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08.03.2017 - 18:000

Suicidio assistito per tutti e il suicidio "guadagnato": le risposte che devo a chi ho ferito e a tutti gli altri. Bisogna opporsi a questa incultura da cimitero che è una delle metastasi di questo nostro moribondo Occidente

Siamo una società così irrimediabilmente distaccata dalla vita e dalla sua natura autentica, che fa scandalo un commento in cui si reclama con asprezza polemica di preservare almeno la nobiltà del gesto del suicidio. Scriveva Pier Paolo Pasolini: "C'è da lottare, prima di tutto contro la falsa tolleranza del nuovo potere totalitario dei consumi. Il nuovo fascismo". Falsa tolleranza del potere dei consumi come il business legato alla dolce morte

di Andrea Leoni

Agli ipocriti. Ai moralisti. Ai vigliacchi. Ai commedianti del perbenismo d'avanspettacolo che in queste ore hanno berciato ogni insulto della loro striminzita antologia del volgare, augurandomi qualunque notizia purché di sventura e finanche la morte, suicidato o in altro modo. Godete di questa piccola soddisfazione in dono: ho già dato e ancora dovrò dare. Vi bacio e vi mando con dolcezza a fare in culo.
 
Agli urlatori ammaestrati dell'indignazione sociale di regime. Ai pecoroni del buon senso e del buon gusto. Ai pedoni inconsapevoli che muovono baldanzosi nella caccia allo straniero, che schiumano il coraggio dei parolai da salotto per l'islamizzazione dell'Occidente ("Go Donald Go!"). Ai finti libertari che s'appellano al cristianissimo libero arbitrio - rabberciato con l'ago e il filo dell'ateismo, dello statalismo o della libertà da ipermercato - per cucirsi l'abito su misura capace di giustificare ogni occasione di confronto e ripetere con adolescenziale compiacenza "sono solo fatti miei".  A tutti quelli a cui in fondo piace tanto l'anestesia sociale della bambagia e del consumo, così spudoratamente illuminata da variopinte lucine fittizie e così linda e impenetrabile agli schizzi di sangue o all'immagine stampata in faccia all'improvviso di un cadavere penzolante dal soffitto. A voi tutti rispondo: continuate a sonnecchiare, che tanto Troia è già stata incenerita!
 
A chi si è sentito offeso, turbato, ferito dalle mie parole. A chi ha vissuto il mio commento sul suicidio universale come un'esibizione cinica, una prepotenza stolta, un atto di vandalismo becero e cattivo verso la propria sensibilità e il proprio vissuto. A chi è rimasto sconcertato dalla violenza polemica del mio scritto su un tema tanto intimo e delicato. A chi non ha capito o, più semplicemente, si è trovato in disaccordo perché di altro avviso. A voi desidero spiegare, se ne avete tempo e voglia.
 
Il tema del suicidio come diritto universale è stato un pretesto. Un pretesto per scaricare tutto il  disagio, la rabbia, lo sdegno, verso questo Occidente in stato comatoso. Pavido, pigro e imbolsito dal benessere. Stordito e smarrito. Talmente stordito e smarrito da aver affrancato i suoi uomini e le sue donne dalla natura stessa della vita. Talmente stordito e smarrito da sacrificare perfino gli atti più estremi sull'altare dell'agio, collocandoli il più lontano possibile dall'orizzonte dello sguardo della nostra coscienza. Talmente stordito e smarrito da accettare inconsapevolmente perfino le barbarie architettate da noi stessi. 
 
Un pretesto, certo, però un pretesto fondato. Perché il principio del suicidio assistito come diritto universale, cioè accessibile potenzialmente a chiunque indipendentemente dallo stato di salute, è una delle metastasi della nostra civiltà morente. Ed è una barbarie. Lo ripeto: è indecente, disumano, abominevole, che vi siano Paesi occidentali (in alcuni casi anche il nostro), dove la dolce morte venga garantita a chiunque ne faccia richiesta. È oscena l'indifferenza con cui ignoriamo il turismo della morte. E fa vomitare la fogna di denaro di cui stiamo leggendo anche in questi giorni in Ticino, che ha generato un vero e proprio commercio.   
 
Un solo dato: l'Ufficio federale di statistica ha registrato nel 2015 un incremento del 35% rispetto al 2014 (e quattro volte di più se confrontato al 2008) dei suicidi assistiti. L'aumento del dato dimostrerebbe, stando a quanto riportato dalla NZZ, un cambiamento in atto, che potrebbe portare ad accettare il suicidio assistito come succede con l'aborto. Potrebbe anche significare, annota sempre il prestigioso quotidiano, che la generazione del "baby boom", abituata alla vita indipendente, di fronte a una malattia incurabile o alla sofferenza, decide di scegliere anche il momento della propria morte.
 
E aggiungiamo: non è affatto campato in aria il pericolo, considerato l'invecchiamento della popolazione e la continua e forsennata corsa al risparmio sui costi della salute, che un giorno non lontano si creeranno le condizioni per costruire un'autostrada che, grazie alle solite giustificazioni ipocrite decorate con orpelli di libertà, instradi verso la dolce morte pazienti sempre più costosi da mantenere. Sono gli affari, bellezza.
 
Siamo una società così consumata nelle viscere più profonde, così irrimediabilmente distaccata dalla vita e dalla sua natura autentica, così disumanizzata dal progresso della scienza e della tecnologia, così sradicata dal terroir dei suoi valori e della sua cultura millenaria, che fa scandalo un commento in cui si reclama con asprezza di preservare almeno la dignità e la nobiltà del gesto del suicidio.  
 
Un gesto violento per sua genesi. Un gesto coraggioso, d'un coraggio debordante capace di sovvertire il principio di sopravvivenza e di esporre con brutalità la bellezza dolcissima dell'animo umano. Un gesto che va pensato, immaginato, rischiato, guadagnato. Un gesto che comprende nel suo compimento anche la possibilità di fallire (e può darsi di dover sopportare per sempre i danni permanenti del fallimento). Un gesto che richiede l'assunzione di responsabilità del ritrovamento del proprio corpo, spappolato o meno, da parte dei propri cari o di chi è formato e pagato per occuparsi anche di questo (E su questo punto concedo ammenda al mio precedente scritto: non chiedere alla collettività di occuparsi del proprio suicidio, significa anche non pesare su chi lavora come i macchinisti dei treni o i camionisti e neppure irrompere nella vita di un'automobilista).   
 
Invece qui c'è chi vorrebbe - e sono maggioranza rumorosa - snaturare, stravolgere, stuprare, questo gesto così umano e quindi disordinato, imperfetto, sconvolgente, offensivo per le coscienze delle anime belle. Farlo diventare cioè un'operazione meccanica, organizzata, pulita, pettinata, confortevole. Una gelida e cinica prassi burocratica. Un prodotto ad uso e consumo di chiunque ne faccia richiesta. 
 
Pier Paolo Pasolini, il 19 gennaio 1975, scriveva sul Corriere della Sera una riflessione in cui si opponeva alla legalizzazione dell'aborto. Ne riporto alcuni stralci perché - al di là di ciò che si pensi dell'aborto - si tratta di parole che a distanza di oltre quarant'anni sembrano essersi perfettamente realizzate, nei concetti di fondo.  "Ma questa libertà del coito della "coppia" così com'è concepita dalla "maggioranza" - questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi - da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito delle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, ha cambiato la loro natura. Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un'ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. Insomma, la falsa liberalizzazione del benessere, ha creato una altrettanto e forse più insana che quella dei tempi della povertà".
 
E ancora: "L'idea dell'assoluto privilegio della normalità è tanto naturale quanto volgare e addirittura criminale. Tutto vi è precostituito e conformistico, e si configura come un "diritto": anche ciò che si oppone a tale "diritto" viene assunto conformisticamente".
 
E infine: "C'è da lottare, prima di tutto contro la falsa tolleranza del nuovo potere totalitario dei consumi".
 
Il consumo, il prodotto, per l'appunto. Poter acquistare il proprio suicidio assistito. Consumatori e non persone. Per tutti e indipendentemente da tutto, basta avere le palanche in tasca. È solo un'altra faccia del consumismo che ci ha divorato. E allora chiedo: se si tratta di un diritto perché ha un prezzo? E perché ha un prezzo che solo chi è benestante può permettersi?
 
Dovrebbe essere gratuito. Gratuito per tutti quelli che hanno una malattia terminale, degenerativa, per chi vive solo grazie a una macchina o per chi, a causa di una disgrazia, è immobilizzato come un vegetale, cosciente o meno che sia. Anzi, per queste persone sarebbe più umano e più onesto andare fino in fondo: l'eutanasia, per sollevare anche dell'ultimo sforzo chi si trova in tali disgraziate condizioni.   
Ma per gli altri no. Gli altri si suicidino da soli, se lo desiderano: nel modo che preferiscono e senza alcun giudizio morale, sia ben chiaro. Ma neppure senza chiedere alla collettività, o a mamma Stato, di occuparsene e di rendere il suicidio tranquillizzante, socialmente condiviso e perfettamente legale.  
 
Non ho finito: c'è chi mi ha dato del cristiano credendo d'insultarmi. A questo siamo arrivati. Al rifiuto di ciò che siamo da secoli e che si "evolve" in un'ignoranza grossolana e sempre più spericolata che non può che condurci a sfracellarci in un vicolo cieco. Come meritiamo. No, amico caro: mi hai fatto un complimento (immeritato per come lo intendevi tu, perché non sono credente, anzi sono proprio senza dio). Rivendicare la cristianità come parte irrinunciabile delle nostre radici, in questa società lobotomizzata, è ormai diventato un atto di ribellione. Pazzesco!
 
Come se questo nostro Occidente non fosse stato edificato anche sulla cultura e sui valori cristiani. Come se Benedetto Croce non avesse scritto "Perché non possiamo non dirci cristiani". Come se non dovessimo provare eterna gratitudine per le lettere di Paolo e le confessioni di Agostino. Come se i nostri occhi non siano costantemente abbeverati e consolati dalla meraviglia di ciò che l'essere umano ha realizzato ispirandosi alla cristianità. 
 
Ma è innanzitutto colpa vostra, cari cattolici. Voi che ormai siete schiacciati dal pudore di esistere. Voi che mi avete inviato sms ed e-mail (tu no L.P., ancora un abbraccio) con pacche sulle spalle per il mio commento, ma in alcuni casi con allegata preghiera di riservatezza. Vi ringrazio ma vi rinnovo l'invito a uscire allo scoperto.
 
E ringrazio e rinnovo l'invito anche ai non cattolici, pure sottoscrittori anonimi e complimentosi della mia piccola ed inutile eresia, che mi scrivono di Socrate e di Aristotele. Di Nietzsche e di Dostoevskij. Di Voltaire, di Kant, di Rousseau, di Schopenhauer, di Goethe, di Joyce, di Céline. E di tutti gli altri che abbiamo ripudiato, offeso, umiliato, accucciandoci silenziosi mentre si imponeva il pensiero unico fondato su questa incultura da cimitero.  
 
Ed è questo il punto. Il punto a cui miravo maltrattando il pretesto. Come ha scritto Emil Cioran: "Dopo aver dettato legge ai due emisferi, gli occidentali sono sul punto di diventare lo zimbello: spettri inconsistenti, sopravvissuti nel vero senso della parola, votati a una condizione di paria, di schiavi deboli e fiacchi. Quando una nazione non ha più orgoglio, e cessa di considerarsi la ragione o il pretesto dell'universo, si autoesclude dal divenire".
 
L'Occidente si suicida indolente. Per inerzia. Assistito.  
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