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Analisi
10.02.2017 - 18:370

“Un errore assumere un italiano all’Ufficio della migrazione". Caro ministro Gobbi ma cosa voleva dire con quella frase? Che i 'badini' recano con sé potenziali germi criminogeni? Forse dovrebbe precisare. Condividiamo il principio 'Prima i nostri' nell'A

Dai permessi facili, che portò alla condanna di un dirigente dell'Ufficio migrazione, al Ticinogate che portò in carcere un giudice penale, ai diversi poliziotti finiti sotto inchiesta... Tutti svizzerissimi... E come la mettiamo con gli studenti italiani che praticano l'alunnato in Magistratura?

di Marco Bazzi

La risposta istituzionale all’inchiesta che ha portato in carcere cinque persone accusate di “simonia” di permessi di dimora (nel Medioevo il termine indicava la compravendita di cariche ecclesiastiche) avrebbe dovuto essere semplicemente: i controlli funzionano e chi fa il furbo la paga. Il furbo, o i furbi, sono in questo caso, a livello di Amministrazione, il funzionario 28enne dell’Ufficio migrazione e le due ex impiegate dello stesso servizio finiti in carcere nei giorni scorsi.

Invece l’altro giorno il ministro delle Istituzioni Norman Gobbi si è presentato in conferenza stampa esordendo: “Sono infuriato!”. Quasi che il caso giudiziario venuto alla luce fosse un affronto personale.

È comprensibile che il direttore di un dipartimento, come il direttore di un’azienda, s’incazzi se scopre che un suo collaboratore ha tradito la fiducia, ha rubato o commesso illeciti sul lavoro. Ma quella sbroccata pubblica di Gobbi ha suscitato qualche perplessità. Tanto più che il ministro era da mesi al corrente delle indagini avviate dal Ministero pubblico… Nessun fulmine a ciel sereno, dunque.
In sostanza, senza voler fare gli esperti di semiotica, quella frase – “Sono infuriato” - è diventata il messaggio principale che il ministro ha rivolto alla stampa, e quindi al Paese, mettendo il resto quasi in secondo piano.

Invece, la cosa più importante era proprio il resto: c’è stato un buco nella rete di controllo, per ragioni che l’inchiesta in corso potrà compiutamente spiegare, ma alla fine i meccanismi di allarme hanno funzionato e i presunti colpevoli sono stati assicurati alla giustizia. Insomma, il messaggio poteva essere qualcosa tipo “capita anche nelle migliori famiglie”.

Era già tutto scritto, e ben scritto, nel comunicato che il Dipartimento ha diramato poco dopo quello in cui il Ministero pubblico annunciava i primi tre arresti: “La segnalazione da parte della direzione della Sezione della popolazione agli organi di polizia è sinonimo di funzionamento dei controlli interni e dell’attenzione posta su questo fronte. I nuovi controlli interni e le nuove procedure che saranno introdotte con la riorganizzazione dell’Ufficio migrazione sono state elaborate anche sull’esperienza maturata nella collaborazione con la Polizia nell’ambito di questa specifica inchiesta”.

Perfetto. Una dichiarazione pulita sulla quale non c’era nulla da ridire. Invece su questo caso, sicuramente grave in quanto coinvolge un funzionario dell’Amministrazione, è scoppiato uno psicodramma, che le dichiarazioni odierne di Gobbi hanno alimentato, e ora la vicenda rischia di trasformarsi in una delle tante bufere politiche nostrane. Ma ci arriviamo.

Prima ricordiamo però che non è la prima volta che al Dipartimento istituzioni succede un caso del genere. Nel 2008 venne condannato a due anni con la condizionale un ex funzionario, all’epoca responsabile dell'Ufficio giuridico della Sezione dei permessi e dell'immigrazione, che nel 2001 fu accusato di avere agevolato il rilascio di permessi 'B' in cambio di mazzette, cifrate in quasi 50'000 franchi. Stiamo parlando del caso “Permessi facili”, scoppiato a margine del “Ticinogate”.
E per il ruolo dirigente che il funzionario ricopriva, il caso era ben più grave di questo.

Torniamo ora a Gobbi. In un’intervista al Tages Anzeiger uscita oggi, il ministro ha rincarato la dose e ha detto: “È stato un errore assumere un italiano all’Ufficio della migrazione. Per me è inammissibile, e non ho mai sentito di svizzeri che lavorano presso l’amministrazione pubblica in Italia. Per questo motivo nel mio Dipartimento diamo la precedenza agli svizzeri o a chi è stato naturalizzato”.
Già, perché quando il funzionario arrestato venne assunto nel 2009 come ausiliario e poi nominato nel 2010 aveva ancora la cittadinanza italiana. Ottenne il passaporto svizzero soltanto l’anno dopo, nel 2011.

La domanda sorge spontanea: ma nel 2012 avrebbe potuto essere assunto al Dipartimento istituzioni, o avrebbe prima dovuto fare qualche anno di ‘purgatorio’, in attesa che si asciugasse la ‘firma bagnata’?

Commentando il vecchio caso dei ‘Permessi facili’ durante la conferenza stampa, Gobbi ha detto: “Allora era la testa dell’Ufficio che non funzionava, perché direttamente coinvolta con una rete di contatti nel rilasciare permessi che non dovevano essere rilasciati”.
Giusto, ma la testa era svizzera, mica ‘badina’.

E non stiamo qui a ricordare i dettagli del “Ticinogate”, il più grave caso istituzionale della recente storia ticinese, che sfociò nel processo a un giudice penale profondamente svizzero…

Insomma, il passaporto rosso non è garanzia di correttezza e di onestà. L’onestà sta nelle persone, non nella cittadinanza. E non è un bel segnale da parte di un ministro giocare su questi equivoci. Puntando tra l’altro implicitamente l’indice contro il suo predecessore, Luigi Pedrazzini, reo di aver assunto il funzionario ‘taglian’.

Il principio enunciato da Gobbi è condivisibile: nei servizi amministrativi cantonali non vanno di principio assunti cittadini stranieri. E questo indipendentemente dal 9 febbraio, da ‘Prima i nostri’ e quant’altro, considerando in ogni caso che oggi la sensibilità su questo tema è più accentuata rispetto a qualche anno fa.

Il discorso vale a maggior ragione per gli uffici ‘delicati’ e ‘sensibili’, e naturalmente anche per la Polizia, e per la Magistratura di ogni ordine e grado. Ma come la mettiamo, allora, con gli studenti italiani che hanno praticato fino ad oggi l’alunnato giudiziario al Tribunale penale, in Pretura o al Tribunale d’appello? È chiaro che vengono a conoscenza di dati e di casi altamente sensibili, ma nessuno ha finora sollevato chiaramente il problema… Prima i nostri, o ‘solo i nostri’, anche lì?
E cosa dire del fatto che, lo citiamo a mo’ di esempio perché due anni fa fu coinvolto in un’inchiesta penale, un alto funzionario del fisco, naturalizzato svizzero ovviamente, fosse stato in passato nientepopodimeno che un collaboratore della Guardia di finanza italiana?

O, se vogliamo fare un altro esempio che c’azzecca col Dipartimento istituzioni - un esempio a noi caro -, prendiamo l’italianissima dottoressa del traffico, la quale riveste, non c’è bisogno di dirlo, un ruolo altamente sensibile per i dati di cui viene e conoscenza e per la totale libertà di giudizio di cui gode nei confronti dei ‘cattivi della strada’, pur operando su mandato e non in qualità di assunta (non in senso mariano, ma di dipendente del Cantone).

Insomma, quella sua frase da hooliga, caro ministro, proprio non riusciamo a capirla. Siamo certi che non volesse intendere che i cittadini italiani (o stranieri) recano con sé una sorta di germe potenzialmente criminogeno. Però - di fatto e purtroppo - proprio quello è il senso che la frase trasmette, e forse sarebbe il caso che lei precisasse cosa intendeva dire.

Anche perché gli si potrebbe ribattere che gli agenti di polizia finiti sotto inchiesta per diversi reati anche sotto la sua gestione erano svizzerissimi…

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