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Politica e Potere
15.02.2017 - 13:590
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Il caso permessi, il ruolo della politica, la rivolta contro le élite e la questione morale. Alcuni pensieri in libertà tra presente e passato. Rileggendo Enrico Berlinguer

In questi giorni di cronaca scolpiti dalla parola "corruzione" e dalla sua interpretazione più avvilente, cioè quella del bacio incestuoso con la pubblica amministrazione, siamo andati a rileggerci le parole dell'ex segretario del PCI: "La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale fa tutt'uno con l'occupazione de

di Andrea Leoni

Correva l'anno 1981. Trentasette anni fa. Il Paese era un altro, l'Italia, e anche il mondo e l'Europa, erano molto diversi. C'era ancora il Muro e c'era ancora il comunismo. E fu proprio un comunista - il capo dei comunisti italiani, il più grande partito comunista occidentale - quel grand'uomo di Enrico Berlinguer, a rilasciare un'intervista rimasta scolpita nella Storia.  
 
Berlinguer espose la sua analisi ad Eugenio Scalfari, fondatore e a lungo direttore di Repubblica, che ne riferì sul suo giornale. Da quell'intervista prese forma un principio che entrerà nel vocabolario politico universale, perlomeno in Occidente: la questione morale.
 
In questi giorni di cronaca scolpiti dalla parola "corruzione" e dalla sua interpretazione più avvilente, cioè quella del bacio incestuoso con la pubblica amministrazione, siamo andati a rileggerci le parole dell'ex segretario del PCI.
 
Sarebbe facile, in queste ore tumultuose, disegnare parallelismi con la carta velina. Sarebbe facile affermare che nulla è cambiato in quattro decenni. Che ciò che è accaduto negli ultimi giorni è colpa della politica. Non è vero. Se è incontestabile che anche il Ticino è stato gravemente ammalato di "questione morale" , è altrettanto vero che il potere dei partiti si è ridimensionato. Se fino a non molti anni fa spadroneggiavano, spesso senza vergogna, nel pubblico come nel privato, oggi si può dire  che hanno un peso, ma ci sono pesi più rilevanti. In questo senso si potrebbe certificare una metamorfosi del potere politico. Una mutazione dovuta all'intreccio, se non in qualche caso alla fusione, con poteri economici e finanziari che sono azionisti di maggioranza della nuova "cosa": quella che chiamiamo establishment.
 
E questo cambiamento è una delle cause del restringimento elettorale delle forze politiche, perché hanno perso credibilità e forza contrattuale con gli elettori. È un fatto: non comandano più come prima.
 
Ma il virus della "questione morale" non è certo stato debellato. Anche perché è connaturato al dna stesso della politica. Il potere, quando lo si esercita con intelligenza, passa anche attraverso la condivisione - meglio: redistribuzione - del capitale politico guadagnato. Si restituisce un favore, si premia chi ti ha aiutato, si raccomanda, si "piazzano" persone affini nei posti chiave o in posti disponibili nei mondi affini che consentano al "piazzato" di svolgere senza troppi restringimenti lavorativi i compiti più gravosi . Qualche volta si dà una mano in buonafede sfruttando l'influenza della propria posizione. C'è infine tutto un sottobosco molto poco esplorato di Commissioni, Gruppi di lavoro, Enti e Fondazioni, in cui la sfera di influenza dei partiti è ancora piuttosto soffocante. 
 
Quasi mai si tratta di azioni illegali e d'altra parte si parla appunto di "questione morale", non legale. Perché tutto si gioca sul confine scivoloso della gratitudine, del non detto, talvolta pure del sincero riconoscimento. Non sempre, infatti, la politica ha premiato il peggio. Talvolta ha scelto il meglio. Certo, sempre al netto di uno svantaggio di partenza per chi, a parità di curriculum, apparteneva ad altre o a nessuna area di pensiero. 
 
La "colpa" però non è solo in chi offre ma anche in chi ne beneficia. E questa responsabilità individuale viene spesso ipocritamente sottaciuta: molto più semplice è puntare il dito sul sistema marcio e corrotto, sulle derive della politica. D'altra parte però più cresce la sofferenza sociale e l'incertezza sul futuro e più è difficile appellarsi alla coscienza civile del singolo cittadino. 
 
Questi, tuttavia, come detto, sono discorsi impolverati, che reggono forse ancora sul piano locale, ma che certo paiono totalmente fuorvianti a un livello superiore, dove il pallino delle élite, non è certo in mano ai partiti. 
 
Ma tornando in Ticino e alla "questione morale", capita a intervalli più o meno regolari che qualche protagonista della politica sfiori l'argomento. Sempre quando si parla dell'annosa, e par irrisolvibile, questione dei conflitti di interessi negli Enti pubblici e parapubblici. Di recente il presidente del PPD Fiorenzo Dadò ha puntato il dito contro la Lega ("state sistemando tutti i vostri, facendo esattamente quello che per 20 anni avete rimproverato agli altri", ha detto con quel linguaggio popolare che tutti capiscono). E la Lega stessa, proprio nella polemica sull'ultimo scandalo legato ai permessi, ha puntato il dito contro il PPD, reo di aver colonizzato nel recente passato il Dipartimento delle Istituzioni, oggi al centro della bufera.  

Noi non crediamo, lo ripetiamo ancora, che la vicenda dei permessi sia frutto di errori imputabili ai partiti, di ieri o di oggi, e al loro modus operandi. Semmai (semmai) potrebbero emergere responsabilità, errori, di singoli politici nell'esercizio della loro funzione. Ma questo è tutt'altro discorso. 
 
E veniamo a Berlinguer. A quelle parole, la cui energia pare inesauribile agli anni, che sono come una bussola nei momenti di incertezza e confusione. Rileggiamole non con il tono dell'atto di accusa di allora, ma come fonte di ispirazione per il presente e per il futuro. Per chi fa politica e per chi non la fa.
 
"I partiti non fanno più politica", esordiva in quell'intervista il segretario del PCI. E forse nell'epoca moderna - dominata da logiche economiche e finanziarie, con la politica che ha perso la sua leadership - questo è ancora più vero che allora. 
 
"La questione morale - diceva Berlinguer - non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti"
 
"I partiti di oggi - aggiungeva - sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss"".
 
"I partiti - concludeva la sua analisi spietata l'ex segretario del PC - hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali".
 
Se oggi queste stesse parole le avesse pronunciate un politico dei giorni nostri, sarebbe stato apostrofato come "populista" e rappresentante dell'anti politica. Noi, come detto, crediamo che i tempi siano cambiati, forse in peggio. Ma certo in queste parole viene indicato uno dei semi che ha fatto fiorire l'attuale panorama politico. Quando oggi parliamo della rivolta contro l'establishment, parliamo esattamente dell'evoluzione in chiave moderna di ciò che Berlinguer aveva denunciato trentasette anni fa. 
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