospettato di aver ucciso la cognata, Nadia Arcudi.

Nato nel Bresciano, M.E. si è trasferito in Svizzera con la famiglia all’età di sei anni, si è diplomato in architettura e lavora alla SUPSI. Ma la sua vera passione, da molti anni, è la scrittura. Il suo autore “sacro” è Stephen King, che in “Luci e ombre” ricorre costantemente, ma il suo libro preferito (così scrive il 42enne nella sua auto-presentazione) è “Dio di illusioni”, di Donna Tartt.

Questo romanzo come “Luci e ombre” è ambientato in un college americano, in Pennsylvania, dove un gruppetto di adolescenti viene iniziato al culto di Dioniso, il ‘Dio di illusioni’, appunto, i cui cultori "vedono il mondo come il mondo non è". Un romanzo che sonda il mondo del male, "l'infinità di trucchi grazie ai quali il male si presenta come bene".

Dice Donna Tartt di uno dei protagonisti: “Era l’autore di quel dramma e aveva atteso a lungo, dietro le quinte, il momento di salire sul palcoscenico e recitare il ruolo scritto per se stesso”.

Ora, dopo il delitto di Ròdero, leggendo il racconto di M.E. si può pensare che il 42enne abbia messo in atto un delitto che lui stesso aveva descritto. L’uomo ha ammesso di aver trasportato e abbandonato il corpo della 35enne, che faceva la maestra a Stabio, nel bosco in cui è stato trovato esattamente una settimana fa. Ma sostiene di aver trovato la cognata senza vita nella casa di Stabio in cui viveva con la madre, e di aver voluto risparmiare alla madre stessa il dolore di confrontarsi con la morte della figlia. Una versione che, ovviamente, non convince gli inquirenti.

M.E. è un amante del genere ‘noir’, dei ‘thriller’ e dei racconti del mistero. In “Luci e ombre” cita per esempio “La maschera della morte rossa” di Edgar Allan Poe (la morte entra in un palazzo dove un gruppo di amici si è rifugiato per sfuggire a una pestilenza; indossa una maschera e quando il protagonista cerca di svelarne l’identità tutti cadono a terra stecchiti).

Di certo non è possibile sostenere che la storia raccontata in “Luci e ombre” sia un indizio di colpevolezza a carico di M.E. E neppure che il 42enne abbia una mente criminale solo perché scrive e legge romanzi ‘noir’. Altrimenti bisognerebbe arrestare preventivamente innumerevoli scrittori, King per primo.

Però ci sono alcuni elementi che fanno riflettere e anche un po’ inquietare… A partire dal nome del protagonista-narratore, identico a quello dell’autore (ma inglesizzato).

“Tutti (al college, ndr) mi guardavano con ingorda curiosità – racconta il protagonista di “Luci e ombre” -. Io non facevo che stimolare la loro immaginazione perché facevo il solitario e passavo le notti in camera con la luce accesa a leggere o nei boschi lì attorno a passeggiare alla luce dei lampioni. Andavo a lezione, studiavo magari una mezz’ora in biblioteca e poi mi rifugiavo nella mia stanza o andavo a leggere nel bosco. Fin da piccolo sognavo sempre di andare in qualche scuola, liceo o college che fosse, e di sedermi in fondo all’aula, non parlare con nessuno e non essere disturbato da nessuno. Andare a lezione e poi sparire come un fantasma. Era quello che stavo facendo ad Erie”.

Come l’autore, il protagonista del romanzo è appassionato di lettura e di scrittura: “Verso le undici, o al più tardi a mezzanotte, comunque ero a casa e iniziavo a leggere o a scrivere romanzi mai terminati”. E come M.E. (così emerge dalla sua breve autobiografia sul web) il protagonista è autore di “romanzi mai terminati”.

Il ragazzo ha un legame di profonda amicizia con una sua coetanea di nome Jennifer, che vive a Los Angeles e che durante il soggiorno al college sente regolarmente al telefono, e alla quale racconta di essersi invaghito di una ragazza conosciuta a scuola, Jasmine.

A questo punto, tra serate pesantemente alcoliche, il romanzo disegna altre relazioni sentimentali e compaiono nuovi personaggi, come Judy, con la quale il protagonista si ritrova a letto una notte. Entrambi sono nudi ma, a causa dell’alcol nessuno dei due ricorda cosa sia successo.

Ma il vero amore è Jasmine, nella cui stanza il giovane si trova la mattina in cui… “Ci svegliammo nella sua camera, sdraiati per terra, avvolti dalle coperte e completamente vestiti. Avevamo entrambi un forte mal di testa. Erano stati dei rumori nel prato sottostante a svegliarci. Era strano perché era domenica ed erano solo le dieci del mattino. Mi alzai e andai a vedere attraverso gli avvolgibili mentre Jasmine cercava di mettersi a sedere. Era buffissima. Una leggera pioggerella cadeva sul prato e su di un centinaio di persone che sostavano ai bordi del bosco. Vidi due ambulanze posteggiate nella direzione opposta, sul prato, vicino alla mensa. I lampeggianti erano spenti e questo indicava che non c’era urgenza di trasportare qualcuno all’ospedale... Accanto alle due ambulanze, anche queste posteggiate sul prato, c’erano tre auto della polizia locale. Proprio in quel momento arrivarono una troupe televisiva e una berlina dalla quale scese un uomo distinto che non aveva fatto in tempo a chiudersi la camicia e a fare il nodo alla cravatta mentre veniva al campus a bordo di quell’auto”.

“Guardammo insieme la polizia che delimitava una zona del bosco con dei nastri gialli che venivano tirati tra gli alberi e che dovevano impedire l’ingresso ai curiosi. Jasmine mi strinse alle spalle e credo che stesse pensando, come me, ai nostri amici che erano nel bosco con noi, quella notte, e a quello che poteva essere successo”.

La polizia si trova lì perché ha trovato una ragazza “uccisa a pugnalate e strangolata...”. E il protagonista scopre che la ragazza uccisa è la sua grande amica Jennifer che, non si capisce né come né perché, la notte precedente è andata al college a cercarlo.

“Mi ritrovai seduto davanti alla scrivania di un tenente della polizia della contea. Jasmine sedeva al mio fianco. Diversi poliziotti gironzolavano per l’ufficio immenso pieno di scrivanie e schedari.
- La tua ragazza mi ha detto che conoscevi la vittima.- disse con tatto il tenente .
Lo guardai. Mi fissava con calma aspettando la mia risposta. Poteva essere tutto un sogno.
Poteva essere qualcun’altra...
- Jennifer Johnson di L.A.?- chiesi.
Il tenente abbassò lo sguardo e annuì triste”.

L’interrogatorio del giovane prosegue:

“- Sapevi che Jennifer era venuta qui a Erie?- domandò Steeb (il poliziotto, ndr).
Scossi la testa.
- Mi aveva detto che mi avrebbe telefonato questa notte. Mi avevo detto che prima sarebbe stata
ad un convegno a San Francisco.-
(…)
- Noi,- dissi guardandolo.- eravamo nel bosco questa mattina. Con degli amici. Noi due non
l’abbiamo vista ma forse i miei amici... Solo io la conoscevo...-.

Dopo i funerali, il protagonista e Jasmine tornano al college. Ci sono altri interrogatori: - Il fatto è questo: io sono sicuro che voi non abbiate ucciso Jennifer. Non volontariamente.- disse Steeb
(…)
- Che cosa vuole dire?- gli chiesi.
- Non affrettate le conclusioni. Non sto dicendo che l’avete uccisa per sbaglio o per legittima difesa e poi, per paura che nessuno vi credesse, avete simulato un brutale omicidio e ve la siete data a gambe.- disse imbarazzato.- Ma voi stessi sapete che c’è un lasso di tempo di circa quattro ore di cui non ricordate nulla. Eravate ubriachi e avreste potuto ucciderla credendo che fosse un mostro o chissà cos’altro.-
(…)
Sembrava che volessero mandarmi sulla forca. E forse ci sarebbero riusciti”…

La storia si fa sempre più contorta e prosegue con l’arresto di uno studente del college, che non è il colpevole ma nei cui confronti ci sono degli indizi. Poi prende una piega da Stephen King e viene fuori che l’assassina è una ragazza psicopatica, Samantha (una serial killer, potremmo dire), che ha rapito anche Jude e che agisce per gelosia e invidia. E quando il protagonista scopre dove si è nascosta con Jude legata e imbavagliata se la vede di fronte con una pistola in pugno. Samantha rivela che Jennifer era solo “un’esca” (per poter attuare il suo piano diabolico) e racconta di aver ucciso anche Jasmine. Ora intende ammazzare anche il protagonista e Jude. Ma non ci riuscirà.

In conclusione, gli elementi che legano questo racconto al delitto di Ròdero sono sostanzialmente questi: il bosco, un omicidio che in apparenza non ha movente, il sospetto nei confronti del protagonista, e forse anche (citando ancora Donna Tartt e il libro più amato da M.E.), "l'infinità di trucchi grazie ai quali il male si presenta come bene".

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