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Analisi
11.11.2016 - 05:460

Tra malaedilizia e malcostume. Troppi appalti pubblici assegnati a imprese straniere (leggi: italiane) con l'estensione 'Suisse' che fa tanto figo. Certo, ci sono le regole internazionali, ma vogliamo fare i primi della classe anche a costo di tagliarci i

Ponderare diversamente i punteggi dei concorsi, privilegiando fattori di impatto ambientale, territoriale, sociale, ed evitando di premiare automaticamente chi propone il minor prezzo è un sistema, ma ce ne sono altri...

di Marco Bazzi

Scriveva qualche giorno fa la Società impresari costruttori che in Ticino l’edilizia “è un settore fondamentalmente sano e proprio gli imprenditori sono in prima linea per preservarne la correttezza”. Ma nella nota si leggeva pure un messaggio politico molto importante: “Anche i committenti possono sostenerci maggiormente in questo sforzo, evitando di deliberare solo in base al minor prezzo”.

Il minor prezzo è infatti ritenuto in troppi appalti pubblici il fattore determinante. Il problema principale è capire se l’offerta più “conveniente” si regge su calcoli onesti o disonesti. Ma non sempre è possibile capirlo.

I privati rispondono alla propria coscienza, gli enti pubblici alla società

Nel privato ogni committente, come ogni cittadino, è libero di fare le proprie scelte: può chiamare l’idraulico, l’elettricista o l’imbianchino italiano, o far costruire la propria casa da un’impresa estera. Può far capo a una miriade di padroncini che attendono solo di poter lavorare in Ticino… Il privato, che sia un cittadino o un’impresa, deve solo rispondere alla propria coscienza civica.

Ma l’ente pubblico deve rispondere alla società intera, perché usa il denaro dei cittadini, e deve considerare che un apparente risparmio immediato su un cantiere può generare un contraltare di costi imprevedibili (fallimenti, licenziamenti, perdita di oneri fiscali e sociali presenti e futuri...).

Le Ferrovie federali sono uno degli esempi peggiori di gestione socialmente responsabile degli appalti pubblici: a parte lo scandalo dei catering, ci sono i casi del granito – travertino romano alla stazione di Bellinzona, pietra spagnola per il Pont Rouge di Ginevra -, alla faccia di chi in Ticino fa fatica a campare. Ci facessero almeno viaggiare gratis in treno, in compenso!

Tra malaedilizia e malcostume

I casi di “malaedilizia” negli ultimi anni in Ticino sono stati molti, e hanno investito anche grandi cantieri pubblici, come il LAC di Lugano, che avrebbero dovuto essere dei modelli. Subappalti a catena, caporalato, abusi salariali, concorrenza sleale… sono fenomeni che in alcuni casi hanno portato all’apertura di inchieste penali. E sia chiaro: non tutto il marcio che c’era è venuto alla luce, perché gli operai sfruttati hanno taciuto (e continuano a tacere) per paura di ritorsioni o di perdere il lavoro.

In questo pentolone puzzolente ci mettiamo anche le infiltrazioni mafiose, perché è accertato che le cosche del Sud usano l’edilizia per riciclare al Nord denaro proveniente da attività criminali. Ci sono quindi aziende controllate o vicine alla mafia, che portano con sé, ovunque vadano a batter chiodi, quell’odioso patrimonio di corruzione, di inciviltà, e di intimidazione che ha reso potenti le cosche. Un rischio aggiuntivo che va calcolato quando si deliberano appalti pubblici ad imprese estere.

Poi, accanto alla malaedilizia c’è quello che l’imprenditore Andrea Gehri ha definito il “malcostume”. In diversi casi, infatti, enti pubblici o parapubblici (Confederazione, Cantone, Comuni, eccetera) hanno deliberato lavori milionari ad aziende italiane con filiali in Svizzera e la classica estensione “Suisse”, che fa tanto figo.

La pessima esperienza della Città di Lugano con gli spagnoli della COMSA (Suisse) non sembra dunque aver insegnato nulla.

Il porto del Gambarogno, il maxi appalto di Lugano a un consorzio italo ticinese e il solito idraulico comasco

Un caso che abbiamo recentemente denunciato è quello del porto regionale del Gambarogno, dove l’appalto generale è stato assegnato a un’impresa italiana, perché aveva presentato l’offerta più bassa, e lo stesso è avvenuto per i lavori della parte idraulica: il progettista del Comune aveva stimato il valore dei lavori in circa 380'000 franchi, ma una ditta di Como, con succursale nel Luganese, è entrata a gamba tesa con un’offerta da 202'000 franchi e si è portata a casa il lavoro.

Ma ci sono anche le formule miste: in questi giorni, per esempio, la Città di Lugano ha deliberato un maxi appalto da oltre 30 milioni a un consorzio nel quale l’impresa capofila è sì ticinese, ma associata con un’impresa italiana.

Non solo: sapete chi eseguirà i lavori della parte idraulica? La stessa azienda comasca, con sede nel Luganese, che ha ottenuto l’appalto per il porto del Gambarogno. Bravura? Prezzi imbattibili? Pura fortuna, o cos’altro?

Non è autarchia. Ripetiamo per chi non ha ancora capito

Eppure nessuno ha eccepito. Va tutto bene? Anche per i politici che si riempiono la bocca di slogan in difesa della nostra economia e dei posti di lavoro in Ticino?

Non vogliamo fare un discorso di autarchia, di sciovinismo o di protezionismo estremo, ma un puro discorso socio-economico.

Ripetiamo dall’inizio per chi (e sono troppi nelle amministrazioni pubbliche) non ha ancora capito. Prendiamo un’impresa edile o una ditta che lavora nel settore, che ha sede in Italia e apre una società ‘bucalettere’ in Ticino per poter partecipare agli appalti pubblici.

Partiamo dal presupposto che i lavoratori dell’edilizia sono soggetti a contratti collettivi, che garantiscono buoni livelli salariali.

L’impresa ottiene un lavoro partecipando al concorso con prezzi stracciati. Porta i suoi operai dall’Italia, li fa lavorare sul cantiere a paghe svizzere (rispettando le regole, dunque), ma poi, quando gli operai tornano in Italia si fa ristornare parte della differenza salariale o li obbliga a lavorare gratis fino a recuperare integralmente o parzialmente gli stipendi versati in più. Naturalmente le aziende italiane acquistano in Italia anche tutto il materiale necessario al cantiere, perché oltre confine costa meno.

Le amministrazioni pubbliche (e la politica) devono cambiare registro

Fenomeni del genere non sono fantasie campate in aria. Ecco perché le amministrazioni pubbliche (e la politica che le controlla) devono trovare il modo, senza dichiararlo, di escludere d’ufficio tutte le aziende estere, che nel caso del Ticino sono prevalentemente italiane.
Siamo un territorio troppo piccolo e fragile per poterci permettere di spalancare le porte dei concorsi pubblici a una concorrenza che sul piano dei prezzi ha vantaggi incolmabili. Se no è tanto inutile mettere in piedi strutture burocratiche come l'albo degli artigiani.

Ponderare diversamente i punteggi dei concorsi, privilegiando fattori di impatto ambientale, territoriale, sociale, ed evitando di premiare automaticamente chi propone il minor prezzo è un sistema, ma ce ne sono altri.

Si tratta semplicemente di applicare al settore dell’edilizia pubblica (e vale anche per tutti gli altri concorsi), trovando le giuste formule, il principio dell’iniziativa ‘Prima i nostri’. Pensate forse che le altre nazioni non lo facciano? Certo che lo fanno. Ma noi vogliamo sempre essere i primi della classe, gli irreprensibili che rispettano le regole internazionali anche a costo di tagliarci i cosiddetti. Abbiamo accumulato troppa cattiva coscienza e adesso cerchiamo di scontarla così...

Il protezionismo non deve essere dichiarato. In Francia, in Italia, in Germania, trovano gli stratagemmi per aggirare le norme internazionali e proteggere le imprese e le aziende nazionali. Il Consiglio federale, quando è stato sollecitato ad esprimersi su questi temi, si è nascosto dietro il principio della libera concorrenza. Ma la libera concorrenza si realizza solo se le regole sono uguali per tutti e se tutti le rispettano.

Ci ha detto un imprenditore del settore che è anche politico: “Le imprese italiane devono solo autocertificare che pagheranno i salari previsti dal contratto collettivo. Ma chi controlla che questo avvenga veramente e che l’obbligo non venga eluso con degli stratagemmi? Le imprese ticinesi devono produrre invece una marea di carta ogni volta che partecipano a un concorso pubblico, devono certificare di essere in regola con gli oneri sociali, di essere solvibili, eccetera. Gli enti pubblici sono i primi responsabili di un malandazzo che si sta estendendo a macchia d’olio”.

Comunque, come diceva giustamente Andrea Gehri, andando avanti con questo malcostume ci sarà un generale impoverimento della società. Le imprese estere non formano apprendisti, non impiegano personale amministrativo (al limite una segretaria o un direttore – naturalmente italiani, come nel caso della COMSA - in un semplice ufficio di rappresentanza), non pagano imposte, non generano posti di lavoro e non contribuiscono a mantenerli, non hanno magazzini sul territorio, non acquistano da fornitori svizzeri, eccetera. E spesso, come detto, fingono di rispettare i contratti collettivi. In compenso mettono in ginocchio chi le regole è costretto a rispettarle.


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