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Secondo Me
25.11.2016 - 15:040
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"L'Osi ci appartiene. Non lasciamo che diventi solo un debole ricordo (senza dimenticare che qui c’è anche in gioco il futuro di persone e delle loro famiglie). E che ne sarà del LAC senza la nostra Orchestra?"

La giornalista Nicoletta Barazzoni: "Se c'è da usare le forbici, sembra che a pagarne lo scotto sia sempre la cultura, in questo caso la musica classica. O almeno un certo tipo di cultura, che è incompatibile con le serie televisive, i quiz o le partite di calcio

di Nicoletta Barazzoni *

 

L'Osi è da annoverare nel nostro patrimonio culturale e artistico, come pilastro irrinunciabile di un paese che ne deve, almeno moralmente, riconoscere il valore. Perché si è costruita negli anni un riconoscimento internazionale. E perché l'Osi è il simbolo e l'immagine della nostra italianità creativa, in particolare nell'ambito della musica classica.


E poi cosa ne sarà del Lac senza la nostra Orchestra? Lac che ha investito molti soldi nell'acustica anche in previsione dei suoi concerti?  La crisi finanziaria che ha colpito la SSR sta ricadendo, come una ghigliottina, sul futuro dell'orchestra ma non è ancora tutto perduto, o almeno non tutto è già dato per morto. Le trattative sono ancora in corso. 


Però intanto la cinquantina tra musicisti e dipendenti che fanno capo all’OSI si è vista recapitare la disdetta cautelativa: la Fondazione dell'Orchestra ha preannunciato la chiusura dei contratti con i musicisti per fine 2017.
 

A parte la modalità poco sensibile con cui è stata data la disdetta di "massa", che dovrebbe essere accompagnata da un debriefing per attutire il brutto colpo che ha comprensibilmente messo in ansia i componenti dell'orchestra, c'è da chiedersi a che punto sia il piano di risanamento, di ristrutturazione, e di salvataggio (sempre che ci sia), e se la ricerca di partner privati possa almeno preconizzare un orizzonte di continuità.


Certo è che dover rinunciare al contributo della SSR, che prima versava un contributo milionario all'Osi, indebolirebbe qualsiasi organizzazione, mettendola in ginocchio.  Di nuovo la Berna federale penalizzerà un Ticino già poco considerato e figlio di un dio minore? Oppure non c'erano alternative sostenibili? E i giochi sono davvero ancora aperti?


È anche vero che la crisi delle orchestre, e le difficoltà economiche dell’audience, stanno mettendo a dura prova la tenuta di grosse formazioni, a livelli ben più quotati. Una decina di anni fa la Brooklyn Orchestra era in una difficile situazione economica, dalla quale faceva fatica a sollevarsi. La Chicago Symphony Orchestra, la Toronto Symphony Orchestra e molte altre ancora, erano alla disperata ricerca di finanziamenti. Orchestre che si trovavano in uno stato economico precario ma che sono riuscite a garantirsi un futuro.


Anche l'Orchestra filarmonica di Lucerna non dorme sonni tranquilli. In segno di protesta si è esibita contro i tagli finanziari decisi dal governo cantonale: i sussidi, secondo il programma di risparmi, potrebbero essere ridotti di mezzo milione di franchi.


Insomma se c'è da usare le forbici, sembra che a pagarne lo scotto sia sempre la cultura, in questo caso la musica classica. O almeno un certo tipo di cultura, che è incompatibile con le serie televisive, i quiz o le partite di calcio. Oppure c'è qualche cosa d'altro - che sfugge alla logica di una visione più innovativa, sia a livello artistico che manageriale - che intacca la base economica delle orchestre?


L'Osi ci appartiene. È parte del nostro mondo. Non lasciamo che diventi solo un debole ricordo nell'album di una politica culturale debole e deludente. Senza dimenticare che qui c’è anche in gioco il futuro di persone e delle loro famiglie.

 

* giornalista

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