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Analisi
16.11.2016 - 14:480

Viva Noam Chomsky sulla RSI e abbasso le critiche di Tito Tettamanti. La televisione pubblica ha fatto benissimo a trasmettere quel documentario. Ma ora difenda la scelta con fermezza

Dal servizio pubblico bisogna pretendere l'ascolto dei contribuenti ma nessuno - specialmente chi è ricco e potente - deve sentirsi legittimato nello scrivere lettere che sfiorano la prepotenza per imporre palinsesti che rispettino il suo gusto personale e del mondo che rappresenta. È la differenza che corre tra libertà e liberismo.

di Andrea Leoni


Tito Tettamanti conferma di avere qualche prurito eccessivo quando la democrazia non corrisponde ai suoi pensieri. Il finanziere, con una lettera pubblicata sul Corriere del Ticino e indirizzata al direttore della RSI Maurizio Canetta, si è lagnato per un documentario su Noam Chomsky mandato in onda lunedì 7 novembre nell'ambito della trasmissione LA2 doc. 

 

Tettamanti, a seguito della diffusione del reportage, afferma di aver deciso di votare a favore dell'iniziativa "No Billag". Non vuole che con i suoi soldi si finanzi quella che definisce "propaganda e indottrinamento". Insomma, visto che un programma non gli è piaciuto, meglio tagliari i viveri all'intera baracca. 

 

Siccome di Tito Tettamanti si può dire e pensare tutto ma non che sia stupido o ingenuo, risulta davvero difficile credere che questa motivazione da "asilo mariuccia" sia fondata. È evidente che si tratta di una scusa e nulla più. Di una palla al balzo colta per perseguire un altro scopo, fosse anche soltanto quello di soddisfare la vanità di continuare a sentirsi burattinaio o il gusto per la contesa ideologica che ormai da anni lo vede contrapposto alla RSI. O magari la speranza politica di un controprogetto all'iniziativa. Oppure ancora di un rinnovo della concessione (che andrà in scadenza a breve) più favorevole agli editori privati. Interessi tutti legittimi e magari anche fondati, ben inteso, ma che forse andrebbero dichiarati con la proverbiale schiettezza con cui l'avvocato ama polemizzare.  

 

Ma entriamo nel merito della lettera del finanziere. A leggere le tesi di Tettamanti il pubblico andava in qualche modo messo in guardia prima o durante o dopo la messa in onda di un "simile documentario" (accipicchia, avessi detto un reportage su uno dei tanti riciclati di Wall Street). "Non tutti - annota l'estensore dello scritto - sono obbligati a sapere chi è Chomsky". Ammettiamo pure, con qualche fatica, che due colpi di Google sul telefonino o sul tablet non fossero alla portata di chi chiunque desiderava approfondire la biografia del professore dell'MIT. Ma che genere di avvertenza immaginava il finanziere?  Magari un sottopancia con scritto: "Attenzione, sta parlando Noam Chomsky, pericoloso estremista sinistroso. Diffidate dalle sue parole". Come se il pubblico non fosse in grado di ascoltare e riflettere sui pensieri di un intellettuale, tra l'altro tra i più conosciuti e non da oggi, formandosi liberamente un giudizio. Davvero poca fiducia nell'intelligenza dei ticinesi all'ascolto. Un riflesso un po' da establishment, si direbbe in questi giorni.  
 

Tettamanti, se ben comprendiamo, nella lettera a Canetta suggeriva un contraddittorio o un commento. Un contraltare al pensiero espresso da Chomsky. Ma è una richiesta televisivamente assurda. I documentari, che non sono inseriti all'interno di un format con uno studio (tipo Storie o Falò), non ospitano dibattiti. Quello che Tettamanti avrebbe potuto invece legittimamente chiedere da telespettatore alla RSI (chiedere, non pretendere), sarebbe stato la trasmissione di un documentario con un altro punto di vista rispetto a quello del professore anarchico.


Su questo specifico punto l'avvocato luganese afferma di aver passato gratuitamente a Maurizio Canetta "più di un anno fa tramite l’Istituto Bruno Leoni" il programma «Free to Choose» realizzato da Milton Friedman: il papà della scuola liberista. "Il programma - annota Tettamanti - è passato qualche anno fa alla BBC, garanzia di serietà del prodotto, e abbiamo provveduto alla sottotitolazione in italiano. La cosa si è trascinata e arenata su difficoltà tecniche che sfuggono alla mia competenza ma nessuno si è premurato di chiedere se avessimo qualche altro documentario di grandi intellettuali che non la pensano come Chomsky e magari non sono politically correct". Detto che guarderemmo volentieri il documentario su Friedman, o di qualche altro che non la pensa come Chomsky, la pretesa che la RSI si premuri spontaneamente e preventivamente di contattare Tettamanti per bilanciare il suo palinsesto, appare solo come la caricatura di una presunzione che ha superato i limiti di guardia. Perché lui sì e tutti gli altri che pagano il canone esattamente come lui, no?

 

E se proprio vogliamo parlare di indottrinamento e di propaganda, come fa Tettamanti, bisognerebbe giudicare da un profilo storico la diffusione, per non dire lo spaccio, di certe idee altrettante estremiste, ma più care al finanziere, che per almeno tre decenni hanno dominato sulla scena politica, economica e mediatica del mondo. Basta un'oretta di Chomsky, e del suo pensiero di nicchia, per compensarle? Probabilmente servirebbe almeno un secolo in loop per avvicinarsi a riequilibrare le forze in campo. 

 

Ma non vogliamo buttarla in politica - ed è per questo che ci asteniamo dai commenti personali sul contenuto del documentario   -perché qui il punto è un altro. Un buon servizio pubblico si basa sulla somma di idee diverse e non sulla sottrazione, o la censura, o la "spiegazione" con un contraddittorio ipocrita e peloso, dei pensieri che non ci piacciono. Alla RSI va chiesto di aggiungere e non di togliere contenuti e punti di vista diversi (e su questo c'è molto da lavorare se una parte del pubblico, non senza ragioni, si sente non rappresentato e talvolta discriminato rispetto ad altre parti politiche). Ma la radiotelevisione va criticata nel merito - e lo abbiamo sempre fatto quando ci è parso opportuno - come di merito deve essere il sì o il no alla Billag: sarebbe deprimente per la nostra democrazia se una scelta di questo tipo fosse fatta sulla base di un programma che ci è piaciuto oppure no (anche se probabilmente così accadrà). Dal servizio pubblico bisogna pretendere l'ascolto dei contribuenti ma nessuno - specialmente chi è ricco e potente - deve sentirsi legittimato nello scrivere lettere che sfiorano la prepotenza per imporre palinsesti che rispettino il suo gusto personale e del mondo che rappresenta. È la differenza che corre tra libertà e liberismo.  

 

Ci tornano alla mente le parole di un altro intellettuale scandaloso (che scriveva sul Corriere della Sera, il giornale dei poteri forti e della borghesia milanese, per dire...) Pier Paolo Pasolini: "Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista". Si goda il piacere di essere scandalizzato da Chomsky, avvocato. 

 

A nostro avviso la RSI ha dunque fatto benissimo a mandare in onda un documentario che, condivisibile o meno, non ha alcuna importanza, espone la lettura critica di uno dei più grandi intellettuali contemporanei del mondo, peraltro con uno stile di racconto televisivo bellissimo. Ora però l'azienda deve difendere con forza questa scelta senza farsi spaventare dai "bu" di Tettamanti e degli altri. Cedere, o addirittura prostrarsi, come troppe volte è accaduto nel passato anche recente, verso un certo potere cantonticinese, sarebbe la dimostrazione plastica di una schiena molle che a questo punto per paradosso meriterebbe davvero di essere spezzata. 

 

A questo proposito. Tettamanti, in una vertigine di onnipotenza, arriva addirittura a domandarsi  "se mi conviene venire a fare da alibi quale utile idiota al dibattito del 13 dicembre 2016 con lei (Maurizio Canetta, ndr.). Ci penso e glielo faccio sapere". Non si disturbi a farmelo sapere, caro avvocato, stia pure a casa se ritiene, gli risponderemmo "senza filtri" se fossimo in Canetta. E questa risposta non la dovrebbe solo alla sua carica professionale, ma soprattutto come "capo" dei suoi collaboratori e anche del pubblico, che non possono accettare che il direttore della RSI venga trattato da Tettamanti come se fosse un suo sottoposto. 


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