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17.02.2017 - 12:130

Permessopoli: i corvi, gli audit sull'Ufficio migrazione e il conflitto tra Governo e Gran Consiglio. Il potere politico trovi un accordo per evitare il caos

L'ANALISI - Il fatto che nel mondo politico non vi sia condivisione e sostegno sulla scelta degli esperti e sul modus operandi deciso dal Governo, è più che sufficiente per tirare il freno a mano e impedire che si accenda la macchine delle ombre e quella del fango. È un pericolo che va evitato, assolutamente. C'è ancora il tempo per farlo. Per fermarsi e scegliere un'altra strada

di Andrea Leoni

La politica rischia di innescare una gran confusione nell'occuparsi doverosamente dello scandalo permessi e del funzionamento del'Ufficio delle migrazioni. Di creare conflitti torbidi, paradossi divisivi e voragini contraddittorie, laddove invece occorrerebbe seguire un percorso specchiato, condiviso e lineare. Non perdiamo mai di vista in tutti i nostri ragionamenti che stiamo parlando, seppur di riflesso, di un tema verso cui la popolazione è ultrasensibile, quello degli stranieri, e che ci sono di mezzo persone che lavorano e che devono continuare a svolgere le proprie mansioni. E anche persone che attendono una decisione sulla loro richiesta di permesso, dunque sul proprio futuro, e che non devono pagare il prezzo di questa situazione. 
 
Il pericolo che si corre è quello di trovarsi con tre inchieste su una stessa vicenda: il caos insomma.  
 
La prima indagine, quella penale, in pieno svolgimento, farà la sua strada indipendentemente da tutto e da tutti, come è giusto che sia. Una strada il cui approdo è ancora però tutto da disegnare. E a dipendenza di quale sarà il risultato delle indagini, le conseguenze politiche e amministrative potrebbero cambiare parecchio. Se, poniamo, l'indagine dovesse allargarsi a macchia d'olio con nuove rivelazioni, oppure ancora se l'entità del numero dei permessi falsi dovesse essere molto più rilevante di quel che si sospetta oggi, ecco che le valutazioni si spingerebbero verso l'ipotesi peggiore. O viceversa, qualora venisse comprovata la teoria delle mele marce.  
 
Lo sappiamo: c'è la separazione dei poteri. I tempi della magistratura e quelli della politica non coincidono. Così come non coincidono compiti e scopi delle rispettive azioni. E gli strumenti di indagine a disposizione dei due poteri sono per fortuna differenti. 
 
Se da una parte è comprensibile che il potere politico non possa restare con le mani in mano in attesa che la giustizia faccia il suo corso (non foss'altro che per garantire il funzionamento dell'Ufficio finito nella bufera, per tutelare chi ci lavora e per tappare qualche falla urgente); non si può negare che tutto parte dall'inchiesta penale e prima di muoversi energicamente sul fronte politico e istituzionale, bisognerebbe quanto meno conoscere a spanne il perimetro del caso e le sue dimensioni. Giusto per non rischiare di operare alla cieca e per non ritrovarsi spiazzati da un momento all'altro. In questo caso tocca alla magistratura - non appena ne avrà la possibilità - dare indicazioni, sia al potere politico che all'opinione pubblica.  
 
Il Consiglio di Stato ha deciso di reagire allo sconcerto popolare per l'inchiesta penale, commissionando in fretta e furia un audit sull'Ufficio migrazione all'ex giurista del Consiglio di Stato Guido Corti e all'ex magistrato federale Pierluigi Pasi, già collaboratore del Dipartimento Istituzioni ai tempi di Luigi Pedrazzini. Anche in questo caso, dalle dichiarazioni delle ultime ore che provengono dal fronte governativo, non è chiaro quale sia esattamente il compito che si vuole affidare agli esperti e neppure la ripartizione dei ruoli fra Pasi e Corti. Attendiamo spiegazioni. 
 
Infine, la Commissione della Gestione intende esercitare il suo ruolo di alta vigilanza occupandosi della vicenda. L'unica proposta attualmente sul tavolo, presentata dal presidente del PPD Fiorenzo Dadò, è quella di commissionare un altro audit,  alternativo quindi a quello del Governo, questa volta però affidato a persone che nulla hanno mai avuto a che fare con l'Amministrazione pubblica o con la politica.  
 
Se la proposta di Dadò fosse accolta dalla maggioranza della Gestione, avremmo così due audit, uno governativo e uno parlamentare, con esperti diversi chiamati ad indagare sullo stesso caso, e magari con perimetri e obbiettivi differenti. E già questo sarebbe singolare, per usare un eufemismo. Non osiamo immaginare, ma possiamo benissimo farlo, cosa accadrebbe se le due inchieste arrivassero ad analisi e conclusioni diverse, se non opposte. Due verità alternative che produrrebbero due eserciti di sostenitori pronti a battagliare senza esclusioni di colpi. Il risultato inevitabile sarebbe la distruzione definitiva della fiducia su quel segmento così sensibile dell'Amministrazione. E questo tralasciando le ricadute politiche che avvelenerebbero la seconda metà della legislatura.
 
È un pericolo che va evitato, assolutamente. C'è ancora il tempo per farlo. Per fermarsi e scegliere un'altra strada. 
 
A nostro avviso le riserve sollevate da alcuni esponenti politici sulla decisione del Governo di affidare a Pasi e a Corti l'audit sull'Ufficio migrazioni, sono fondate.  Non già per le qualità personali e professionali dei due esperti, quanto per l'opportunità di coinvolgere in questa delicata analisi due persone che hanno lavorato per l'Amministrazione, una delle quali proprio nel Dipartimento finito al centro della bufera e occupandosi direttamente dell'Ufficio da scandagliare. 
 
Il fatto che nel mondo politico non vi sia condivisione e sostegno sulla scelta degli esperti e sul modus operandi deciso dal Governo, è più che sufficiente per tirare il freno a mano e impedire che si accenda la macchine delle ombre. 
 
Pertinente, anche se discutibile, è pure l'obiezione che sia il Parlamento, per via della Gestione, ad assumersi la responsabilità dell'audit, e non il Consiglio di Stato. Se la prendiamo in termini strettamente democratici: il Gran Consiglio ha il compito di vigilare sull'attività dell'Esecutivo, non ci piove. E in questo caso è coinvolto un pezzo del Governo, un ufficio del Dipartimento di Norman Gobbi. Ma è altrettanto vero che in passato, sui vari "gate", l'iniziativa d'indagine è stata assunta dall'Esecutivo (al netto delle commissioni parlamentari d'inchiesta). Su questo punto entrambe le parti possono avere buoni argomenti.
 
La sensazione però è che in questo momento non vi sia fiducia reciproca tra i due grandi poteri della politica: quello Esecutivo e quello Legislativo. E che si cerchi una prevaricazione  muscolare sull'altro, per tenere il mazzo di carte tra le mani. Sono le premesse ideali per un conflitto istituzionale in un momento di oggettiva fragilità, sia per lo Stato che per la sua credibilità. 
 
Infine è di stamane la notizia dell'entrata sulla scenda dei "corvi". Quella specie di volatili che si palesa puntualmente quando scoppiano gli scandali che coinvolgono politica e amministrazione. Nella fattispecie tre anonimi, che dicono di lavorare all'Ufficio della migrazione, hanno scritto una letterina ai quotidiani e ai capigruppo dei partiti in Gran Consiglio, muovendo tutta una serie di gravi accuse sul malfunzionamento del loro luogo di lavoro. Una in particolare: "Un giorno facendo un trasloco c'erano fogli di permessi in giro dappertutto in un ufficio abbandonato. Tutti potevano rubare mille fogli di carta su cui stampare i permessi". Si denunciano pure disorganizzazione e nomine e assunzioni fatte non per competenze. 
 
Naturalmente modi e tempistiche dei volatili sono sospetti, ma il contenuto andrà verificato da chi di dovere. Norman Gobbi ha dichiarato che queste accuse hanno "solo con lo scopo di gettare fango e danneggiare l'ufficio e il suo funzionamento". E ancora: "Come direttore del dipartimento sono stato, e sono sempre, aperto a verificare ogni segnalazione, come già fatto in passato e ancora di recente. A condizione che chi le inoltra lo faccia in modo trasparente e senza nascondersi nell'anominato. In questi casi le misure sono sempre state prese".
 
Ebbene: anche a fronte di questa novità, Governo e Gran Consiglio trovino un accordo ragionevole e procedano con un metodo condiviso ognuno secondo le sue competenze, chiudendo la voliera dei corvi e non azionando la macchina del fango. Perché altrimenti poi può succedere di tutto.  
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